La fine della “seconda dittatura“? L’ombra lunga del passato tedesco
di Volker Drell
Il ventesimo anniversario della caduta del muro è usato per una gran discussione sugli avvenimenti passati. Dappertutto si possono leggere articoli, ascoltare delle interviste, guardare dei documentari su questo tema. Tante conferenze scientifiche trattano il tema, istallazioni artistiche provano a promuovere la riflessione, il governo celebra il successo dell’opposizione e la “rivoluzione pacifica”. Ci sono tante domande che si riflettono in questi giorni e mesi. Ma un tema centrale è se ci sia una vera riunificazione dopo venti anni oppure ci sono ancora delle differenze enormi tra Germania-Est e Ovest, se ci sia una identità tedesca, con una visione omogenea della propria storia, un consenso dei valori, oppure no.
Considerando il dibattito dell’intero anno si vedono anche altri aspetti: non c’è ancora una posizione sulla valutazione del regime della Rdt. Era uno stato d’ingiustizia (Unrechtsstaat), si dovrebbe dire che sia stata la “seconda dittatura tedesca”, oppure è preferibile un’espressione più neutrale? Questo discorso non è solo accademico. Le differenti percezioni e interpretazioni sono ancora politicamente attuali. In particolare nei riguardi delle nuove o vecchie forze politiche di sinistra, vale a dire il partito “DIE LINKE”, che contiene anche l’ex Pds, (Partito del socialismo democratico) -il successore della SED- che si deve difendere dalle accuse di essere un partito della Stasi (il famoso sevizio segreto della Rdt). Ma d’altro canto la LINKE è un partito regionale dell’Est, il che significa che tanti cittadini votano per la LINKE, perché pensano che rappresenti i desideri della gente della ex-Rdt.
Un altro aspetto ci è mostrato da alcune inchieste, che indicano una distinzione ancora attuale della popolazione Est-Ovest e un’insoddisfazione per il sistema politico attuale della Rft. Questo aspetto è virulento, in particolare per le tendenze estremiste di destra e la non-partecipazione alle elezioni.
Dopo il 1990, con l’adesione della Rdt alla Rft, ci sono stati notevoli sforzi dei diversi attori politici – partiti, governi, gruppi della società civile, associazioni delle vittime- nell’offrire un’interpretazione del passato oppure chiarire degli aspetti fino a questo punto mal riconosciuti e mal conosciuti. Si apriva un ampio dibattito nella sfera pubblica. Mi concentro solo sul ramo della politica della storia (Geschichtspolitik), vale a dire sull’uso cosciente del riferimento alla storia per realizzare o legittimare la propria pratica politica.
Mi dedico alle due commissioni parlamentari che lavorarono tra il 1992 e il 1998. Su iniziativa degli esponenti del movimento dei diritti dei cittadini dell’ Est – in particolare Markus Meckel, un nuovo deputato della SPD, Rainer Eppelmann, teologo, l’ultimo ministro della difesa della Rdt e membro della CDU – si fondava la commissione per la “rielaborazione della dittatura della SED” (Aufarbeitung der SED-Diktatur). Sul merito di questa commissione ci furono tre dibattiti al parlamento, più di 10 deputati d’ogni frazione, alcuni anche dalla Pds, parteciparono insieme ad alcuni scienziati e altri esperti. Alla fine venne presentato un rapporto di circa 600 pagine; la documentazione finale e completa occupa più di 9 volumi.
L’incarico della prima commissione era contribuire ad un’“analisi storico-politica” per una “valutazione politico-morale” dei fatti, che si articolava nel modo seguente:
1. Analizzare le strutture, le strategie e gli strumenti della dittatura della SED, in particolare la responsabilità per la negazione dei diritti umani e dei diritti dei cittadini, (…)
2. Descrivere e valutare l’importanza dell’ideologia, dei fattori integrativi e delle pratiche disciplinari (…)
3. Identificare le lesioni delle convenzioni del diritto umano, le forme dell’oppressione durante le diverse fasi; identificare i diversi gruppi di vittime e riflettere sulle alternative per la riparazione materiale e ideale (…)
4. Descrivere le modalità e le forme delle attività d’opposizione e resistenza (…)
5. Il ruolo e l’autocoscienza delle chiese durante le diverse fasi della dittatura della SED (…)
6. Analizzare l’importanza dell’ambito internazionale, in particolare l’influsso dell’Unione Sovietica (…)
7. Analizzare l’importanza del rapporto tra Rft e Rdt (…)
8. Includere la domanda sui fattori continui e sulle analogie di pensiero, sull’agire e sulle strutture della storia tedesca durante il ventesimo secolo, in particolare ai tempi della dittatura nazista (…)
I risultati di queste analisi dovrebbero contribuire in primo luogo:
– alla riabilitazione politica e morale delle vittime della dittatura
– al chiarimento dei crimini statali
– al miglioramento dell’analisi scientifica e delle sue condizioni
– alla elaborazione (Verarbeitung) psicologica e pedagogica del del passato della Rdt .
