Rendere impossibili i conflitti armati. Il pacifismo di Albert Einstein nella lettera a Sigmund Freud
di Pasquale Pugliese
[Note dall’intervento al Maggio filosofico, 2023]
Lo scambio di lettere tra Albert Einstein e Sigmun Freud sul “perché la guerra?”, avvenuto tra il luglio e l’agosto del 1932 – ossia quattordici anni dopo “l’inutile strage” (Benedetto XV) della Grande guerra e sette anni prima della Seconda guerra mondiale – ci aiuta ancora a riflettere sul tragico ritorno della guerra in Europa e sul suo necessario superamento. Albert Einstein scrisse la celebre lettera a Sigmund Freud, su invito della Società delle Nazioni, ponendo al padre della psicoanalisi la domanda cruciale: “c’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?”. Mentre rimando al carteggio tra i due per l’articolata risposta di Freud ed agli psicoanalisti per i relativi approfondimenti, metto a fuoco qui alcune delle questioni poste da Einstein che contengono già alcune risposte, su un piano politico-filosofico, che rivestono un particolare interesse anche in riferimento alle nostre urgenti domande sulla guerra nella quale siamo, qui ed ora, pericolosamente immersi. Del resto già allora Einstein era consapevole del fatto che “col progredire della tecnica moderna rispondere a questa domanda è divenuto una questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta”. La quale, infatti, pochi anni dopo sarebbe stata travolta dalla barbarie nazifascista e dalla nuova catastrofica guerra, che avrebbe lasciato come eredità le armi nucleari, spada di Damocle permanente sull’umanità, con la quale anche la generazione presente è costretta a fare i conti. Non a caso si attribuisce allo stesso Einstein il noto aforisma, pronunciato dopo Hiroshima e Nagasaki, secondo il quale dichiara di non sapere con quali armi sarebbe stata combattuta la terza guerra mondiale, ma di certo la quarta lo sarebbe stata con le pietre e con le clave.
La prima risposta che fornisce Einstein alla sua stessa domanda è quella propria del “pacifismo giuridico”, che prevede la costituzione di un’autorità internazionale capace di mediare i conflitti: “gli Stati creino un’autorità legislativa e giudiziaria col mandato di comporre tutti i conflitti che sorgano tra loro”. E’ la visione kantiana della “pace perpetua” come frutto della federazione degli Stati che rinunciano agli eserciti permanenti, la quale – impossibile da realizzare per la Società delle nazioni – avrebbe dovuto trovare la sua concretezza nelle Nazioni Unite che nel 1945 nascono proprio con il fine di “liberare l’umanità dal flagello della guerra”, costruendo la pace con “mezzi pacifici” (Carta dell’ONU). Eppure, continua Einstein, con grande realismo, siamo lontanissimi dalla realizzazione di questa possibilità perché “la sete di potere della classe dominante è in ogni Stato contraria a qualsiasi limitazione della sovranità nazionale”. E, nella sua accusa, Einstein non rimane nel generico ma entra nello specifico, puntando il dito contro quel sistema che il presidente USA Dwight D. Eishenhower, nel discorso di addio alla nazione del 1961, avrebbe definito il “complesso militare-industriale”. “Penso soprattutto” – scrive Einstein – “al piccolo ma deciso gruppo di coloro che attivi in ogni Stato e incuranti di ogni considerazione e restrizione sociale, vedono nella guerra, cioè nella fabbricazione e vendita di armi, soltanto un’occasione per promuovere i loro interessi personali e ampliare la loro personale autorità”. E’ tema di stringente e drammatica attualità: se facciamo l’operazione di dividere le spese militari globali del 2022, che il SIPRI di Stoccolma ha indicato nella cifra, mai raggiunta prima, di 2.240 miliardi di dollari – 130 miliardi in più del 2021 e 500 miliardi in più di dieci anni prima – per il numero dei giorni dell’anno, risulta che i governi spendono in armamenti 6,13 miliardi di dollari al giorno, mentre finanziano le Nazioni Unite per un bilancio di 3,4 miliardi di dollari all’anno. Impossibile preparare credibili mezzi di pace con questa abissale sproporzione rispetto alla preparazione e al finanziamento dei mezzi di guerra. Non a caso, un illustre fisico dei giorni nostri, Carlo Rovelli ha denunciato – come Einstein – esattamente questo scandalo dal palco del Primo Maggio a Roma, in diretta televisiva. Suscitando lui grande scandalo, anziché il fatto denunciato.
