Stella di Parigi
Recensione al film Stella, di Sylvie Verheyde
di Giorgio Morgione
Regia, soggetto e sceneggiatura: Sylvie Verheyde
Interpreti: Leora Barbara (Stella), Karole Rocher (madre di Stella), Benjamin Biolay (padre di Stella), Guillaume Depardieu (Alain-Bernard), Thierry Neuvic (Yvon) Fotografia: Nicolas Gaurin
Montaggio: Christel Dewynter
Produzione: Les Films Du Veyrier, Arte France Cinéma, Wdr/Arte, Canal +, Cinecinema, Cnc
Distribuzione: Sacher
Durata: 102’
Premi e riconoscimenti: Premio Speciale Christopher D. Smithers Foundation e Premio Lina Mangiacapre alla 65a Mostra del Cinema di Venezia
Parigi 1977, Stella ha undici anni, un viso dolce e occhi che osservano con discrezione e certe volte, quando è sola in camera e balla, si trucca. È ammessa ad una prestigiosa scuola media nei quartieri alti della città. Primo anno, quinta sezione, primo giorno di scuola, Stella è persa, guarda estraniata i suoi compagni, che le appaiono proprio come quei bambini che tutte le sere vanno a letto alle otto e mezza. Fuori di scuola la vita di Stella si catapulta in una dimensione sociale totalmente diversa. I suoi gestiscono un bar-pensione sregolato come loro, pieno di reietti e di alcolisti affezionati. Qui Stella trascorre il resto del suo tempo guardando la tv, servendo di tanto in tanto ai tavoli e qualche volta giocando a carte coi frequentatori. Ma nessuno si occupa davvero di lei, compresi madre e padre, troppo impegnati a mandare avanti la baracca. Specialmente il padre: tutto quello che sa fare con lei è insegnarle a tirare con una carabina ad aria compressa. La scuola intanto diviene sempre più una sfida quotidiana. Stella scopre quante cose ancora non sa, di quante cose parlano le sue compagne e che lei ignora totalmente. Ma ha avuto anche una certa fortuna diventando amica di Gladys, una prima della classe che non si dà tante arie. Sarà entusiasmante comprendere che proprio quella scuola, dietro il suo impenetrabile guscio borghese, è una magnifica opportunità. Stella non ha libri da raccontare, Gladys le parla di grandi scrittori e lei decide di andarli a cercare: Balzac, Cocteau, Duras, entrano come la luce del sole nei suoi pomeriggi e l’unica volta che la vediamo piangere non è di fronte all’ennesimo litigio dei genitori, né quando è testimone di una sanguinosa scazzottata fuori dal bar, ma quando legge in silenzio uno di quei libri. Tuttavia le fatiche per migliorare la sua pagella saranno ancora molte e i romanzi non bastano per diventare bravi: anche se adesso sono suoi grandi amici, pensa ad un tratto Stella, gli scrittori non le permettono di andare meglio a scuola.
Dovrà passare del tempo, qualche brutta figura alla lavagna, ma i risultati arriveranno, a cominciare dal primo successo in storia. Peccato che avverrà proprio mentre il matrimonio dei suoi raggiunge l’apice dello sfascio.
In questo film autobiografico Sylvie Verheyde offre un affascinante ritratto della preadolescenza femminile. In una storia in cui fa da sfondo il ruolo della scuola nella formazione morale ed intellettuale, si esprime la forza di volontà di una ragazzina che riesce a sottrarsi al gorgo di una famiglia allo sfascio. Più che un percorso graduale, qui l’istruzione è come un pianeta da raggiungere e conquistare, con parole mai udite, regole grammaticali, ma anche pregiudizio e razzismo difficili da contrastare.
La semplicità della trama lascia tutto lo spazio espressivo all’umanità dei personaggi, ai loro drammi soggettivi, così palpabili anche quando restano in silenzio. Tutto è perfettamente in equilibrio tra due mondi lontani e diversi e si finisce col non distinguere quale sia quello che gioca il ruolo di preminenza nell’esperienza della protagonista: l’aula di lezione dove si esige disciplina e studio, oppure il bar con tutte le sue anime perse, tra le quali è qualcuna, come Alain-Bernard (Guillaume Depardieu), che a suo modo sa essere un confidente affettuoso.
E inoltre, quanto può valere la parola amicizia a undici anni? Molto, soprattutto se si manifesta nel gesto quotidiano di una compagna che trascina fuori, anche solo per pochi attimi, le ansie più profonde. Ecco, sotto i nostri occhi, il segno inequivocabile di qualcosa che cambia.