La strage di Palazzo d’Accursio (Bologna, 21 novembre 1920)
a cura di Giorgio Gattei
Le elezioni comunali del 31 ottobre 1920 avevano dato 20.195 voti al Partito Socialista, 8.706 alla lista d’opposizione Pace-Lavoro-Libertà e 5.093 voti al Partito Popolare. Per l’allora vigente sistema elettorale maggioritario, dei 60 seggi del Consiglio Comunale ne furono assegnati 48 al Partito Socialista e 12 alla minoranza, mentre nessuno ne ebbe il Partito popolare. L’insediamento del Consiglio avvenne il 21 novembre seguente, ma fu una tale tragedia per i socialisti (passata alla storia come la “strage di Palazzo d’Accursio”) che da essa è stata poi fatta partire la conquista violenta del potere da parte di Mussolini.
Per quel giorno i fascisti avevano avvertito di voler rovinare la festa e nel pomeriggio del 21 novembre si erano radunati in via Rizzoli, mentre la piazza Maggiore si riempiva di socialisti. Poi qualcuno sparò (chi fu il primo e soprattutto da dove sparò è quesito ormai storicamente insolubile), dopo di che la folla terrorizzata si precipitò per salvarsi dentro il primo cortile del Palazzo Comunale, ma le “guardie rosse” armate che presidiavano la Sala consiliare, credendo ad un assalto fascista gettarono dalle finestre delle bombe a mano nella piazza, mentre nella Sala qualcun altro (anch’esso restato per sempre sconosciuto) sparava contro i consiglieri di minoranza. In totale si ebbero 11 vittime che qui ricordiamo:
nella Sala consigliare: Giulio Giordani
nella Piazza: Livio Fazzini, Antonio Amadesi, Vittorio Fava, Carolina Zecchi, Fulvio Bonettini, Enrico Comastri, Gilberto Cantieri e poi (per le ferite riportate) Leonida Orlandi, Ulderico Lauri, Ettore Masetti.
A seguito della strage il Consiglio comunale fu sciolto d’autorità e sostituito da un Commissario prefettizio. I processi successivi furono inconcludenti.
***
In memoria di quella terribile giornata pubblichiamo: 1) uno stralcio del Verbale del 21 novembre 1920 come è riportato negli Atti del Consiglio Comunale di Bologna; 2) una lettera inedita del 22 novembre 1920 ritrovata da Annamaria Moggio (che qui si ringrazia) nella corrispondenza privata del nonno Vigilio. La lettera, che ha toni di parte, ha il pregio di essere stata scritta “a caldo” da un testimone che era presente nella piazza (e comunque per una ricostruzione storicamente accurata si rinvia a: Nazario Sauro Onofri, La strage di Palazzo d’Accursio. Origini e nascita del fascismo bolognese, Feltrinelli, Milano, 1980).
(1)
Atti del Consiglio Comunale di Bologna, Verbale del 21 novembre 1920
La seduta che segue è quella dell’infausto 21 novembre 1920, nel quale doveva insediarsi la nuova Amministrazione Comunale sortita dalle elezioni del 31 ottobre stesso anno.
La seduta fu tragicamente e repentinamente interrotta, dopo circa un’ora dal suo inizio; perciò non esiste di essa un regolare verbale, non avendo potuto essere questo né approvato, né firmato a sensi di legge.
Si riporta tuttavia qui appresso il resoconto della tragica seduta, perché nella storia del Comune resti traccia anche di questa pagina eccezionalmente triste e dolorosa, resoconto che viene tratto dagli appunti dei Funzionari comunali presenti, e, per quanto riguarda i fatti avvenuti subito dopo l’interruzione della seduta, dalla cronaca dei giornali cittadini.
Il 31 ottobre u.s. ebbero luogo le elezioni generali, e, fattasi la proclamazione dei Consiglieri eletti con manifesto 6 novembre corrente, l’ill.mo sig. Assessore Anziano ff. di Sindaco (uscente) avv. Nino Bixio Scota, convocava, mediante invito 17 novembre corr., il nuovo Consiglio per oggi, alle ore 15, allo scopo di trattare il seguente ordine del giorno:
1°) Accertamento della condizione dei Consiglieri eletti, a’ sensi e per gli effetti degli articoli 26 e 90 della Legge comunale e provinciale.
2°) Nomina del Sindaco.
3°) Nomina della Giunta Municipale.
4°) Ratifica di deliberazioni prese dalla Giunta in forma di Consiglio a’ termini dell’art. 140 della Legge comunale e provinciale.
