Tre Saggi per un pianeta (intervista a Saggio Massimo). Cronache marXZiane n. 4
di Giorgio Gattei
Il pianeta Marx è un corpo astrale paradossale perché ad ogni rotazione aumenta nella massa di Valore per la logica della Accumulazione del Profitto (quale Pluslavoro realizzato) che completa le due logiche dello Sfruttamento e della Trasformazione che abbiamo considerato nelle Cronache precedenti. Ciò pone però un interrogativo in merito al suo destino nello spazio: che cosa gli potrà mai accadere a forza di crescere di dimensione? Per saperlo si devono interpellare i tre Saggi che lo abitano (c’è chi, equivocando, li ha declinati al femminile equiparandoli alle Norne, che sono tre divinità nordiche che parlottano fra loro mentre intrecciano la fune del destino attorno all’albero del mondo). Questi tre Saggi non sono poi altro che tre rapporti economici che misurano lo stato di salute e di tendenza del pianeta: essi sono Saggio di Pluslavoro, Saggio di Profitto e Saggio Massimo, che è il più lontano da tutti ma è anche il più importante, con i primi due che sono stati visti al telescopio nel 1867 dal primo “mappatore” del pianeta Karl Marx, mentre il terzo è stato visitato nel 1960 dal grande esploratore Piero Sraffa che ne ha dato conto nella relazione scientifica Viaggio di merci a mezzo di merci.
Stando per lungo tempo sul pianeta Marx, anch’io ho voluto andare a conoscere Saggio Massimo (e sarei stato il secondo dopo Sraffa!) che abita in una località periferica distantissima e con mia grande sorpresa ho visto che esso era il perfetto gemello di quel “Rosseggiante” che Jack London aveva scovato nel 1916, ultimo anno di sua vita, «nell’oscuro cuore di Guadalcanal» al fondo di una giungla fetida e malvagia e che gli indigeni del luogo veneravano col nome di Nato-dalle-stelle perché era precipitato in tempi lontani dalla volta del cielo. Agli occhi di Jack il Rosseggiante si era presentato come «una sfera perfetta di 60 metri comodi di diametro» composta da una sostanza sconosciuta dal colore «più vivace d’un rosso ciliegia acceso» e «crivellata e laccata dal bagno di fuoco di due atmosfere» che al tocco della sua mano «fremette in ritmiche vibrazioni che divennero sussurri, mormorii e brontolii sonori», dopo di che anche il colore si fece suono «finché l’intera superficie visibile della vasta sfera non fu che il brulicare sussultante e nebuloso di ciò che non sapevo stabilire se fosse colore o fosse suono. E in quel momento mio fu il segreto delle connessioni interne alla materia, come le fusioni, le trasfusioni e gli incroci che legano materia ed energia» (lascio poi alla curiosità del lettore andare a leggersi come l’esperienza di Jack sia andata atrocemente a finire …).
Comunque l’equivalente del Rosseggiante sul pianeta Marx (vedine l’immagine in capo a questa Cronaca: io sono quello che osserva) non risuonava affatto, ma parlava eccome e si faceva intendere benissimo. Alla mia prima domanda: “Ma chi sei?”, mi ha risposto in perfetto linguaggio biblico: “Io sono il Saggio tuo e non avrai altro Saggio all’infuori di me”, per farmi capire che non occorreva che perdessi tempo con gli altri due Saggi che non fanno altro che rimpallarsi chiacchiere inutili sulla condizione del pianeta, se dovesse finire in gloria oppure alla malora. Dopo di che mi ha aggredito: “Ma che hai scritto?” (aveva letto la mia precedente Cronaca che era stata pubblicata sul “Marxzian Times” con il titolo Un terrestre ci osserva). “E’ ovvio che se ometti una variabile nella ipotesi, poi non te la ritrovi nella conclusione. Hai posto l’equazione di Neovalore-lavoro come se fosse una identità contabile stretta tra la somma dei Prezzi di produzione del Prodotto netto e la quantità del Lavoro vivo (Yp = L), quando invece è una proporzione:
Yp = mL
dove quel moltiplicatore che tu hai ignorato (m = Yp /L) misura la Produttività del Lavoro vivo, ossia quanto Prezzo di produzione del Netto viene prodotto da una unità di Lavoro vivo e siccome si tratta di una grandezza variabile, non ti devi poi lamentare se alla fine ti trovi alle prese con dei paradossi che non arrivi a spiegarti. E’ infatti la Produttività del lavoro a giocare strategicamente sulla massa del Pluslavoro, che quindi risulta diversamente determinata da come l’hai scritta tu. Ma siccome sei duro di comprendonio, te la mostro attraverso il prezzo di produzione del Profitto realizzato, ossia nella modalità del Reddito Netto Yp al netto del Salario W= Lw considerando che in aggregato il Profitto non è altro che Pluslavoro, come tu stesso sai bene. E quindi:
