Sérgio Moro e il “sogno” di un Brasile come Stato di polizia*
di Francesco Guerra
Nella giornata del 4 febbraio vi è stato l’annuncio, da parte del Ministro della Giustizia e di Pubblica Sicurezza, Sérgio Moro, di un pacchetto di riforme destinato ad alterare almeno quattordici leggi attualmente vigenti all’interno del territorio brasiliano, mettendo nel mirino tanto i reati riconducibili alla pubblica amministrazione quanto quelli legati ad organizzazioni criminose, quali il PCC e il Comando Vermelho, oltre alle famigerate milizie recentemente tornate alla ribalta a causa della prossimità di alcuni suoi elementi con la famiglia del presidente, in particolare col primogenito: Flávio Bolsonaro. Di qui nascono le prime perplessità riguardo a questo progetto di riforma a firma Sérgio Moro e fondati sospetti sul fatto che, da ultimo, tale lotta alle milizie sarà destinata a rimanere su di un piano esclusivamente teorico.
Un’altra misura prevista interesserà l’uso di agenti sotto copertura da inserire all’interno di queste organizzazioni, in particolare il PCC e il Comando Vermelho. Un punto, questo, rispetto al quale si può senz’altro concordare, parimenti rilevando come si tratti pur sempre di misure, le quali lavorano soltanto su uno dei corni del problema: quello relativo al contrasto immediato del fenomeno criminale preso in esame. Declinare le possibili emergenze, che sorgono nel seno di una società, secondo un indirizzo di mero ristabilimento dell’ordine pubblico è, ad ogni latitudine, il tratto caratterizzante di qualsivoglia destra manettara e, perciò stesso, non liberale, se non proprio antiliberale. Pertanto, anche ammesso che simili misure, colpendo struttura e forza economica del PCC e del Comando Vermelho, portino cospicui risultati, ciononostante vengono pur sempre a caratterizzarsi come una risposta semplice ad un problema complesso, quale la questione del contrasto al crimine organizzato in Brasile, che, lungi dall’essere soltanto una questione di ordine pubblico, è in prima istanza una questione sociale. Il PCC, acronimo di Primeiro Comando da Capital, comanda ribellioni nelle carceri, rapine, sequestri, assassini e narcotraffico. Una ‘multiservizi del crimine’, con base a San Paolo, ma che si trova presente in 22 dei 27 Stati brasiliani, oltre che in Paesi vicini quali Bolivia, Paraguay e Colombia, e che conta all’incirca trentamila membri affiliati.
Il PCC fu fondato il 31 agosto 1993 all’interno della Casa Circondariale di Taubaté, nello Stato di San Paolo, scegliendo come primo nome quello di Partido do Crime e affermando, quale suo esplicito proposito, quello di voler combattere l’oppressione all’interno del sistema carcerario paulista, oltre a voler vendicare la morte di centoundici detenuti avvenuta il 2 ottobre del 1992, in quello che è conosciuto come il ‘massacro di Carandiru’. Non a caso, ancor oggi, il luogo di filiazione privilegiato per il PCC continua ad essere il disastrato ambiente carcerario brasiliano, al cui interno i membri della facção diffondono volantini recanti lo statuto del Primeiro Comando da Capital. Un sistema, quello legato al PCC, all’interno del quale non sono ammessi rapine, stupri ed estorsioni. Una società nella società, dunque, dove, per quanto paradossale possa apparire, una larga fetta dei suoi componenti – i quali, da sempre, vivono in condizioni di estrema povertà o di vera e propria miseria – possono ricevere maggiori tutele, in primo luogo sotto il profilo della sicurezza, rispetto a quanto potrebbero aspettarsi da uno Stato spesso percepito come il primo nemico. La breve divagazione si presentava necessaria al fine di mostrare come una tale misura a contrasto del crimine organizzato rischi di trasformarsi in una opzione dal fiato corto. In assenza di progetti sociali di medio-lungo periodo, volti ad una maggiore inclusione sociale di tutti quegli strati della popolazione brasiliana oggi facilmente preda di PCC e Comando Vermelho, come pure in assenza di una riforma carceraria, che realmente si ponga come obiettivo un sempre più massiccio utilizzo di pene alternative alla detenzione e volte ad un effettivo reinserimento sociale, simili riforme rischiano di essere il classico pannicello caldo buono a soddisfare, peraltro solo nel breve periodo, gli appetiti elettorali del conservatorismo brasiliano, vera pietra angolare del consenso bolsonarista.