In altre parole un punto centrale della commissione era la riabilitazione delle vittime. Si sviluppavano delle categorie per classificare le differenti forme d’oppressione, (pedinare, penalizzare i soggetti dissidenti e attuare il regime di confine (Verfolgung, Benachteiligung, Grenzregime). Il ruolo della Stasi e le vittime cadute sul confine sono stati i più discussi. Inoltre si trattava di un’oppressione quotidiana: nelle scuole, nelle organizzazioni di massa, oppure nel mondo del lavoro. Non era il primo e l’unico scopo quello di trovare un accordo per una riparazione materiale. Il riconoscimento dal lato dello stato, la commemorazione ufficiale, erano anch’essi molto importanti. Lo sforzo della commissione risultava anche dalla iniziativa dei gruppi e dei protagonisti dell’opposizione, come Meckel e Eppelmann. L’importanza di questo punto non era mai messa in discussione. Nessuno negava il carattere oppressivo del regime della Rdt e la necessità di un suo nuovo riconoscimento. Anche se poteva verificarsi, fuori dalla commissione, tra vecchi funzionari del sistema, di negare la colpa individuale oppure il tentativo di un’apologia del sistema oppressivo.
Il nocciolo era, ovviamente, la valutazione, o più precisamente la condanna del vecchio sistema. L’essenza oppressiva dovrebbe essere dimostrata sotto tutti i suoi aspetti. Questo punto dominava la completa analisi. E la battaglia per giungere ad una versione ufficiale ha avuto inizio da qui.
La Pds, il successore della SED, era in contraddizione con tutti gli altri. Però anche le differenze tra Socialdemocrazia (SPD) e Democrazia Cristiana (CDU) apparivano molto chiaramente. Le posizioni acquisite durante la Guerra fredda -anche dopo il suo superamento- erano ancora attuali. La CDU ha voluto affermare che non ha mai riconosciuto la Rdt con il suo sistema socialista. Dal suo punto di vista ogni tentativo di riconoscimento era sbagliato. La SPD invece ha assunto una posizione di difesa, perché negli anni settanta ha condotto una politica di riavvicinamento. Questa strategia appariva adesso come una debolezza e – nell’interpretazione peggiore – come un tradimento.
Il conflitto tra la maggior parte della commissione da una parte e la Pds dall’altra era sulla legittimità della Rdt. Per la CDU – ma anche per gli altri – sembrava ben chiaro che l’ormai decaduto Stato non fosse stato legittimo in nessun tempo. La sua fondazione era il risultato dell’intervento di una forza straniera (URSS), che installava in essa un partito di suo gusto. Anche l’unificazione (forzata) del partito comunista con la socialdemocrazia -la fondazione della SED- era un atto d’oppressione. Naturalmente ci si riferiva allo sciopero e alla ribellione del 1953, quando “l’ordine” statale fu ristabilito con i carri armati sovetici, ma anche al 1961, la costruzione del muro di Berlino. L’esistenza, la grandezza e il lavoro del servizio segreto -il Ministero per la sicurezza statale (Stasi)- incarnò la paura del regime. Il fatto più importante, però, è stato che il governo della Rdt non ha mai permesso elezioni libere. Un effetto finale dell’argomentazione sarebbe dovuto essere che il carattere oppressivo non risultava dagli errori di alcuni individui potenti ma che fosse una espressione della ideologia marxista-leninista, cioè secondo la posizione conservatrice l’idea del socialismo presuppone necessariamente una prassi di lesione dei diritti umani – con il dominio di un partito (“centralismo democratico”), l’economia pianificata (“Kommandowirtschaft”) e il suo ideale di uguaglianza sociale. Questa argomentazione puntava il dito anche contro la socialdemocrazia con la sua tradizione marxista.
