L’ultima geopolitica: tra Leviatano e Behemoth
di Giorgio Gattei
1. Racconterò una favola, quella del Leviatano che lotta contro Behemoth. Al giorno d’oggi non va di moda il termine favola, che appare disdicevole, e si preferisce parlare piuttosto di “narrazioni” che risulterebbero necessarie per imbrigliare il disordine del mondo in una maniera comprensibile che possa essere di guida al comportamento politico più acconcio. E siccome adesso ci si è convinti che anche l’economia è un tipo di narrazione, e quindi è anch’essa una “favola”, partirò dalla favola economica che più grande non ce n’è, quella che racconta dello sfruttamento del lavoro salariato da parte dei capitalisti percettori di profitti, rendite ed interessi, quale è consegnata nelle pagine straordinarie del Capitale di Karl Marx.
Questa “favola” ha riscosso così tanto successo in passato (ma oggi non più di tanto) che da essa sono derivate altre narrazioni altrettanto favolose, come quella del Partito che, baciando la classe operaia addormentata, la risveglierebbe a volontà rivoluzionaria, oppure quella della caduta del saggio del profitto che, nel racconto del Capitale, dovrebbe svolgere la medesima funzione conclusiva del Crepuscolo degli dei nell’Anello del nibelungo di Richard Wagner. Ma dal Capitale è uscita fuori anche la favola dell’imperialismo per opera di quel grande narratore russo che si faceva chiamare Lenin (che però non è il suo vero nome): siccome i soggetti capitalistici sono plurimi, essi competono nell’arena del mondo sotto forma di Stati-nazione che cercano di accaparrarsi commercialmente, e anche militarmente qualora non basti, le maggiori aree di sfruttamento. E proprio così non era successo all’inizio del Novecento quando la competizione imperialistica, fino ad allora mantenutasi aggressiva ma pacifica, era sfociata nel grande macello della guerra mondiale del 1914-1918.
Non a caso Lenin aveva scritto il suo Imperialismo nel 1917, ossia proprio nel pieno di quel macello, però forse avrebbe fatto meglio ad intitolarlo Imperialismi al plurale, essendo diversi quelli che allora si combattevano un po’ dappertutto. Comunque quel titolo è poi andato bene nella seconda metà del Novecento quando, al termine del Secondo Macello Mondiale, l’imperialismo americano ha messo sotto tutela tutti gli altri imperialismi per salvarli dalla minaccia di quelle parti del mondo che avevano preso a sottrarsi al loro dominio: la Russia “sovietica” proprio dal 1917 e poi la Cina “rossa” dal 1949. Ma se, per similitudine, ci azzardassimo a considerare anche l’URSS come potenza imperialistica, potremmo dire che dal 1945 al 1989 (allorquando, inaspettatamente ai più, l’Unione Sovietica è miserabilmente implosa), siamo vissuti in una condizione di imperialismo bipolare: l’età della “guerra fredda” tra USA e URSS, come amano invece definirla i politologi. Sul momento gli Stati Uniti si sono trovati nella beata condizione di un imperialismo unipolare che qualcuno ha provato a chiamare Impero, per distinguerlo dall’imperialismo di Lenin, ma con poca fortuna perché l’occasione imperiale è durata poco perché subito le nazioni europee, fino ad allora subalterne, hanno provato ad alzare la testa dandosi la forma di una Unione politica in seguito anche monetaria, la Russia ha riscoperto la propria vocazione egemonica zarista e la Cina (che era rimasta “rossa”) si è buttata a competere commercialmente con ogni altro.
Ci siamo così ritrovati in una dimensione planetaria di unità-stato concorrenti che la Rete dei Comunisti ha battezzato nei propri convegni di “competizione globale”, ma che è denominazione che non mi ha mai soddisfatto. Io preferirei parlare di imperialismi geopolitici allo scopo di introdurre immediatamente quell’importante aggettivo qualificativo che, se per tanti rinvia ad una “scienza che non c’è” (o piuttosto non c’era, perché adesso se ne scrivono addirittura dei manuali), sta però alla base di tante decisioni diplomatiche internazionali. Ora la geopolitica è un’altra grande favola che è stata messa in circolazione per la prima volta dal geografo britannico Halford Mackinder in una conferenza del gennaio 1904 tenutasi presso la Royal Geographical Society di Londra. Però non è di essa che per adesso intendo parlare, bensì di quell’altra favola, ancor più favolosa, che è stata narrata nel 1942 dal giurista nazista Carl Schmitt alla figlia, che di nome faceva Anima, in un libretto dal titolo Terra e mare. Una riflessione sulla storia del mondo (in traduzione italiana: Adelphi, 2002).