5°) Approvazione di prelevamenti dal fondo di riserva deliberati dalla Giunta a’ sensi dell’art. 202 della Legge comunale e provinciale.
Trascorsa l’ora fissata e proceduto all’appello nominale risultano presenti:
(omissis)
e giustificata l’assenza:
(omissis)
Assiste il Segretario Generale del Comune Avv. Cav. Mario Sommariva.
Assume la presidenza, come Consigliere Anziano, il signor Bortolotti Rag. Amilcare, il quale dichiara aperta la seduta:
(omissis)
Oggetto: n. 2 all’ordine del giorno
Nomina del Sindaco
Il Consigliere Presidente – dopo aver constatato che i Consiglieri presenti sono 57, invita questi a procedere alla nomina del Sindaco, ed all’uopo dà lettura dell’art. 147 della Legge comunale e provinciale, avvertendo che ciascun Consigliere dovrà presentare una scheda contenente un solo nome.
Raccolte e verificate le schede deposte nell’urna, si ha il seguente risultato:
Votanti n. 57
Gnudi Enio, voti n. 44
Schede bianche, voti n. 12
Astenuti, n. 1
Il Presidente proclama eletto a Sindaco di Bologna il consigliere Gnudi Enio.
(Vivissimi e prolungati applausi dei Consiglieri della Maggioranza e del pubblico).
Chiesta e ottenuta la parola, l’eletto pronuncia il seguente discorso:
“Signori Consiglieri! Il mio pensiero, in quest’ora, ricorre subito alla memoria di un uomo che qui non è più: ad Erminio Zucchini.
Noi, ricordiamolo, ci sentiamo l’animo commosso, perché pensiamo a questa gioventù stroncata così tragicamente, perché chi, come noi, lo conobbe, sa che egli era sempre pronto a prodigarsi per la sua fede e per il suo ideale.
Inchiniamo quindi riverenti e commossi ricordando la sua memoria (applausi).
Il partito socialista è l’espressione sincera e genuina della classe proletaria e trova la sua forza nella disciplina sindacale, ed eleggendo al posto di Sindaco un umile e semplice operaio vuole affermare nel modo più preciso che i diritti della classe operaia, della classe proletaria, saranno difesi anche attraverso il Comune.
Io quindi saluto i rappresentanti della minoranza e poiché da uno di quei valorosi rappresentanti è stato detto che si combatterà lealmente, noi diciamo con franchezza: voi troverete in noi uomini altrettanto leali, ma diciamo anche che se la minoranza dovesse avere carattere di sopraffazione, noi ci difenderemo validamente, perché anche noi, qui, abbiamo degli interessi da difendere che sono quelli dei lavoratori, di tutti i lavoratori del braccio e del pensiero. Sono gli interessi di quegli uomini che nelle fabbriche, nelle officine, nei campi ogni benessere sociale producono e niente hanno per loro. In questi tempi – lasciatemelo dire – contro i nostri ideali si sono usati metodi che dovrebbero essere tramontati. Pare di essere tornati alle lotte delle antiche fazioni! Ebbene, il nostro ideale, lo sappiano gli avversari, è ormai in milioni di cuori, in milioni di menti sparse per tutto il mondo e non si abbatte, non si schianta, non si stronca con agguati e con insidie. L’esempio luminoso di questa nostra fede è la Russia.
Invano le borghesie di tutta Europa, coalizzate, hanno tentato di stroncare quel popolo, che la fede comunista ha creato montagne granitiche insormontabili e ultimamente le orde mercenarie di Wrangel hanno dovuto battere in ritirata. (applausi).
In quest’ora noi dobbiamo anche ricordare tutte le vittime politiche, perché la nostra coscienza, la nostra fede non conoscono tendenze quando ci sono da difendere idee conculcate o quando si tratti di insorgere contro le ingiustizie.
Così noi tutti ricordiamo Errico Malatesta e Armando Borghi ed invochiamo dal Governo l’amnistia perché la fede, l’idealità, non si debbono imprigionare (applausi) e intendiamo fino da questo momento di elevare una parola alta perché il Governo tronchi finalmente gli indugi, tronchi le incertezze e riconosca la repubblica dei Soviet di Russia.
E un’altra parola noi, che siamo uomini del lavoro, dobbiamo dire: intendiamo, cioè, d’elevare una protesta contro il Governo che minaccia di gravare la mano sulla folla aumentando il prezzo del pane.