La Pds dal suo canto, non ha negato il carattere dittatoriale del regime. Il rappresentante Keller riconobbe infatti la Rdt come una dittatura. Nel suo voto, espressione di una minoranza, ovvero di una posizione che andava ad aggiungersi al rapporto definitivo della commissione, la Pds sosteneva un’altra posizione. Mise in rilievo le prestazioni sociali della Rdt, come la sicurezza e il diritto al lavoro. Una legittimazione risultava, secondo questo voto, dal passato tedesco. La Rdt fu un tentativo legittimo di fondare una nuova Germania, antinazista, o meglio, come si diceva in tutto l’est tedesco, antifascista. In questo modo i buoni motivi del socialismo – creare un mondo con più sicurezza sociale, più uguaglianza, più liberta e affermare un fermo antifascismo, erano valori e scopi che davano una specie di legittimità. In tal modo si intendeva rimanere fedeli all’idea di una società anticapitalista senza negare il carattere dittatorio della Rdt.
Si deve aggiungere che la posizione di Keller, non era affatto incontestata nel suo partito.
Inoltre si è cercato di accentuare che la Rdt non era solo oppressione oppure solo un carcere – con un muro, un filo spinato e la Stasi – ma anche un luogo in cui la gente poteva condurre una vita normale anche se il sistema era sempre presente. Per questo motivo la richiesta della Pds di inaugurare una commissione non era diretta ad una rielaborazione (“Aufarbeitung”) della dittatura della SED, ma ad una “valutazione politica della storia della Rdt”.
Queste differenze esistono anche oggi. La seconda commissione del parlamento – per “il superamento delle conseguenze della dittatura della SED” – continuava il lavoro storico e apprezzava con moderazione alcuni aspetti della vita quotidiana e del sistema sociale dell’est. Così si legge in un voto di minoranza di storici che il mondo del lavoro della Rdf rendeva possibile un tasso di occupazione delle donne al di sopra del 90 %. Si scriveva, stando ben attenti ai motivi e ai limiti di questa politica socialista, che durante il processo di riunificazione si perdeva un’opportunità di modernizzare il rapporto tra i sessi.
Tutt’e due le commissioni hanno tentato un riconoscimento delle vittime ed una valutazione politico-morale della Rdt. Come ultimo punto, Rainer Eppelmann (CDU), esponente del movimento per i diritti civili, parlava del “consenso antitotalitario” come la lezione della storia. Così la storia non può essere finita ma deve rimanere sempre presente alla mente della popolazione tedesca, come un esempio di ciò che è male, un esempio delle conseguenze di un’ideologia totalitaria come il socialismo.
Venti anni dopo la caduta del muro si vede che quest’interpretazione non basta né per raccontare una storia dei tedeschi – che permette a tutte le persone con le loro biografie di ritrovarsi in questo racconto – né per stabilire l’ordine attuale della Rft. Va aggiunto che le inchieste indicano una quota notevole di popolazione che non stima la democrazia, né come una forma importante, né come una forma sufficiente di governo.
Questi dati risultano anche dalle contraddizioni sociali. Le biografie di tante persone dell’Est non sono né luminose né realizzate.
Su questo punto il limite di qualsiasi politica della storia (Geschichtspolitk), e anche di un’idea di identità nazionale unica, consiste nel non poter nascondere i conflitti sociali e politici. Per integrare la società ci vuole molto di più.
Le commissioni del parlamento hanno dato uno spazio di discussione e di dibattito. Tra le voci contradditore -come quella della Pds- è possibile sentire anche che questo pluralismo è un valore in sé. Tutto il discorso sulla storia della Rdt è diventato più profondo e non soltano limitato all’aspetto della Stasi. Erano, però, commissioni in cui si trovavano le vecchie posizioni della Guerra fredda, e molti politici le hanno usate per screditare i loro avversari. Non ci si può aspettare altro da una commissione parlamentare, ciò nondimeno si è reso possibile un riconoscimento delle vittime e delle strutture oppressive. Non è probabile, perciò, che la Rdt proietti una lunga ombra sul futuro tedesco, come fa ancora il passato nazista. Per una politica di sinistra, però, la storia della Rdt e di tutto il blocco dell’ Est, rimane una ipoteca molto pesante. Non solo a causa della cattiva propaganda, ma anche perché non si può negare un collegamento delle proprie radici ideologiche con i grandi danni che ha causato il socialismo reale (Realsozialismus). Questo collegamento, però, non è così semplice come i conservatori pensano.
E se la legittimazione dell’ordine democratico-parlamentare capitalista tramite una condanna completa di qualsiasi tipo di socialismo sarà utile per pensare e agire per un futuro con più giustizia sociale, più sicurezza sociale, più partecipazione, più liberta personale e uno spirito di solidarietà, lo sapremo forse meglio tra dieci anni, al trentesimo anniversario della caduta del muro.