La “quarantena” di Bolsonaro: chi c’è al governo del Brasile oggi?*
di Francesco Guerra
Nei giorni scorsi vari giornali e blog, entrambi più o meno attendibili, hanno rimbalzato la notizia di un “golpe senza golpe” ai danni del Presidente Jair Bolsonaro, le cui funzioni sarebbero, di fatto, esercitate dal generale Walter Souza Braga Netto. Ad oggi, la notizia non risulta avere conferme, parimenti il punto della situazione non sembra essere tanto questo, quanto cercare di mettere a fuoco le significative conseguenze politiche che il propagarsi dell’emergenza legata al Covid-19 sta avendo qui in Brasile. Tensioni e rotture, quelle interne alla vasta e scriteriata maggioranza di governo bolsonarista, che vengono da lontano, ossia a dire, da una alleanza essenzialmente fondantesi non in un progetto di governo e ancor meno di nazione, bensì in un-essere-contro, in quell’antipetismo, miope e rancoroso, che ha trasformato il Brasile in un agone politico dove ogni tipo di bassezza sembra ormai possibile e pure consentita.
L’emergenza Coronavirus, entro questo quadro, è stata soltanto la goccia che ha fatto traboccare un vaso, fin dall’inizio, troppo piccolo per contenere le enormi differenze politiche poste al suo interno. Come già detto in precedenza, non so dire se Braga Netto, e non più Bolsonaro, sia l’effettivo Presidente del Paese in questo momento, ma, mi sia permesso dire, trovo la questione alquanto secondaria. In primo luogo, perché i generali già occupano posti-chiave all’interno dell’esecutivo, considerando anche che è un generale il vice di Bolsonaro, ma, più ancora, perché, fin dall’inizio dell’emergenza legata alla diffusione del virus Bolsonaro è un Presidente posto in quarantena da quella stessa maggioranza che, in teoria, guiderebbe. Per rendersi conto di questa situazione è sufficiente seguire le intense attività, soprattutto a mezzo Twitter, dei vari Maia, Presidente della Camera, Alcolumbre, del Senato, del Ministro della Salute, Mandetta, come pure del Presidente e dei vari ministri della Corte Suprema (Supremo Tribunal Federal), a partire dal ministro Gilmar Mendes, e persino di uno degli ex-fedelissimi di Bolsonaro, il Ministro di Giustizia e di Sicurezza Pubblica, Sérgio Moro.
Tra riunioni riguardanti le misure da prendere per fronteggiare l’emergenza Covid-19 e quella, non meno minacciosa e grave, della crisi economica, alle quali non è sistematicamente invitato, la sempre più marcata sinergia tra il ministro Mandetta, il Presidente della Camera Maia e il Congresso, possiamo dire che la questione riguardante la guida dell’esecutivo in Brasile appare del tutto secondaria, perché, di fatto, un esecutivo, stricto sensu, non sembra più esserci. L’articolazione politica appare sempre più affidata ad una sorta di pentavirato, dove, ai tre attori politici citati, occorre aggiungere la Corte Suprema, i cui contrasti all’interno sembrano avere lasciato il posto ad un fronte comune compatto nella lotta al Coronavirus, e la cosiddetta cúpula militare, la quale, già dalla fine di marzo, sta mandando segnali sempre più forti nella direzione del Generale Mourão, attuale vice di Bolsonaro.
Uno stato di cose, che, come sempre accade in Brasile, può aprire a qualsiasi tipo di scenario politico, nel breve e nel medio termine, ma che, di fatto, polarizza ancor più il già precario clima politico brasiliano. Lo polarizza nel senso che la quarantena imposta a Bolsonaro dai suoi stessi alleati e semi-alleati, considerando le variegate posizioni interne alla Corte Suprema, sta spingendo sempre più il Presidente tra le braccia del suo popolo, di fatto, radicalizzandone le posizioni anti-scientifiche riguardo al virus, inclusa la volontà di porre fine alla quarantena della popolazione, in questo incentivato da taluni industriali da sempre pietre angolari della dissennata e fanatica narrativa bolsonarista.
Mai come in questo momento Bolsonaro risulta essere un guscio vuoto, che in un cortocircuito logico alimenta il suo personaggio con ogni paccottiglia olavista pre-moderna, che tanto piace allo zoccolo duro più regressivo del suo elettorato. Non è un caso che in questi giorni abbia fatto riferimento al leader autoritario ungherese Viktor Orbán, facendo balenare l’idea che, ove lo ritenesse necessario, potrebbe forzare la mano, aggiungendo di avere un decreto pronto nel cassetto per la riapertura di tutti gli esercizi commerciali, attualmente chiusi, eccetto supermercati e farmacie, per volere dei governatori dei singoli Stati. Nell’intervista alla radio Jovem Pan, inoltre, Bolsonaro citava “personaggi potenti”, che vogliono allontanarlo dalla presidenza, la qual cosa più che far pensare ad una qualche versione tropicalizzata di Orbán sembra richiamare alla mente la disconnessa e fallimentare esperienza di Jânio Quadros, presidente del Brasile dal 31 gennaio al 25 agosto del 1961, il quale, nella sua carta di rinuncia, dichiarò di doverlo fare a causa di non meglio precisate “forze oscure”.
In tempi non sospetti, su queste stesse pagine, richiamai l’attenzione sul fatto che tanto la dinamica quanto il personaggio Bolsonaro facessero tornare alla mente la stessa incapacità e totale mancanza di preparazione politica, che un tempo avevano portato alla presidenza del maggiore Paese sudamericano quel bislacco e improbabile personaggio che fu Jânio Quadros. Ciononostante, i tempi sono assai differenti e, più di tutto, nessuno all’interno del governo sembra avere un qualsivoglia interesse ad operare strappi istituzionali della portata di un impeachment o di forzare particolarmente la mano al fine di arrivare ad una rinuncia di Bolsonaro. Ad oggi, almeno, il succitato pentavirato sembra poter gestire il populismo autoritario bolsonarista mediante la quarantena con la quale ha, di fatto, messo la sordina ad ogni possibile scelta scellerata del Presidente con riferimento alla sempre più massiccia propagazione del Covid-19 ed alla ormai palese crisi economica, destinata a travolgere, come da tradizione in America Latina, gli anelli socialmente più deboli della popolazione.
Cosa succederà nei prossimi mesi non è dato sapere, ma, qualora lo scontro istituzionale si inasprisse ulteriormente, non escluderei un allontanamento di Bolsonaro, un mandato provvisorio al Presidente della Camera Rodrigo Maia e, a partire dalla metà del mandato presidenziale, l’investitura ufficiale del Generale Hamilton Mourão come Presidente del Brasile. Volendo essere tristemente ironici, la si potrebbe ritenere la chiusura di un cerchio di un passato che non passa, quello relativo alla dittatura militare, il cui fantasma sembra non voler smettere di aleggiare nelle stanze del Palácio da Alvorada.
* questo articolo è anche su www.nextquotidiano.it