Un caffé per due. La sostanza discussa da Cartesio e Spinoza
di Ilaria Papillo e Cesare Maria Dalbagno – 2M Liceo Minghetti Bologna
S: Buon pomeriggio, si accomodi, le posso ordinare qualcosa?
C: Buon pomeriggio anche a lei, la ringrazio, prenderei volentieri un cappuccino e un croissant, so che da queste parti sono piuttosto buoni.
S: Giovanotto, due cappuccini e due croissants, per cortesia.
S: Direi però che, ahimè, sappiamo bene entrambi di non esserci incontrati qui per godere delle prelibatezze di questa città italiana, ma per dilettarci e confrontarci su una questione ben più alta ed appagante: la filosofia. Il nostro discorso, se mi permette la presunzione, in quanto tutti e due riconosciamo la validità di un ragionamento matematico ben strutturato, deve necessariamente partire dal principio della nostra indagine filosofica, per poter comprendere al meglio il sistema su di esso costruito. E qui mio caro collega, dopo essermi attentamente documentato sul suo operato, devo dire che ho riscontrato un’incongruenza che a me pare lei non abbia risolto: a partire dalla definizione di sostanza che ha dato, ossia essenza causa di sé stessa, come può definire sostanza sia Dio, causa di ogni cosa, sia cogito ed estensione, che sono due suoi effetti?
C: Ammetterò che lei, Spinoza, si conferma un arguto e minuzioso interlocutore ed è andato a toccare forse uno dei più grandi interrogativi che mi sono posto durante la mia ricerca. Capirà che il cogito, solo, mi ha permesso di dimostrare l’esistenza di Dio, la quale esistenza poi, ha provato l’affidabilità dei sensi e dunque la conoscibilità del mondo materiale. Considerando la successione cronologica degli eventi in effetti devo darle ragione, è Dio che non ha tempo e che fa derivare ogni cosa da lui, creando dunque cogito ed estensione, tuttavia, ontologicamente, il cogito è causa di sé stesso, nonché di tutta la filosofia che ho elaborato. Il movimento deduttivo infatti prevede, in primis, la dimostrazione dell’evidenza del cogito, poi dell’esistenza di un Dio perfetto ed infine dell’estensione. Se ci pensa infatti il concetto di cogito non ha bisogno di nient’altro per esistere.
S: Adesso mi pare tutto più chiaro: effettivamente, non avevo considerato altre accezioni di causa al di fuori di quella materiale, invece lei pone un’efficace argomentazione considerando l’indipendenza concettuale del cogito dall’ente che l’ha generato. Da questo ragionamento resta in ogni caso fuori la res extensa…
C: Dice bene, ad un primo sguardo potrebbe sembrare così, ma mi sento un’altra volta in dovere di provare a difendermi. L’uomo percepisce la realtà, la vita, attraverso le sue due componenti già teorizzate dai grandi maestri antichi come Socrate, Platone o Aristotele: anima e corpo. Se dunque ho spiegato come mai potesse il cogito, fondamento dell’anima, essere definito sostanza, come causa del concetto di sé, per attribuire il termine sostanza alla res extensa bisogna chiamare in causa un altro ragionamento, diverso dalla ‘priorità deduttiva’. Senza l’esistenza della res extensa, infatti, tutta quella parte di realtà che noi andiamo a percepire con i sensi, propria del corpo, rimarrebbe esclusa da ciò che consideriamo come evidente e quindi dalla considerazione filosofica, allora la res extensa si pone come fondamento della realtà sensibile. Dunque, se la res extensa propria del nostro corpo non esistesse non potremmo in alcun modo cogliere tutta la materialità e l’estensione al di fuori di esso, in quanto sono percepite tramite la materialità e l’estensione corporee, per il principio del simile che conosce il simile. Tutte le nature semplici puramente materiali non sono in alcun modo indagabili se non tramite la materialità: come io non posso pensare senza il cogito, non posso percepire tramite i sensi senza la res extensa che costituisce quegli stessi sensi. Dunque, se Dio ha creato res cogitans e res extensa, Egli è causa loro, ma esse sono al contempo causa di loro stesse in quanto Dio non ci permette né la percezione sensibile, né l’atto del pensare, poiché queste azioni dipendono unicamente dall’uomo che ne è costituito, esse dunque sono causa di loro stesse.
S: Mi scusi, caro Cartesio, ma questa dimostrazione mi pare fallace. Lei sta basando la sua dimostrazione di cogito ed estensione sulla loro indipendenza da Dio, pur essendo esse effetti della creazione divina. Ma com’è possibile che una causa di tali divini attributi produca un effetto di così diversa natura? Capirà anche lei che è impossibile…
C: Dio è l’essenza perfetta ed onnipotente, capace di tutto, se egli ci avesse creati della stessa natura non avrebbe creato noi, ma sé stesso…
S: Ed è proprio qui che volevo arrivare! In realtà, a mio parere, la sostanza, intesa come essenza che ha la propria causa in sé, è unica, infinita, inscindibile ed immanente. Tu, io, questo tavolino, il croissant, la strada, la stessa aria che respiriamo e Dio siamo la stessa sostanza. Per il semplice fatto che nessun effetto possa essere derivato da una causa di diversa natura. Quindi, ogni cosa che possiamo percepire va semplicemente intesa come la manifestazione, l’effetto, attraverso modi particolari di due attributi – pensiero ed estensione- dell’unica causa immanente: Dio.
C: A livello teorico effettivamente questo ragionamento è infallibile, la definizione di sostanza è pienamente rispettata, ma non riesco a capire una cosa: come fa con questa concezione a spiegare l’individualità delle persone, dei loro pensieri?
S: Semplice: essi sono infiniti modi particolari di Dio!
C: Se devono essere necessariamente della stessa sostanza di Dio, com’è possibile a suo parere che l’uomo pensi ed agisca in modo indipendente?
S: La sua concezione di indipendenza e libertà è alquanto limitante, a mio parere. Un uomo, infatti, si potrà dire veramente libero solo quando avrà compreso la necessità di ogni sua azione e pensiero, che non dipendono in alcun modo dalla volontà individuale, ma seguono ineluttabilmente le leggi della Natura, che è Dio.