Sérgio Moro: l’andazzo manettaro e l’annullamento della presunzione di innocenza
L’andazzo manettaro è confermato anche da altre misure previste nel pacchetto di Moro. Per esempio, sotto il profilo penale, il testo prevede l’esecuzione della pena a partire dal secondo grado di giudizio (segunda instância). Si tratta di una misura, la cui universalità ne sancisce il lato fortemente persecutorio e antigarantista, annullando, di fatto, la presunzione di innocenza, pur prevista dalla costituzione brasiliana, valida fino al momento in cui una condanna non sia confermata in terceira instância (terzo grado di giudizio) di competenza dei cosiddetti ‘tribunali superiori’, quali: il Supremo Tribunal Federal, il Superior Tribunal de Justiça, il Tribunal Superior de Trabalho, il Tribunal Superior Eleitoral e il Superior Tribunal Militar. A fronte dell’assenza di un rischio accertabile di reiterazione del reato, l’esecuzione della pena in segunda instância viene a caratterizzarsi come una scelta lesiva non solo della già citata presunzione di innocenza dell’imputato, ma parimenti della stessa esistenza di uno Stato fondato sul diritto, in ciò confermando, ove mai ve ne fosse bisogno, la direzione autoritaria, che orienta le scelte dell’attuale governo Bolsonaro. Di uguale tenore autoritario sembra essere un’altra delle misure previste dal pacchetto sicurezza di Sérgio Moro, quella relativa ad un maggiore impatto dell’azione giuridica svolta da parte dei Tribunais de júri, quale, ad esempio, l’esecuzione immediata della pena in caso di omicidi. Sotto questo profilo la questione si presenta particolarmente delicata, dal momento che la stessa esistenza di questi tribunali è da sempre oggetto di accese polemiche tra i giuristi. Sintetizzando al massimo, i Tribunali di júri, previsti dall’articolo 5°, inciso XXXVIII, della Costituzione brasiliana, si basano su giudizi emessi da giurie popolari e, stante il Codice penale brasiliano, presso tali tribunali possono essere giudicati esclusivamente quei crimini ritenuti – direttamente o in connessione – dolosi contro la vita, quali: omicidio, induzione, istigazione o ausilio al suicidio, infanticidio e/o aborto. Le maggiori perplessità riguardo all’esistenza di simili tribunali vertono principalmente, ancorché non esclusivamente, sul fatto che le sue decisioni, oltre ad essere affidate a giurie popolari, non hanno la necessità di essere fondate su di qualche argomento razionale. Ciò viene ad aprire un pericoloso spazio di arbitrarietà in seno alle decisioni assunte da questo tipo di tribunale, spazio, che, tuttavia, gli è strutturalmente inerente e che, all’interno di uno Stato di diritto maturo, dovrebbe portare al superamento di questo tipo di istanza giuridica. Egualmente problematica risulta essere l’eventuale esecuzione immediata della pena, a seguito di sentenza emessa da un Tribunale de júri, in caso di omicidio.
