La Battaglia delle Termopili – da Erodoto, Le storie, Libro VII
antologia storica a cura di Adriano Simoncini
Erodoto, vissuto nella Grecia classica fra il 490 e il 420 a.C., è il primo storico dell’Occidente. Non aveva dato titolo alla sua opera, ma i posteri la chiamarono semplicemente Storie, a sottolinearne la primogenitura e la straordinarietà. Dopo oltre due millenni la si legge ancora con commossa ammirazione. Ne trascrivo di seguito poche pagine, fra le più memorabili: quelle che descrivono la leggendaria battaglia fra lo sterminato esercito persiano e poche migliaia di Greci, combattuta al passo delle Termopili, nella Grecia settentrionale, nel 480 a.C.. Battaglia divenuta simbolo dell’amore per la libertà, di cui nemmeno la vita vale di più. Trascrivo in corsivo le mie annotazioni per unire i vari brani: i puntini di sospensione indicano omissioni del testo originale, tradotto da Luigi Annibaletto per gli Oscar Mondadori.
Dunque Serse, il Grande Re dei Persiani e di infinite genti d’Asia, pari a un dio per potenza e ricchezza, comandava personalmente l’esercito in marcia verso la Grecia (e lungo la costa egea lo affiancava una flotta di innumerevoli navi). Per superare il mare fece costruire sullo stretto, oggi dei Dardanelli, due ponti di 7 stadi (m.1300):
Serse, appena passato in Europa, si diede a osservare le truppe che attraversavano lo Stretto a suon di sferzate e l’esercito passò in sette giorni e sette notti, senza un attimo di tregua… Nell’avanzare, oltrepassò varie città: nel territorio di una di esse c’è un lago che misura circa 30 stadi tutto intorno, ricco di pesci e con l’acqua molto salata: gli animali da soma che soli vi si dissetarono, bastarono a disseccarlo. Come precedenti fiumi anche il Chedoro, che scorre dalla Crestonia, non bastò a fornire da bere ai soldati e rimase all’asciutto… Un terzo delle truppe era impiegato a disboscare le montagne macedoniche, affinché per quella via potesse passare tutto l’esercito e penetrare nel paese. Intanto gli araldi, mandati in Grecia a chiedere l’omaggio della terra, erano ritornati, alcuni a mani vuote, altri portando terra e acqua. Agli Spartani che respingevano le proposte di sottomissione il comandante persiano Idarne chiese: “Perché mai, o Spartani, voi rifuggite così dal legarvi d’amicizia con il re? Guardando a me e alla mia attuale fortuna, voi potete constatare come sappia il re onorare gli uomini per bene. Così sarebbe anche per voi se voleste darvi al re…” Essi risposero così: “Tu parli per aver provato una delle due cose, ma dell’altra sei inesperto: sai, infatti, cosa significa essere schiavo, ma la libertà non l’hai ancora provata: non sai se sia dolce o no. Poiché, se soltanto l’avessi gustata, non solo con le lance ci consiglieresti di lottare per difenderla, ma anche con le scuri.”