Ebbene, diciamolo francamente, non sono i lavoratori che debbono pagare, ma sono coloro che dalla guerra, dalle speculazioni hanno guadagnato milioni e milioni!
(vivissimi applausi ai quali si associa anche il pubblico).
Chiede quindi la parola il prof. Albini, che pronuncia il seguente discorso:
La minoranza nei Consigli comunali adempie secondo le circostanze diverse, diversamente il proprio ufficio. Talvolta fa pensare a colui che metta l’ipoteca dove ambisce la proprietà, oppure al proprietario scaduto che serba, finché gli riesce, per sé una cameretta riposta.
Non somiglia a questi il caso nostro. Questo gruppo di uomini, di cui nessuno è partigiano, concorde in un proposito superiore alle varie tendenze di ciascuno, non è animato da così ostili avversioni che gli impediscano di consentire e di cooperare con chiunque si accinga ad amministrare il Comune.
Se questa minoranza è nata a essere opposizione, ciò è effetto solo del programma largamente prevalso, programma così chiaro che non aveva neanche il bisogno di essere spiegato, lasciando il discorso introduttivo alle consuetudini aborrite del passato.
Con ciò non disconosco la sincerità del discorso sindacale, ma noi, eletti solo per amministrare, non dobbiamo pensare a fare altro. Questa fu la parte che ci fu assegnata e che abbiamo accettata. In un tempo come il nostro, nel quale, in omaggio alle libere opinioni, ognuno, nell’affermare la sua tratta per lo meno di beoti i seguaci di tutte le altre, e l’accusa di malafede tenta spesso di colpire i più integri e disinteressati, sono tuttavia molti a credere e a professare che questa Società nostra sia capace di opera ulteriore e non abbia toccato la meta.
Un segno di questo è in ciò che nessuno più vagheggia i ritorni al passato; nessuno rinnega le conquiste che meritano questo onore; nessuno è di così basso cuore che non intenda veder volentieri la vera ascesa di tutti… (interrotto da rumori provenienti dalla piazza)… ma è pur vero che la vita è suscettibile di nuove forme!
Se la Società che così ci ha plasmati si lascia essa da noi riplasmare in meglio non pare urgente distruggerla! Né la distruzione potrebbe mai cominciare dal Consiglio di un Comune, da un Consiglio che sorge dalla legge e verifica per prima cosa la sua costituzione legittima. Del resto, abbattere è male, se non si riconosce e mostra la norma del costruire. Se il cenno dice solo violenza, l’intelletto e il cuore lo respingono… Campo libero e vasto fu dato altrove alle nuove prove: chi conoscendole non le svela, demerita della civiltà umana e della carità fraterna: invece, fosse anche rischioso, è da forti resistere alla propagazione del terribile esperimento…
A questo punto il discorso del prof. Albini è interrotto da clamori e da violente esplosioni che si odono nella piazza e che determinano l’uscita disordinata dall’aula consigliare del Presidente, di molti Consiglieri e dei Funzionari, restando così la seduta interrotta.
Nell’aula entrano persone non appartenenti al Consiglio e che avevano affollati fino allora la parte posteriore della Sala e lo spazio riservato al pubblico. Rimangono nell’Aula anche parecchi Consiglieri di Maggioranza e i Consiglieri di Minoranza avv. Oviglio, avv. Giordani, avv. Biagi, avv. Colliva, avv. Manaresi, geom. Facchini e dott. Ravà, i quali sono fatti oggetto di invettive da parte dei presenti, e specialmente da elementi facinorosi che, non subendo alcun ritegno ai loro istinti malvagi dalla maestà del luogo e dalla sacra persona degli eletti del popolo, qui venuti ad adempiere al loro ufficio civile, repentinamente passano dalle minacce all’azione criminosa, esplodendo numerosi colpi di rivoltella contro il gruppo dei Consiglieri di minoranza.
La rabbia omicida raggiunge specialmente nel suo effetto delittuoso il povero avv. Giordani, mutilato di guerra, che viene ripetutamente colpito in modo mortale.
Rimangono inoltre feriti i Consiglieri avv. Colliva e avv. Biagi, il primo gravemente in bocca, il secondo leggermente.
L’eroico avv. Giordani spirava poco dopo, appena giunto all’ospedale.
Onore a Lui!
Esecrazione ai suoi infami assassini!
1° dicembre 1922
Inserito il presente resoconto nel volume degli atti consigliari del 1920 in obbedienza ad ordinanza in data odierna, n. 46440, dell’Ill.mo Sig. Commissario Prefettizio.