2. In questa favola si racconta che tutta la storia del mondo potrebbe essere ricondotta alla lotta dei “popoli del mare” contro i “popoli della terra”, e questo fin dai tempi dell’Atene marinara di Pericle contro il terrestre impero persiano. Ora questi due popoli, che si combattono per la supremazia planetaria, si distingono sia per il modo di essere (più liberi i primi, come l’acqua; più solidi i secondi, come il suolo) che per la maniera di combattere ed è per questo che, a giudizio di Schmitt, la trama generale della storia può essere ridotta alla «lotta continua tra le potenze terrestri e le potenze marinare».
Simbolicamente per Schmitt, che così entra direttamente nella dimensione della favola, questo conflitto troverebbe rappresentazione nel Libro di Giobbe della Bibbia nello scontro tra i due mostri leggendari del Leviatano, animalaccio marino, con il Behemoth, che è invece bestiaccia di terra, con ognuno dei due che cerca di trascinare l’altro nel proprio ambiente naturale per vincerlo. Fisicamente identificati il Leviatano in una balena (che, nonostante nuoti nel mare, è un mammifero che partorisce figli vivi e li allatta sott’acqua) e Behemoth in un orso, in un ippopotamo ed infine in un elefante da Giovanni Calvino, quest’ultimo cercherebbe di trascinare la balena all’asciutto per squarciarla con le unghie o le zanne, mentre il Leviatano tenterebbe di soffocare l’avversario chiudendogli il naso e la bocca con le pinne. Fuor di metafora, siamo davanti alle due strategie di lotta geopolitica che sono disponibili: per Behemoth gli “scarponi sul terreno” dove il Leviatano si impaluda, mentre la maniera di combattere del Leviatano è «la rappresentazione del blocco di una potenza terrestre da parte di una nazione marinara che taglia i rifornimenti al paese per affamarlo». Sono queste le sanzioni economiche e gli interdetti navali che si distinguono per l’estrema durezza perché, mentre la guerra terrestre coinvolge soltanto le truppe impegnate in battaglia e i civili che si trovano sulla linea del fronte, la guerra marittima è universale: avendo alla base «l’idea che debbono essere colpiti il commercio e l’economia del nemico, nemico è in una guerra di questo tipo non solo l’avversario combattente ma ogni cittadino dello Stato nemico e perfino anche quello neutrale che commercia col nemico e ha con lui relazioni economiche». Per questo, è la conclusione di Schmitt, se la guerra di terra è guerra di eroi, quella di mare è guerra di briganti.
Storicamente, nell’Ottocento a far da Leviatano è stata la Gran Bretagna, questa “isola per eccellenza” che ha ostacolato ogni potenza continentale europea che provasse ad emergere, come la Spagna, l’Olanda, la Francia, la Russia o la Germania. Ma nel 1942, quando narra la favola alla figlia, Schmitt ha compreso che l’insularità britannica non basta più davanti alla dimensione planetaria raggiunta dalla storia e che ormai soltanto gli Stati Uniti possono essere considerati «la vera isola adeguata ai tempi nuovi», ma senza bisogno di abbandonare il vecchio Leviatano britannico che anzi soltanto «mediante un legame delle due potenze anglosassoni… l’appropriazione inglese del mare può venire eternizzata e, come dominio marittimo anglo-americano sul mondo, proseguita in dimensioni ancora più grandi». E’ stato questo il germe della straordinaria “relazione speciale” che Winston Churchill ha sperimentato con gli USA durante la seconda guerra mondiale e a cui ha poi dedicato la narrazione della Storia dei popoli di lingua inglese in quanto accomunati, innanzitutto, dall’identico parlare (mentre sul continente perdura invece una babele di lingue: tedesco, francese, spagnolo, italiano, perfino il russo!). Per questo è fuor di ragione che l’insulare Gran Bretagna possa fare alleanza stabile con la terraferma e se per caso essa è entrata nella UE (ma non nella moneta comune, essendo troppo orgogliosa della sua meravigliosa sterlina), adesso con la Brexit torna a separarsene con la benedizione del presidente americano (che le ha riofferto la special relationship), lasciando i terricoli europei al loro incerto destino.