Pl = P = Yp – W = mL – Lw = L (m – w)
Dove si vede che il Pluslavoro/Profitto è in funzione diretta del Lavoro vivo attivato ed in funzione inversa del Salario unitario (e fin qui c’eri arrivato anche tu), ma anche in funzione diretta della Produttività del lavoro, come peraltro astronomi classici come Smith e Ricardo avevano subito capito (e valga per il secondo questa sua citazione: «La ricchezza di un paese può venire accresciuta in due modi: impiegando una quota maggiore del reddito nel mantenimento del lavoro produttivo, il che farà aumentare non solo la quantità ma anche il valore della massa delle merci; oppure, senza impiegare una quantità supplementare di lavoro, rendendo più produttiva la medesima quantità, il che farà aumentare la quantità, ma non il valore delle merci». Poi Marx ha visto la Produttività del lavoro al telescopio e ci ha fatto sopra l’apoteosi negli appunti preparatori, denominati Grundrisse, alla successiva “mappatura” generale del pianeta. E te ne leggo alcuni: al tempo oscuro del Pluslavoro estratto a colpi di fatica e di sudore nella Mani-fattura segue la stagione della Macchino-fattura e «nella misura in cui si sviluppa la grande industria non è più né il lavoro immediato eseguito dall’uomo stesso, né il tempo che egli lavora, ma l’appropriazione della sua produttività generale, la sua comprensione della natura e il dominio su di essa attraverso la sua esistenza di corpo sociale, in una parola è lo sviluppo dell’individuo sociale che si presenta come il grande pilone di sostegno della produzione e della ricchezza» davanti al quale «il furto del tempo di lavoro altrui appare come una base miserabile rispetto a questa nuova base creata dalla grande industria stessa». Ma la cogli la differenza? Adesso non si tratta più soltanto di sfruttare il tempo di lavoro altrui per dar luogo al Pluslavoro, ma di sfruttarne la produttività che poi consiste nell’utilizzo di quella conoscenza generale (general intellect) che si è venuta accumulando nel tempo e che non sta «solo nella forma del sapere, ma è organo immediato della prassi sociale, del processo di vita reale». Per questo ciò che adesso conta «non è tanto il lavoratore, ma solo il lavoro e se lo si può far compiere dalle macchine o addirittura dall’acqua, dall’aria, tanto meglio». Ma voi li leggete ancora i vostri classici?”.
Dopo di che mi ha parlato degli altri due Saggi che “pesano” il Pluslavoro/Profitto realizzato rispetto ai due fattori impiegati nella produzione, che sono il Lavoro L e il Capitale K. “Il primo a mostrarsi, perché è anche il più immediato, è Saggio di Pluslavoro la cui formula non corrisponde esattamente a quella mostrata da Marx che, avendolo visto solo al telescopio, aveva conservato l’ingombro oculare del Salario a cui era particolarmente affezionato (e lo si capisce: al suo tempo il Salario era empiricamente visibile, mentre non altrettanto lo erano le ore di Lavoro vivo). Per questo, rispetto al suo rapporto P/W, da noi si calcola Saggio di Pluslavoro come:
s = P / L = L (m – w) / L = (m – w)
e lui si crede chissà chi perché lo chiamano anche Saggio di Sfruttamento azzardandosi a calcolarlo pure in ore di lavoro, ma la sua maggiore ambizione sarebbe di togliersi di dosso la Produttività del lavoro (come si può fare ponendola a numerario: m = 1, come hai fatto anche tu nella Cronaca precedente senza nemmeno accorgertene), così da diventare il Santo Patrono di tutti quelli che giurano sulla unica contesa distributiva tra Profitto e Salario che personificano tra Capitalisti e Operai quasi che fosse un gioco a Guardie e Ladri, ma pure di quegli altri che nei tagli salariali vedono la panacea di ogni malanno astronomico. Ma quando mai se nella costituzione di Saggio di Pluslavoro ci sta anche la Produttività del lavoro che è una grandezza variabile e che, se va in aumento, può ben compensare la crescita salariale (e perfino la diminuzione degli occupati e dell’orario di lavoro) senza alcun danno al Pluslavoro/Profitto? Non a caso è stata la maggiore Produttività del Lavoro a giustificare, al suo tempo, quelle politiche economiche del Ben-Fare (Well-fare) di cui tu non arrivavi a darti ragione”.