Tale misura prevista nel pacchetto predisposto da Moro verrebbe a recepire un preciso indirizzo recentemente espresso dalla Prima Sezione del Supremo Tribunale Federale, il quale aveva accettato l’interpretazione del ministro Luís Roberto Barroso, secondo cui le decisioni del Tribunale di júri sono decisioni sovrane. Di contro a questo indirizzo, si era posto lo Habeas Corpus presentato dal ministro Marco Aurélio, che intendeva porre in risalto come, in assenza di motivate ragioni, la detenzione del soggetto condannato a seguito di decisione del Tribunale di júri verrebbe a caratterizzarsi come pena anticipata, ciò che violerebbe il principio costituzionale della presunzione di innocenza. Tra le altre misure proposte dall’ex-giudice della Lava Jato, le quali rischiano di avere un impatto fortemente pregiudicante del già fragile equilibrio su cui poggia lo Stato di diritto brasiliano, vi sono quelle riguardanti i meccanismi attraverso i quali evitare la prescrizione. Meccanismi, perversi e kafkiani, per mezzo dei quali un imputato potrà restare, vita natural durante, sospeso in un limbo in attesa di giudizio. Altro elemento presente nel pacchetto sicurezza di Moro è il più volte discusso inasprimento delle pene a fronte dell’uso di denaro non dichiarato da parte di soggetti politici candidati alle elezioni. Si tratta del famigerato caixa dois. Una proposta, che prevederebbe anche l’esclusione dell’amnistia con riferimento a fatti passati, che, al presente, siano oggetto di processo o di indagini. Sarebbe questo il caso dell’attuale Ministro della Casa Civile, figura di governo assai prossima al Presidente della Repubblica, Onyx Lorenzoni, al quale Moro aveva già dispensato il suo perdono, adducendo, a puerile motivazione, il fatto che Lorenzoni si fosse scusato per i centomila mila reais ricevuti dal colosso delle carni JBS al fine di sostenere parte delle spese elettorali nella campagna del 2014. Lorenzoni, che, peraltro, risulta indagato per avere ricevuto altri 100 mila reais nel 2012. Il tempo, come si dice, è galantuomo e vedremo se le previste riforme di Moro investiranno anche componenti dell’attuale esecutivo o se, come spesso accade in Brasile, si continueranno ad usare due pesi e due misure. Vi è, comunque, che anche questa misura risente della medesima miopia di analisi, che sembra essere congenita al ministro Moro. La miopia propria di chi vuole vedere risolto ogni problema di tipo politico-sociale, aumentando le pene o creando nuove fattispecie di reati. Difficilmente si potranno ottenere successi, con riferimento al caixa dois, fino a quando non si approccerà una tale problematica a partire da un ragionamento coinvolgente più attori sociali e soprattutto regolamentando, in una misura non ideologica, tutto l’intricato sottobosco del lobbismo, da sempre, intrinsecamente legato alla politica brasiliana. Articolare un simile progetto secondo una lettura complessa del problema caixa dois, come pure della verticistica struttura sociale brasiliana, sarebbe senz’altro opera meritoria, contrariamente all’inasprimento delle pene, misura populista, ideologica e di corto respiro.
La classica ciliegina sulla torta
Tuttavia, alla presente galleria degli orrori, tocca aggiungere la classica ciliegina sulla torta consistente nella possibilità di riduzione della pena o (assai più probabile) di non punibilità nei confronti di quei rappresentanti delle forze dell’ordine, che, nell’esercizio della propria attività, causino la morte di altri soggetti. La proposta, sorta di traduzione in termini giuridici dello slogan bolsonarista ‘bandido bom é bandido morto’, prevede che il giudice possa ridurre la pena della metà o (di nuovo, assai più probabile) non sanzionare in alcun modo l’operato del poliziotto, qualora l’eccesso di quest’ultimo sia stato provocato da “comprensibile paura, sorpresa o violenta emozione”. Appare evidente come le tre fattispecie menzionate riconducano sullo sdrucciolevole terreno di una interpretazione dell’emotività, lasciata al giudice, che si tradurrà, di fatto, in un assegno in bianco staccato ai vari corpi di polizia brasiliani, non certo noti a livello mondiale per la loro moderazione nell’uso di metodi violenti, soprattutto quelli riguardanti le armi da fuoco. Più nel dettaglio, la nuova proposta contenuta nel Codice Penale per il cosiddetto ‘excludente de ilicitude’ (esclusione di azione illegale) permetterà che il rappresentante delle forze dell’ordine, che agisca per prevenire un’aggressione o il rischio di un’aggressione, sia considerato come se stesse agendo per legittima difesa. Secondo la legislazione attuale, che il progetto di Moro intende alterare con i summenzionati elementi emotivi, l’agente in servizio può reagire solo in presenza di una minaccia concreta o di una azione criminosa effettivamente in corso. Giusto per avere un’idea di come le varie polizie operano in Brasile, soltanto nel 2017 si sono registrati 5.012 morti causati da operazioni di polizia, a fronte di un numero di rapine, conclusesi con vittime, pari a 2.247. In altri termini, in Brasile è più semplice morire per mano di un poliziotto che non per mano di un bandito.