3. Ma Behemoth come sta? Per niente bene perché, come sappiamo dal Commento al Libro di Giobbe di san Girolamo, esso è una «bestia plurima» composta di parti diverse che tendono ad andarsene ciascuna per conto suo. Geograficamente queste parti sono l’Europa, la Russia, la Cina e il Medio Oriente (l’India è fuori contesto perché separata dall’invalicabile catena himalaiana), ed è qui che deve soccorrere la “favola geopolitica” di Mackinder perché tra di esse c’è una parte privilegiata, un «perno geografico della storia» (chiamato Heartland, ossia il “cuore della terra”) che coincide con l’estensione euro-asiatica della Russia e il cui governo può assicurare il dominio del mondo. Però alla sola condizione che, essendo la Russia ristretta dentro la massa continentale, essa arrivi a traboccare su di una di quelle “terre di confine” (o Rimlands, come denominate dal successivo geopolitico americano Nicholas Spykman) che la circondano e si aprono sui mari caldi e che sono: l’Europa sull’Atlantico, la Cina sul Pacifico ed il Medio Oriente sul Mediterraneo. E’ stato questo destino geopolitico manifesto ad imporre al Leviatano anglo-americano di farsi “custode del mondo libero” per impedire la proiezione planetaria, anche soltanto diplomatica, di una Russia che, zarista, sovietica o “putiniana”, resta pur sempre il “cuore della terra”.
Al momento, verso l’Europa la Russia è stata stoppata dalla NATO (l’Alleanza Atlantica anti-sovietica che sopravvive a dispetto della scomparsa dell’URSS) la quale, dopo il crollo del Muro di Berlino, si è spinta in avanti inglobando quasi tutti i paesi ex-satelliti di Mosca. Però quando ci ha provato con l’Ucraina, ha incontrato l’opposizione di Putin che intanto si è ripreso la Crimea (dove peraltro è alloggiata la flotta russa del Mar Nero) e poi sostiene la secessione armata del Donbass. Gli Stati Uniti hanno allora imposto all’Unione Europea di applicare sanzioni agli scambi commerciali e finanziari con Mosca, nonostante che ciò le risulti dannoso per gli affari con un partner con cui condivide addirittura la contiguità territoriale. D’allora in poi sul fronte europeo i due mostri biblici Leviatano e Behemoth non fanno altro che guardarsi in cagnesco, ma guardandosi bene dal compiere quel gesto estremo che potrebbe portarli ad una aggressione militare diretta.
Nel Medio Oriente, dal “braccio di ferro” portato avanti finora per interposti alleati (la Siria e l’Iran per Mosca, Israele e l’Arabia Saudita per Washington e una Turchia che ambiguamente è nella Nato ma tratta con la Russia) è uscito un tal groviglio geopolitico in cui anche l’antagonismo religioso tra sunniti e sciiti ha finito per sovrapporsi a quello storico tra arabi ed ebrei. E così, dopo i fallimentari interventi militari americani sul campo in Afganistan, Iraq e Siria, adesso il Leviatano conta di riportare “gli scarponi a casa” affidando la difesa del proprio interesse nell’area allo strumento tipico della guerra marittima: le sanzioni economiche. Ma con opportuni distinguo perché l’Iran viene colpito selvaggiamente, mentre nulla si fa contro l’Arabia Saudita che macella la popolazione sciita in Yemen ed alla Turchia si lascia mano libera in Siria contro i Curdi, sebbene costoro si siano sacrificati, anche a nome dell’occidente cristiano, battendosi contro il fondamentalista Stato Islamico in Siria ed Iraq (ISIS, se letto all’incontrario).
Ma, pur se stoppata ad ovest e impaludata a sud, alla Russia resta ancora aperta la via dell’Oriente, in direzione di quella Cina “rossa” con cui condivide il confine siberiano e dove è già in gestazione uno spazio economico unico che potrebbe rappresentare l’embrione di una futura Russasia in direzione opposta a quella “Eurasia” divinata dal generale de Gaulle che avrebbe dovuto andare “dall’Atlantico agli Urali” (ma perché mai non fino a Vladivostok?). E proprio qui si sta aprendo quella “nuova via della seta” (che sarebbe la “via delle steppe” da Mosca a Pechino alla Michele Strogoff, per intenderci) in funzione alternativa alla “via della seta” di Marco Polo attualmente impraticabile per la confusione geopolitica medio-orientale, e con vantaggi per entrambi i partner perché la Cina esporterebbe in Russia manufatti e capitali e la Russia cederebbe materie prime ed energia. Tuttavia, al momento questa entità geopolitica non esiste ancora, così che il Leviatano anglo-ameericano si trova a fronteggiare separatamente all’estremo oriente il Behe (russo) ed il Moth (cinese) precipitando così in una logica di “triello” in cui, diversamente dal duello dove chi spara per primo vince, il primo che spara perde perché il terzo lo ammazza, a meno che due contendenti non si alleino fra di loro riportando il triello alla modalità del duello.