Ma, si chiede ancora Einstein, com’è possibile che questa minoranza che fa affari con le guerre “riesca ad asservire alle proprie cupidigie la massa del popolo, che da una guerra ha solo da soffrire e perdere?”. Ed anche su questo lo scienziato delinea nella lettera a Freud una risposta che ha pienamente valore – o addirittura maggiore – anche per i nostri tempi: “la minoranza di quelli che di volta in volta sono al potere ha in mano prima di tutto la scuola e la stampa, e perlopiù anche le organizzazioni religiose. Ciò consente di organizzare e sviare i sentimenti delle masse rendendoli strumenti della propria politica”. Salvo che per la chiesa cattolica, che papa Francesco ha posto decisamente dalla parte del pacifismo anziché del bellicismo, per il resto la lettera di Einstein del 1932 anticipa e spiega il meccanismo della “violenza culturale”, oggi dispiegata attraverso mezzi di comunicazione di massa estremamente più potenti, che, secondo Johan Galtung fondatore negli anni ‘60 dei peace studies, sta alla base e fonda tanto la legittimazione ideologica della guerra (violenza diretta) che delle strutture – spese militari, armi, eserciti, commercio di armamenti (violenza strutturale) – che la preparano e la rendono possibile.
Verso la fine della lettera Einstein aggiunge di essere consapevole di avere messo a fuoco nel suo testo le guerre, in quanto conflitti armati internazionali, trascurando i conflitti interpersonali, nel quale opera l’istinto aggressivo – ambito nel quale è esperto il suo interlocutore Freud – “ma”, spiega “la mia insistenza sulla forma più tipica, crudele e pazza di conflitto tra uomo e uomo era voluta, perché abbiamo qui l’occasione migliore per scoprire i mezzi e le maniere mediante i quali rendere impossibili i conflitti armati”. Ponendo così il tema cruciale sul quale Einstein avrebbe continuato a lavorare per tutta la vita, in particolare dopo l’invenzione e l’uso delle atomiche da parte degli USA, anche con l’estremo appello scritto insieme a Bertrand Russell nel 1955, qualche mese prima di morire. Ossia la costruzione dei mezzi alternativi alla guerra per la risoluzione dei conflitti, principio alla base non solo del “pacifismo strumentale” – secondo l’articolazione che ne ha fatto Norberto Bobbio – di cui è parte la teoria e la pratica della nonviolenza, ma anche a fondamento della Costituzione italiana che “ripudia la guerra”, non solo “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, ma anche come “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, indicando così alle generazioni successive la necessità di costruire mezzi alternativi ad essa per affrontare le controversie. E’ introduzione dell’etica della responsabilità – in quanto etica per la politica nell’età della tecnica (Hans Jonas) – nella Carta costituzionale, seppur disattesa e, addirittura, ormai sempre più spesso ripudiata.
Oggi che siamo all’interno di una crisi sistemica globale – che è contemporaneamente climatica, energetica, idrica, alimentare e pandemica – che genera infiniti conflitti, al punto che, secondo il monitoraggio internazionale dell’Uppsala conflict data program dell’Università di Uppsala, oltre alla guerra in Ucraina sono attivi sul pianeta contemporaneamente 170 conflitti armati – a bassa, media e alta intensità – di cui alcune decine classificabili come vere e proprie guerre, è necessario recuperare integralmente il messaggio di Albert Einstein, altrimenti – con 13.000 testate nucleari puntate contro le teste di tutti – non ne usciremo vivi. Ciò significa fuoriuscire, in maniera definitiva, dal pensiero magico e falso secondo il quale si vis pacem para bellum – se vuoi la pace prepara la guerra – ed entrare, finalmente e decisamente, anche nel campo dei conflitti internazionali, all’interno del pensiero logico e razionale, con il ribaltamento operato e indicato da Aldo Capitini: se vuoi la pace prepara la pace.