“E poi c’è Saggio di Profitto – ha continuato – che rapporta invece la massa del Profitto/Pluslavoro all’altro fattore produttivo impiegato, che sono i beni-capitali K espressi nelle loro componenti fisiche valutate ai prezzi di produzione che stanno dentro quelli del Prodotto Netto perché qui abbiamo a che fare con una produzione di merci a mezzo delle medesime merci. Ma nuovamente ti avverto che non è esattamente la formulazione di Marx che ha voluto infilarci dentro il solito Salario complicandola inutilmente, mentre la nostra formulazione è così:
r = P / Kp = L (m – w) / Kp = (m – w) / (Kp / L) = s / q
dopo di che Saggio di Profitto si è fatto nominare “generale” per essere riuscito ad inglobare a numeratore Saggio di Pluslavoro, mentre a denominatore ha aggiunto il rapporto q = Kp / L) che ci dice quanto prezzo di Capitale ci vuole per una unità di Lavoro vivo, dato che dalla fine dei tempi preistorici non si produce più soltanto con le mani. Questo rapporto è stato chiamato in vari modi, anche “coefficiente tecnologico” oppure “coefficiente di Solow” dal nome dell’astronomo USAto che è stato il primo a formularlo esplicitamente: «introduciamo adesso una nuova variabile q = K/L, cioè il rapporto tra capitale e lavoro». Io però preferisco chiamarlo “Composizione Organica” che era il nome che gli aveva affibbiato Karl Marx, sebbene lui l’avesse rapportato al Salario (K/W) invece che al Lavoro vivo.
Comunque è stato Saggio di Profitto a mettere in giro la voce che, per l’aumento progressivo della Composizione Organica lui sarebbe andato a ramengo (r = 0) e per il pianeta sarebbe stata la fine, ma questa pretesa “legge di caduta”, che peraltro non si è verificata, logicamente non regge perché a numeratore c’è Saggio di Pluslavoro che, se in crescita per l’aumento della Produttività del lavoro, può benissimo contrastarne la caduta, così che al massimo lui finirebbe per andare un po’ su e un po’ giù in maniera ondulatoria. E’ questo il difetto d’indeterminazione del suo andamento che gli è stato da tutti rimproverato, ma qui ci sarebbe solo da dire che era già stato considerato da Marx quando aveva scritto (sebbene solo negli appunti di storia della teoria) che «il saggio di profitto è in primo luogo determinato dal saggio di pluslavoro e cambia, aumenta o diminuisce, col cambiamento del saggio del pluslavoro che aumenta o diminuisce direttamente come la produttività del lavoro». Così, come vedi, tutti i problemi girano attorno alla scomoda presenza della Produttività del lavoro, dalla tua omissione (che non ti perdono!) alla insufficienza dei due Saggi di Pluslavoro e di Profitto”.
– Ma se Saggio di Profitto non mostra una precisa tendenza a calare, il pianeta Marx potrebbe finire per essere, come il diamante, per sempre?
– Non è detto perché ci sono anche io e sono io che ne stabilirò la sorte. Ma devo dirti di me, che sto in una zona estrema del pianeta dove «i lavoratori vivono d’aria» così che, visto che qui non si pagano salari, la smettiamo con i giochetti opportunistici sul loro aumento come minaccia incombente sulla salute del pianeta perché, se io finisco comunque per cadere, altre dovranno esserne le cause. Me l’ha insegnato Sraffa, quando è venuto a trovarmi, che «tutti coloro che negano la tendenza a cadere del saggio del profitto sono semplicemente ignari dell’esistenza di un Saggio massimo del profitto» e, se io cado, «quanto più si riducono i salari, essi non possano far nulla per rialzarlo». E io come sono fatto? Derivo da Saggio di profitto quando si fa w = 0 sicchè, se lui è “generale”, io sono il suo Maggiore perché, appena lui paga un po’ di salario, diventa più piccolo di me che invece non lo pago. E quindi:
max r = R = m / q
dove sono messe a confronto la Produttività del Lavoro (m = Yp/L) con la Composizione del Capitale (q = Kp/L), mentre del Salario non si parla più.