In patria i Greci intanto deliberavano intorno alla guerra. L’opinione che prevalse fu di presidiare il passaggio delle Termopili, sia perché vedevano che era più stretto… sia perché era più vicino al loro paese: quanto al sentiero, a causa del quale furono aggirati i Greci che si trovarono bloccati alle Termopili, non sapevano nemmeno che ci fosse prima di esserne informati, quando ormai erano arrivati… I Greci che in tale località attendevano l’urto dei Persiani erano questi: 300 opliti di Sparta… e alcune migliaia da varie città. Le truppe avevano i loro capi, ma quello che godeva la massima considerazione e aveva il comando di tutte le forze era lo spartano Leonida… Serse mandò un osservatore a cavallo a vedere quanti fossero i Greci e che cosa stessero facendo… Per caso, in quel momento fuori del muro erano schierati gli Spartani. Orbene, il cavaliere vide che alcuni di essi erano intenti a fare esercizi ginnici, altri a ravviarsi le chiome… Ritornato al campo, riferì a Serse tutto… Incredulo, Serse fece chiamare Demarato, uno greco fuggito alla sua corte per motivi politici, e chiese spiegazioni. Ed egli rispose: “… Questi uomini sono venuti per contenderci il passo e a questo si preparano. Poiché così vuole il loro costume: quando si accingono a mettere a repentaglio la vita, allora si prendono cura della loro capigliatura.” …Serse lasciò passare quattro giorni, con la speranza sempre che quelli se ne andassero per conto loro…
Al quinto giorno, pieno d’ira, mandò ad attaccarli un contingente di Medi e di Cissi con l’ordine di prenderli vivi e di condurli alla sua presenza. Ma quando i Medi, preso lo slancio, piombarono sui Greci, molti di essi cominciarono a cadere; altri, però, subentravano nella lotta e non si ritiravano, benché subissero gravi perdite. Dimostravano così chiaramente a tutti e al re stesso, che molti là erano gli uomini, ma pochi gli uomini valenti… I Medi a poco a poco si ritirarono e, prendendo il loro posto, si fecero incontro ai Greci i Persiani, quelli che il re chiamava ‘gli Immortali’… Essi almeno l’avrebbero facilmente fatta finita. Ma… la battaglia si svolgeva in un luogo stretto, avevano le lance più corte dei Greci e non trovavano modo di mettere a profitto il loro numero. Gli Spartani invece combattevano in modo degno di essere ricordato… Visto che non riuscivano a occupare nemmeno una parte del passo, i Persiani batterono in ritirata… Il giorno dopo i Barbari si impegnarono, ma con risultato per nulla migliore; poiché i Greci erano pochi, essi tornavano all’assalto nella speranza che i nemici, ormai coperti di ferite, non fossero più in grado di opporre resistenza. Invece i Greci combattevano ordinatamente disposti per schiere e per popoli, alternandosi a vicenda… Mentre il re non sapeva cosa decidere venne da lui Efialte, il quale, convinto di riportarne grande ricompensa, gli segnalò il sentiero che, attraverso il monte, portava alle Termopili e provocò la rovina di quei Greci che colà erano schierati a difesa… Lungo questo sentiero s’avviarono i Persiani e camminarono tutta la notte… Frattanto ai Greci l’indovino Megistia, dopo aver attentamente osservato le sacre vittime, rivelò che insieme con l’aurora sarebbe venuta per loro anche la morte. Le sentinelle segnalarono l’aggiramento dei Persiani e i Greci tennero consiglio con pareri diversi, ma Leonida ordinò agli alleati di andarsene: rimanendo, a lui restava una gloria splendida e la fortuna di Sparta non veniva offuscata. Rimasero al passo anche i Tespiesi. Serse, fatte le libagioni al sorgere del sole… mosse all’attacco. I Barbari di Serse dunque avanzavano e i Greci di Leonida, convinti di uscire incontro alla morte si spinsero molto più avanti, verso la parte più larga della gola.
I Barbari cadevano in gran numero, perché alle spalle i comandanti dei reparti, con gli scudisci in mano li sferzavano tutti senza distinzione, spingendoli sempre avanti. Perciò molti di essi caddero in mare e vi trovarono la morte; molti di più venivano calpestati, vivi ancora, dai loro compagni: nessun conto di chi cadeva. Siccome infatti sapevano i Greci che su di loro incalzava la morte da parte di quelli che stavano aggirando il monte, spiegavano contro i Barbari quanto più avevano di forze, con pieno disprezzo della vita, battendosi come forsennati. La maggior parte di loro si trovava ad avere ormai in mano le lance spezzate ed essi con le spade facevano strage di Persiani. In questa mischia cadde anche Leonida, che s’era dimostrato uomo di straordinario coraggio… Sopra il cadavere di Leonida si scatenò una mischia furibonda di Persiani e Spartani, finché per merito del loro valore i Greci riuscirono a sottrarlo e per quattro volte misero in fuga gli avversari. Questa lotta durò fino a che entrarono in scena quelli che erano con Efialte. Quando i Greci furono informati che essi erano giunti sul campo, da quel momento cambiò volto la battaglia… si ritirarono e andarono a prendere posizione sulla collina tutti quelli che restavano… là dove oggi si trova il leone di pietra in onore di Leonida. E in questo luogo, mentre accanitamente si difendevano con le spade (quelli tra essi che si trovavano ancora ad averle) con le mani e con i denti, i Barbari li seppellirono di dardi…