In/Ciampi
di Polpo
Il giorno 16 settembre 2016 si è spento Carlo Azeglio Ciampi, già governatore della Banca d’Italia, poi presidente del Consiglio dei Ministri e, infine, presidente della Repubblica Italiana.
Dobbiamo alla intuizione di Carlo Azeglio una delle caratteristiche che più hanno connotato il nostro Paese negli ultimi decenni: l’enorme debito pubblico, ormai così prepotentemente entrato nelle nostre consuetudini da diventare parte della antropologia italica. Infatti, fu grazie a lui (e all’esimio Beniamino Andreatta) che si consumò, nel lontano 1981, il “divorzio” della Banca d’Italia dal Ministero del Tesoro a proposito del collocamento dei titoli del debito pubblico. In precedenza, quando il Governo offriva sul mercato ad un (per lui) conveniente tasso di rendimento (interesse) i titoli di Stato necessari alla spesa pubblica, gli eventuali titoli rimasti invenduti venivano obbligatoriamente acquistati a quello stesso tasso d’interesse dalla Banca d’Italia. Dopo il “divorzio” la Banca d’Italia ebbe la facoltà di non acquistarli più, costringendo il Governo a venderli ai privati al costo di un aumento dei rendimenti. Questo “divorzio” ha permesso al tasso di interesse reale (ossia al netto dell’inflazione) sul debito pubblico di salire, in poche settimane, da un misero 0% a livelli fino al 9%, consentendo a poveri finanzieri, banche indebitate e filantropici fondi pensione esteri di lucrare generose e durature sovvenzioni governative a carico dei contribuenti italiani che quegli interessi li pagano (tuttora) con le tasse. E il Governo? Come ha poi detto il “compare di anello” Andreatta, “da quel momento in avanti la vita dei Ministri del Tesoro si è fatta più difficile e ad ogni asta di titoli il loro operato è stato sottoposto al giudizio del mercato” e non a quello degli sprovveduti elettori, privi di adeguate competenze finanziarie.
Ma ci mancherà pure il candore con il quale il Nostro, al culmine delle tempestose giornate valutarie dell’estate del 1992, bruciò quasi tutte le riserve valutarie della Banca d’Italia (48 miliardi di dollari di allora) nella vana difesa della parità di cambio della lira da un attacco speculativo internazionale che non immaginava di tale portata. Comunque della svalutazione, che poi forzatamente si adottò, lui nulla seppe: “a quei tempi il Presidente del Consiglio e io avevamo una collaborazione molto stretta e convinta, ma non arrivava ad entrare in aspetti così particolari”, e comunque “le decisioni sulle parità delle monete sono sempre – e da sempre – di competenza dell’esecutivo. E se poi il governatore, con il suo parere, contribuisce a formare l’opinione del Governo, è un altro discorso”.
Braccianti, operai e lavoratori dipendenti in generale non possono che rimpiangere chi, nelle vesti di presidente del Consiglio, ha inventato l’infernale strumento della “concertazione salariale”, aprendo così le porte ad un futuro radioso per i portafogli della forza-lavoro peninsulare. Era semplice, spiegata da lui: “convocavo Confindustria e sindacati, chiudevo le porte a chiave e dicevo: non si esce da qui finché non abbiamo trovato l’intesa”. E’ ovvio che quelli che avevano più bisogno, pur di uscire, firmassero tutto quanto gli finiva davanti. Luminoso modello di equilibrio nelle relazioni sociali.
Gli saremo anche eternamente grati per essere diventato il primo presidente del Consiglio “tecnico” della storia repubblicana, evitandoci una tediosa e costosa campagna elettorale. Fulgido esempio di delicatezza nei confronti dei cittadini che non vennero importunati (e che ha trovato altri e più alti riscontri nel recente passato), è però durato appena un anno e quando, nel marzo 1994, la “gggente” si riprese il diritto di voto, andò alle urne l’86,1% degli iscritti e stravincerà l’appena “sceso in campo” Silvio Berlusconi.
Va infine ascritto a suo merito, anche s’egli godette della collaborazione di altri illustri statisti italiani, l’aver poi finalmente soppresso la debole e svenevole liretta, sostituendola con il robusto euro, una “moneta straniera” a marca teutonica. Ad un ventennio da tale ponderata scelta, gli innegabili vantaggi di tale sostituzione sono sotto gli occhi di tutti: la chiusura di innumerevoli impianti industriali ha certamente contribuito al miglioramento ecologico dell’ambiente in cui viviamo, l’abbassamento dei redditi da lavoro ha permesso al popolo di riscoprire le antiche virtù della parsimonia, gli anziani impossibilitati ad andare in pensione hanno ritrovato le gioie di una senile vita attiva e i giovani, non distratti da inopportune attività impiegatizie, hanno adesso una preziosa occasione per riflettere sul loro futuro, con la allettante prospettiva di vedere il mondo in qualità di potenziali emigranti.
In conclusione, è con profondo rammarico che prendiamo atto della dipartita di un siffatto insostituibile Padre della Patria. Ci mancherà.