– Però, se sei messo così, anche tu non soffri d’indeterminazione per l’andamento opposto delle due variabili presenti senza che tu possa stabilire una precisa tendenza alla caduta? – azzardo timidamente.
– Dipende da cosa intendi per “legge di tendenza”, come mi ha spiegato Sraffa riportandomi un scambio di idee che aveva avuto a distanza con il vostro “miglior detenuto”, quell’Antonio Gramsci che avete mandato in galera perché il suo cervello non potesse «più pensare», come ha motivato il giudice che l’ha condannato. A proposito, che fine ha fatto quel giudice?
– Diciamo che non ha pagato per quella sentenza.
– Lo immaginavo; qui da noi sarebbe andata diversamente. Comunque nel 1932, alla notizia che Sraffa avrebbe curato le opere dell’astronomo Ricardo, Gramsci dal carcere gli aveva chiesto, per il tramite della cognata Tatiana, che valore si dovesse attribuire alla “legge”, di derivazione ricardiana, della caduta del saggio del profitto se logicamente ad essa si oppone «un’altra legge, che è quella dello sviluppo stesso del modo di produzione capitalistico che dà luogo ad una legge altrettanto organica che quella della caduta», come scriveva in quei Quaderni del carcere che ovviamente Sraffa non poteva conoscere: Per questo ne aveva concluso che «il significato di ‘tendenziale’ pare dover essere di carattere ‘storico’ reale e non metodologico», così da non dar luogo a «niente di automatico e tanto meno di imminente». Sul momento Sraffa non aveva però raccolto l’argomento, ma doveva riprenderlo quindici anni dopo quando, a fascismo eliminato, si presentò l’occasione di pubblicare quei Quaderni e all’editore che gli aveva chiesto un parere, proprio sul significato di “legge di caduta” Sraffa doveva dichiarare tutta la contrarietà alla interpretazione gramsciana: «la mia opinione è che la legge di caduta sia metodologica e non storica, e quindi non verificabile empiricamente, quando “tendenziale” sia inteso relativamente ad una particolare astrazione, cioè essa sia il risultato dell’azione di un gruppo di forze (accumulazione) supponendo che altre forze (progresso tecnico, invenzioni, scoperte) non operino. Il risultato è che la caduta tendenziale costringe a continue rivoluzioni tecniche per evitare la caduta del saggio del profitto». Ti ho citato direttamente dalla lettera all’editore, ma non ti vedo convinto perché ti sembra che sia un ragionamento che finisce in circolo. E anch’io sul momento ero rimasto perplesso, ma poi me lo sono spiegato così: che le due “leggi tendenziali” di aumento della Composizione del Capitale a denominatore e di aumento della Produttività del Lavoro a numeratore non sono affatto omogenee fra loro perché non operano nello stesso spazio di realtà: la prima è una vera legge “di necessità” che s’impone per logica d’accumulazione del Pluslavoro/Profitto realizzato (alla lunga cosa te ne fai se non lo reinvesti?), la seconda è invece solo una “opzione di possibilità” che è stata indotta da quella necessità, è una “controtendenza” che si può dare ma potrebbe anche non darsi. Ti faccio un esempio. Immagina che l’aumento della Composizione del Capitale sia un veleno che lentamente mi uccide, mentre l’aumento della Produttività del Lavoro sia l’antidoto che mi salva la vita. In passato, ogni volta che gli astronomi mi hanno avvertito che stavo rischiando la pelle per troppa accumulazione, l’antidoto è stato trovato, sia pure in forme storicamente differenti, così che dopo Ricardo sono venute le “macchine” e il colonialismo, dopo Marx l’elettricità e l’imperialismo, dopo Keynes il fordismo e il “consumismo” (che Gramsci chiamava “americanismo”), dopo Sraffa l’informatica e la globalizzazione, ma chi mi garantisce che anche al mio prossimo avvelenamento per accumulazione l’antidoto si presenterà ed arriverà in tempo? Insomma, se la tendenza alla caduta mi si presenta logicamente certa e inesorabile (per questo è, come dice Sraffa, metodologica), la controtendenza è invece incerta ed ipotetica (per questo è “storica”) e la si potrà conoscere solo a cose fatte. Per questo io resto in dubbio sulla mia futura sopravvivenza, alla maniera del calabrone citato dall’astronomo Galbraith che «per aerodinamica e carico alare in linea di principio non potrebbe volare. Eppure vola e la consapevolezza di sfidare l’augusta autorità di Isacco Newton e di Orville Wright deve mantenerla nel continuo timore di precipitare». Altrettanto il pianeta Marx, di cui io sono l’espressione migliore, è «una sfida alle regole, quelle regole che traggono la loro autorità da uomini di statura newtoniana come Ricardo e Adamo Smith… e ciò ha condotto gli uomini a pensare che, prima o poi, tutto debba finire in una terribile catastrofe. E, come per il calabrone, tutto questo è fonte di apprensione e di insicurezza». Immagina che rispetto alla mia sorte io non so non solo quando, ma nemmeno se finirò. Tu sei più fortunato di me che hai la sola incognita del quando.