Secondo l’avvocato penalista Antonio Carlos de Almeida Castro, parte delle proposte presenti nel pacchetto presentato da Moro finiranno inevitabilmente per “aumentare la presenza di poveri” all’interno dei già affollati e classisti penitenziari brasiliani, “senza contare l’aumento delle persone povere, nelle periferie, che saranno ‘abbattute’ in nome della legalità”. Anche il Forum Brasiliano di Pubblica Sicurezza, con una nota ufficiale, ha fatto registrare la propria contrarietà al pacchetto sicurezza presentato da Moro, rilevando come siano del tutto ignorati temi importanti, quali la riorganizzazione su scala federale dei corpi di polizia e il loro funzionamento, in termini di avanzamenti di carriera e strutture. Più ancora, rileva la nota del Forum, non vi è nessuna chiarezza con riferimento alle pur necessarie azioni che i singoli governi statuali e quello federale dovrebbero assumere al fine di risolvere la piaga della corruzione all’interno dei vari corpi di polizia, ciò che rappresenta uno degli aspetti che più contribuisce alla formazione delle milizie. Perplessità che si aggiungono a perplessità, dunque, all’interno di un perimetro storico-sociale fortemente segnato da abusi di ogni tipo perpetrati nel corso del tempo da gruppi e singoli rappresentanti delle forze dell’ordine. Dal massacro di meninos de rua davanti alla Chiesa della Candelaria, a Rio de Janeiro, la notte del 23 luglio 1993, fino ai cosiddetti ‘Crimini di maggio’, risalenti al 2006, in cui oltre 500 persone furono uccise per rappresaglia a seguito degli attacchi portati dal PCC alle forze di polizia, le quotidiane cronache brasiliane mostrano costantemente quanto sottile possa essere il confine che separa una legittima azione delle forze dell’ordine a tutela dei cittadini dall’abuso di potere delle medesime sotto forma di esecuzioni sommarie (come è il caso dei Crimini di maggio) o di formazioni di milizie (o squadroni della morte che dir si voglia) come nel caso del Massacro della Candelaria. Una situazione, questa, che il pacchetto di riforme proposto dal ministro Moro potrà soltanto peggiorare, scavando ancora di più il solco all’interno del già conflittuale contesto sociale brasiliano attraversato da disuguaglianze economiche devastanti e da una cronica mancanza di accesso a educazione, cultura e salute da parte delle classi povere e miserabili (ossia al di sotto della soglia di povertà) formate in maggioranza da neri e da quello che resta delle varie tribù indigene. Fino a quando i nodi razziali e sociali, che ancora attanagliano il gigante sudamericano dai piedi di argilla, non saranno, se non sciolti, quantomeno drasticamente attenuati, a queste latitudini ci troveremo sempre a fare i conti con lo sceriffo di turno, il demagogo di turno, il giudice prestato alla politica per il quale ogni questione sociale è, da ultimo, solamente una questione di ordine pubblico.
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