Vax o No Vax?
di Valerio Romitelli
L’attuale vaccinazione anticovid in corso nel nostro paese è conseguenza non della scienza, ma di una serie di scelte politiche. Sono queste che hanno predisposto, perseguito e alla fin fine configurato una strategia per selezionare, promuovere, utilizzare e applicare, non tutti ovviamente, ma solo alcuni particolari risultati della ricerca scientifica virologica e di salute pubblica. Ne è risultata una strategia molto simile a quella adottata dalla maggior parte dei paesi alleati degli Stati Uniti e le cui ricadute lasceranno un’impronta profonda e duratura nelle relazioni sociali di tutti questi paesi.
Non c’era e non c’è alternativa? Non pochi commentatori, a suo tempo anche molto critici del famigerato TINA (There Is No Alternative) quando usciva dalla bocca di M.me Thatcher, oggi si adoperano per assicurarne l’indiscutibile pertinenza per la campagna vaccinale in corso.
In effetti, al punto in cui siamo non è facile immaginarsi altre strategie rispetto all’attuale.
Una diversa strategia non può più certo consistere nel dare priorità a quel tracciamento e a quel controllo “alla cinese” che da noi sono stati quanto mai maldestramente imitati per brevissimo e subito dimenticato momento (chi sa che fine ha fatto l’ingloriosa app “Immuni”? forse la stessa miserabile fine dei banchi a rotelle del rimosso Arcuri o dei milioni di mascherine taroccate dell’inquisita Pivetti?). Come la volpe con l’uva, i nostri governanti (nel frattempo rimescolatisi fino all’attuale ammucchiata) dopo aver dimostrato tutta la loro inettitudine a riguardo si sono ben presto esibiti più che mai scandalizzati per i sistemi di sorveglianza abituali a Pechino e dintorni. Così, nonostante che il tanto da noi celebrato imperativo “la salute anzitutto!” abbia incassato successi senza pari in estremo oriente, resta che in un’Italia com’è oggi, più che mai accanita atlantista, qualsiasi “cineseria” non può evidentemente non essere respinta come irrimediabilmente totalitaria.
Né finora è parsa possibile l’altra opzione medica rispetto a quella prescelta della prevenzione vaccinale: quella della cura sul territorio. La carenza di personale medico e infermieristico per questo scopo ne ha sconsigliato l’adozione. Ma invece di tentare qualche sforzo per far fronte a questa carenza, si è preferito impedire e fin anche reprimere il diffondersi di quelle cure precoci fin dall’insorgere dei primi sintoni che pure alcuni scienziati hanno consigliato e consigliano. “Tachipirina e vigile attesa” è stato l’austero e improvvido mantra dominante: parola d’ordine per l’entrata in un percorso con, come unica destinazione, pronto soccorso e intubamento! Qui ad imporsi è stato un tabù con conseguenze ben reali. Quello derivato dal fatto che, se una cura con medicinali già noti si fosse dimostrata efficace, una prevenzione vaccinale su una scala sperimentale senza precedenti quale quella attualmente in corso si sarebbe trovata de facto delegittimata. Così anche la sicura conseguenza della creazione di varianti del virus, oggi puntualmente in atto, non ha fermato l’inedito esperimento di una vaccinazione di massa con pandemia in corso. Forse tutto cambierà con il sommessamente oggi ventilato arrivo di medicinali made by Bigpharma. E ne saremmo certo tutti sollevati. Ma in tal caso l’attuale imposizione generalizzata all’obbligo vaccinale si coprirebbe dell’ulteriore sospetto di avere risposto anzitutto all’esigenza non certo terapeutica di un esaurimento delle scorte.