– Se ti pare miglior fortuna la mia… Comunque, se ti dovesse capitare di finire, sarebbe per caduta progressiva o per botto repentino?
– Neanche questo io so, ma se dovesse essere un botto mi piacerebbe che fosse come magnificamente musicato da Richard Wagner nel Prologo all’opera lirica Il Crepuscolo degli dei. Non lo conosci? Te ne riassumo il testo in mia traduzione, che però non ti canto perché sono stonato. Dunque, quando il sipario si alza, le tre Norne (che potremmo essere noi, i tre Saggi) stanno attendendo il sorgere del sole mentre intrecciano la fune del destino. E commentano tra loro: «Ma che luce laggiù?// Già spunta il giorno?// No, che è ancora notte. Perché allora non filiamo e cantiamo?// Se vogliamo filare e cantare, a cosa tu fissi la fune?// (si alza, prende la fune e la fissa ad un ramo di abete) Bene o male che vada, qui l’allaccio e canto. Un tempo l’attaccavo al frassino del mondo ch’era grande e forte, ma ormai quell’albero è inaridito e di senso oscuro è diventato il mio canto. Così oggi non lego più al frassino del mondo e mi devo accontentare dell’abete per fissare la fune. Ma cantami o sorella, a cui lancio la fune, come fu?// (Quella riceve la fune e, mentre narra, l’avvolge alla sporgenza di una roccia) Se io adesso devo fissare la fune ad una rupe aguzza, cantami o sorella, a cui la getto, che altro succederà?// (L’altra prende al volo la fune e ne getta il capo dietro le spalle) Degli dei eterni ecco che spunta la fine e sarà per sempre. Ma se altro sapete, nuovamente avvolgete la fune che vi getto//. (La prima Norna riceve la fune che annoda nuovamente) // Sta cedendo la notte e nulla più scorgo; i fili della fune non ritrovo più; mi si è arruffato l’intreccio. Confusa una visione il senso mi confonde//. (La seconda Norna riceve a sua volta la fune e la riavvolge in fretta alla sporgenza aguzza)//. Il filo delle pietra sta intaccando la fune. Più non si tende saldo il tessuto dei fili. Se n’è arruffata la trama! Sai tu che avverrà? (Getta la fune alla terza Norna che la prende con furia)//. Troppo lenta è la fune, non mi basta. Se verso Nord ne debbo piegare il capo, devo tendere più forte! // (Tira la fune con violenza e questa si spezza nel mezzo). Si è spezzata!// Si è spezzata!// SI E’ SPEZZATA! (Le tre Norne prese dal panico balzano in piedi avanzando insieme verso il mezzo della scena. Raccolgono i pezzi della fune strappata e con quelli si legano l’una all’altra). E’ finito l’eterno sapere! Al mondo non annunciano più nulla le Sagge! Giù! Alla Madre! Giù! (e scompaiono dalla scena)”.
– Che te ne pare? – mi chiede Saggio Massimo.
– E’ impressionante davvero.
– Solo questo sai dire?
– E’ che mi sono stancato del vostro pianeta. Vorrei ritornare sulla terra.
– E allora affrettati che c’è un nostro cargo spaziale che sta per andarci di nuovo.
– E questa volta come si chiama?
– MarXZattack!
FINE