E’ questo il dilemma geopolitico che attanaglia al momento la diplomazia di Washington, ben consapevole che, a considerare sia la Russia che la Cina come nemici, non farebbe altro che affrettare la loro convergenza sistemica che ancora non c’è, ma che resta indecisa su quale delle due debba essere considerata, per adesso, il nemico principale: l’Heartland russo oppure il Rimland cinese?
4. Ci sono già stati dei precedenti storici di un “triello” risolto a duello, come durante la seconda guerra mondiale, iniziata nel 1939 sulla base di un accordo nazi-sovietico (di cui ha fatto le spese la povera Polonia) che escludeva il terzo incomodo, ossia la Gran Bretagna, ma che poi è continuata dal 1941 con l’alleanza vittoriosa di Churchill+Roosevelt+Stalin contro il “nemico assoluto” Adolf Hitler. E poi, nel 1971, c’è stata l’astuta “diplomazia del ping pong” ideata dal geopolitico americano Henry Kissinger per staccare Pechino dall’alleanza “naturale” (in quanto entrambi Stati comunisti) da Mosca. Ma ora cosa è peggio per Washington+Londra tra la Russia di Putin e la Cina di Xi?
Secondo la vecchia logica della “guerra fredda” il nemico militare principale resterebbe la Russia, ma la guerra fredda è alle spalle e la Cina si presenta ben più agguerrita sul terreno economico. Entrata di prepotenza nel gioco degli scambi internazionali, grazie al proprio avanzo commerciale è diventata una formidabile “creditrice del mondo libero” (per usare una terminologia guerrafreddaia) e da questa posizione di forza lavora per insidiare la supremazia del dollaro quale moneta di riserva mondiale, come peraltro a suo tempo aveva fatto il dollaro a scapito della sterlina. E’ vero che attualmente non è presente alcun pericolo reale, dato che lo yuan incide sulle riserve valutarie soltanto per il 2% (mentre l’euro pesa per il 20%, ma l’Unione Europea manca di una politica estera comune e l’euro è facilmente ridimensionabile a togliergli, con le sanzioni, quel suo maggior fattore di successo che sono le esportazioni “extra UE”). Ma siccome, come si dice, anche i giganti hanno cominciato da piccoli, è più facile batterli finché sono piccini perché poi dopo non ci si riesce più.
Per questo agli USA converrebbe intervenire fin da subito abbracciar l’orso russo per separarlo dal dragone cinese, ma a Washington sono incerti perché il cosiddetto deep State, ingrassato dalla “guerra fredda”, continua a giudicare Mosca come il “nemico principale”, mentre è piuttosto l’ultra-destra repubblicana, che è industrialista, a vedere nella Cina il maggior pericolo per quelle sue esportazioni di merci concorrenti con quelle americane. In Fuoco e furia (Rizzoli, 2018) di Michael Wolf, reportage scandalistico sulla conquista della Casa Bianca da parte dell’outsider Donald Trump grazie al sostegno della “eminenza grigia” Steve Bannon, è proprio Bannon che a domanda risponde: «‘In fondo che cos’ha la Russia che non va? Certo, sono i cattivi, ma il mondo è pieno di cattivi’… Il vero nemico, riprese Bannon, è la Cina. La Cina è il fronte principale di una nuova Guerra fredda. E negli anni di Obama nessuno se n’era accorto: credevano di sapere, invece non avevano capito niente. Colpa dell’incompetenza dell’intelligence americana… ‘E qual è la posizione di Donald in proposito?’… ‘E’ d’accordo con me al cento per cento.’ ‘E’ sul pezzo?’ ‘Quanto basta’».
5. Ma riuscirà il Leviatano anglo-americano ad impedire la ricongiunzione del Behe+moth russo-cinese? Se mai dovesse fallire, si arriverebbe allo scontro diretto dei due mostri biblici giunti alla loro massima potenza. E come potrebbe andare a finire? Lo profetizza l’apocrifa (in quanto non inserita nel canone ufficiale del Vecchio Testamento) Apocalisse siriaca di Baruc: quando «Behemoth si rivelerà dal suo luogo e Leviatano salirà dal mare» buttandosi l’uno addosso all’altro, sui due mostri «contrari alla grandezza del Signore» calerà il castigo ultimo, così che entrambi periranno. E allora, liberato il mondo dalle due mostruosità (geopolitiche?), esse «diverranno cibo per tutti coloro che saranno rimasti… E coloro che avevano avuto fame saranno deliziati e, ancora, vedranno meraviglie ogni giorno… perché loro sono quelli che sono giunti al compimento del tempo». Parola del Signore.