Al netto di tutte le infinite e interminabili dispute pro e contro, non si può dunque non riconoscere che la politica anticovid attualmente dominante segue un “partito preso” assai maldestro e poco tollerante. Molto preventivista, poco o nulla incline alle terapie, se non estreme. Pregiudizialmente vaxista non di meno del partito avverso anti-vax. Fermo restando che mentre al primo spettano tutti i poteri di condizionare l’opinione pubblica, il secondo può esprimersi solo tramite canali semiclandestini. E ci si lamenti pure del fatto che proprio qui cerchi di pescare consensi l’unica costellazione politica estranea alla maggioranza di governo, sarebbe a dire quella della destra, dalla più manesca alla più istituzionalizzata. L’emergenza incombente e le contrapposizioni frontali fa tornare in mente tempi nei quali era tanto imprudente, quanto politicamente ed eticamente obbligatorio affermare cose come: “né con lo Stato, né con le Br!”
I segnali della sorda protervia della maggioranza statale vaxista comunque abbondano. Si pensi alla scarsissima quota di fondi destinati alla sanità previsti dal piano italiano (PNRR) per l’utilizzo del tanto osannato Recovery Fund (come credere allora che sia proprio la salute di tutti la priorità del governo ?!). Si pensi all’indulgenza imbarazzante dimostrata dai governanti europei di fronte alle clamorose inadempienze dalle case farmaceutiche fornitrici di vaccini: ritardi e alterazioni delle quantità delle dosi consegnate giustificati tranquillamente come disguidi tecnici, ma che, se pesati nei termini delle vittime causate, sarebbero del tutto stigmatizzabili come crimini di massa di portata inaudita. Si pensi alla grezza retorica intimidatoria con cui il “whatever it takes man” a capo del nostro governo si è cimentato nel provare a dissuadere i no vax: “Sostanzialmente: non ti vaccini, ti ammali e muori. Oppure, fai morire: non ti vaccini, contagi, lui o lei muore” (sic!). Per non parlare poi della portata simbolica non trascurabile di un “commissario straordinario” in mimetica militare e penna bianca esibiti ad ogni occasione e senza alcun timore del ridicolo.
Come non comprendere che così facendo, con tali modalità così arroganti, si è data la stura ad ogni sospetto, ad ogni diffidenza, ad ogni paranoia complottista, come pure ad ogni rimpianto sia pur fuori tempo massimo delle libertà individuali giuridicamente garantite (vedi Agamben e Cacciari)?
Ammettiamo pure che il piano vaccinale sia l’unica cosa fattibile da parte di un personale politico messo come è messo attualmente, dopo trent’anni di neoliberalismo selvaggio. Ma almeno si richiederebbe che questo personale avvinghiato come mai prima attorno al potere di governo fosse un po’ meno intollerante verso l’opinione contraria da esso stesso provocata ogni giorno. Diversamente si rischia di alimentare divisioni collettive in gran parte immaginarie, foriere di conflitti sociali tanto più caotici quanto più diversivi rispetto a quelli più reali ed evidentemente sempre più incalzanti. Di sicuro quel che pare dissolversi sotto i nostri occhi oggi è quell’imperativo al dialogo che è supposto essere il cuore della democrazia. Quanto in Italia (come del resto in UE e nel resto del mondo) siamo calati in un’epoca post-democratica (secondo l’azzeccata terminologia di Colin Crouch) lo dice per altro il lungo tempo passato dall’ultimo governo direttamente legittimato da risultati elettorali (a quando risale? Al 2013, forse?).
Che dalla metà degli anni dieci di questo secolo sia anzitutto il sovranismo, e non la democrazia, a orientare i governi del mondo è in effetti un’ipotesi su cui provo a lavorare da tempo[1]. Specificando però subito che il sovranismo così evocato non è quello da cortile, miseramente nazionalistico, ma quello delle grandi potenze che ad occidente come ad oriente si dimostrano sempre meno sensibili ai destini universali dell’intera umanità. Quanto sta accadendo nella gestione della pandemia in corso fa più che mai temere che si tratterà un’epoca di disordini oscuri e crescenti. Non resta che auspicare il configurarsi di nuovi modi per tentare di sperimentare ciò che un tempo si chiamava l’internazionalismo proletario.
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[1] Rimando in proposito a Dopo la fine del mondo. Per un pensiero politico controcorrente (di prossima pubblicazione)