Il Segretario Generale fir.to M. Sommariva
(2)
Bologna, li 22 nov. 20
Carissimo,
Perché ti possa fare un’idea della vita che si vive in questa vecchia e gloriosa Bologna, la quale grazie allo sgoverno dei Bucco e Zanardi è ormai diventata una spelonca di ladri ed assassini, ti spedisco le edizioni straordinarie di questa sera dell’Avvenire e Carlino, ai quali, se non ti dovessero giungere, sopperirà la presente.
Dunque per ieri nel pomeriggio era indetto l’insediamento del nuovo Consiglio Comunale molto rosso e per tale cerimonia erano stati invitati, con pubblici affissi, tutti i compagni a trovarsi numerosi e compatti davanti al Palazzo comunale. Però i vigili Fascisti avevano promesso di guastare la festa, se al Balcone del Palazzo fosse comparsa la bandiera rossa – o il tricolore di cui nessuno ha da vergognarsi o niente bandiere, ed avevano anche ottenuto affidamento che stracci rossi non se ne sarebbero esposti. Alle tre Maggioranza e minoranza (12 deputati del blocco) erano riuniti nella sala del Consiglio. Da una finestra furono lanciati 6 colombi ai quali si erano applicate delle bandierine rosse fiammanti, accolti dal pubblico evoluto sottostante con fragorosi evviva e battimani. Se non che si cominciava così a “mancar di parola”, come al solito, ed a provocare. I fascisti dietro ai cordoni della truppa fremevano. Poi i “compagni” reclamavano con alte grida lo straccio rosso al balcone. Infatti fu aperta la porticina e ben 4 o 5 bandiere rosse comparvero. Allora i fascisti fecero impeto e ruppero i cordoni avanzando per dare la scalata al Municipio. In questo istante si tirò su di loro dal Palazzo del Podestà, mentre da una finestra del Municipio fu lanciata una bomba che, invece di colpire la colonna dei fascisti, scoppiò proprio nel folto dei “compagni” facendone strage. Altre 2 bombe furono lanciate dall’alto nel primo cortile del Cortile [leggi: Palazzo], destinate queste alla truppa ivi ammassata, ma che colpirono invece ancora i compagni che dall’esterno si erano rifugiati nel cortile. Frattanto echeggiarono di fuori sulla piazza ripetute scariche di fucili e rivoltelle: saranno stati sparati dai 500 – 600 colpi se non di più.
In un istante la piazza era sgombra, ma pur troppo giacevano qua e là a terra 8 morti e una sessantina di feriti, parte anche gravi. Mentre questo accadeva di fuori, nell’Aula del Consiglio la Maggioranza assaliva la minoranza a colpi di rivoltella. Cadde, ferito da ben 5 colpi, l’Avvocato Giordani della Minoranza, un mutilato di guerra, che passò 2 anni di martirio in S. Michele in Bosco, dove gli fu amputata una gamba: era un eroe e un fiore di galantuomo, un giovane valente quanto modesto. Io l’avevo avuto scolaro nelle scuole serali e, se non erro, lo devi conoscere anche tu. E’ morto appena giunto all’ospedale e lascia i genitori e la moglie con una bambina di circa un anno. In un manifesto è detto drasticamente che la palle austriache risparmiarono la sua vita per il piombo fratricida. Anche l’avv. Colliva della minoranza è stato colpito gravemente da tre pallottole, si spera tuttavia di salvarlo.
La morte tragica del povero Giordani ha suscitato il generale compianto, perché per il suo carattere schietto e leale godeva larga stima e simpatia; il Fascio dei combattenti ha giurato di vendicarlo e lo farà, ne sono certo. L’autore, pare, sia rimasto, per ora, sconosciuto, ma forse per poco. Ero andato in piazza anch’io e al momento critico mi trovavo in principio di Via Rizzoli e potei rifugiarmi nell’Albergo della Stella d’Italia. Cessata la mischia furono perquisiti tutti i luoghi adiacenti, e così è toccato anche a me di dover alzare le braccia, e farmi perquisire senza frutto s’intende.
Il biasimo per la supina imprevidenza del prefetto è generale, e sarà difficile che possa restare al suo posto; sarebbe ora che lo mandassero a fare il lustrascarpe.
Altre notizie non ho da darti se non che stiamo tutti bene, come speriamo anche di te.
Saluti e baci affettuosissimi,
(firma illeggibile)