Il Triello. Per una geoeconomia del XXI secolo
di Toni Iero
Purtroppo, la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina porta alla ribalta, nella modalità più tragica possibile, le rivalità tra grandi potenze. La fine del mondo unipolare, dove gli Stati Uniti erano l’unica superpotenza, ha portato ad una visibile ripresa del confronto geopolitico, alzando il rischio che gli attori principali si trovino coinvolti direttamente in un conflitto.
Oggi, però, a differenza di quanto accaduto durante la “guerra fredda” tra USA e URSS, la competizione geopolitica non si svolge più tra due blocchi, ma vede la presenza di tre protagonisti che ambiscono, a vario titolo, all’egemonia mondiale: gli Stati Uniti, al momento la principale potenza planetaria; la Cina, con un’economia in forte sviluppo e una assertività sempre più globale; la Russia, che sta estendendo la sua presenza, essenzialmente con interventi militari, anche al di fuori della sua tradizionale sfera di influenza (in rapida successione, negli ultimi anni: Siria, Libia, Africa Occidentale)[1]. Parrebbe quindi che si stia delineando una specie di triello (detto anche mexican standoff), simile a quello reso memorabile da Sergio Leone nel film Il buono, il brutto e il cattivo[2].
Può essere interesssante analizzare alcune variabili per cercare di capire quali siano i punti di forza e quelli di debolezza dei partecipanti a questa competizione geopolitica. Nel valutare la reciproca posizione dei tre contendenti, tralascerò l’aspetto più strettamente militare. Non perché esso non sia importante, ma, alla luce di quanto postulato da Paul Kennedy[3], ritengo che in un lungo confronto tra grandi potenze la superiorità economica, produttiva e tecnologica risulti alla fine decisiva, più della mera forza militare che, peraltro, dipende in buona parte proprio dai precedenti fattori (nelle parole dell’autore “… gli esiti delle principali guerre tra grandi potenze, nelle quali la vittoria è sempre andata a chi aveva le maggiori risorse materiali”). Inoltre, alla luce degli stretti e consolidati accordi che legano gli Stati Uniti all’Europa e al Regno Unito (faccio riferimento, in particolare, alla NATO), aggiungerò un quarto attore per il quale considererò la somma tra le risorse a disposizione degli USA e quelle degli alleati europei. Infatti, la voce “Alleati”, riportata nei grafici che seguono, rappresenta la sintesi di Stati Uniti, Unione Europea e Regno Unito. Escluderò da tale raggruppamento, in questa contingenza, l’apporto (anche se tutt’altro che secondario) che potrebbe derivare da altri Paesi vicini agli USA come il Giappone, l’Australia e il Canada.
Un primo aspetto da esaminare riguarda la dimensione demografica, rappresentata nel grafico sotto[4].
Si vede bene come la Cina abbia una popolazione largamente soverchiante, mentre la Russia si presenta come la potenza con meno abitanti. Non va, tuttavia, dimenticato che, in termini di dinamica demografica, gli Stati Uniti presentano una situazione più equilibrata rispetto agli altri due Paesi. L’apporto demografico degli alleati europei appare rilevante. Anche se non di natura strettamente demografica, vi è un altra caratteristica legata alla popolazione che risulta importante in un confronto/scontro tra grandi potenze: la cultura, intesa anche nel senso di convinzione e condivisione dei valori del proprio stile di vita. È probabile che gli statunitensi, come gli altri abitanti dell’Occidente, soffrano, più delle altre due potenze con cui sono in competizione, di profonde divisioni interne e di un minore attaccamento ai valori di riferimento della propria società. Comunque, tale disposizione d’animo potrebbe essere suscettibile di notevoli cambiamenti nel momento in cui dovessero verificarsi circostanze eccezionali.
Naturalmente, non si può non prendere in considerazione la dimensione economica, rappresentata dal prodotto interno lordo (in dollari correnti).
Qui emerge la netta predominanza degli Stati Uniti, il cui PIL è superiore quasi del 50% a quello cinese ed è oltre dodici volte quello russo. Se poi consideriamo anche gli alleati europei, sembrerebbe non esserci alcuna possibile competizione. Tuttavia, è ben noto come una lettura semplicistica di questo aggregato possa determinare valutazioni squilibrate.
Infatti, all’interno di ogni Stato, il potere d’acquisto di un dollaro è molto diverso e di ciò occorre tenere conto per raffrontare le reali dimensioni economiche di entità così differenti tra loro.
Un confronto più omogeneo si ottiene considerando il prodotto interno lordo a parità di potere d’acquisto della moneta, utilizzando il cosiddetto Purchasing Power Parity (in sigla PPP). Vista attraverso queste nuove lenti, la situazione appare diversa: la Cina supera (sebbene di poco) gli Stati Uniti in termini di dimesione economica e si accorcia anche la distanza tra USA e Russia (il PIL degli Stati Uniti è “solo” 5 volte quello russo). Tuttavia, anche in questo caso, se si prende in considerazione l’Europa (Unione Europea e Regno Unito), la situazione volge nettamente a favore degli Alleati.
Se vogliamo considerare la ricchezza, allora è opportuno valutare il prodotto interno lordo pro capite, utilizzando sempre il dato in PPP.
In questo caso non ci sono dubbi: gli Stati Uniti sono un Paese ricco, con la Russia a grande distanza, mentre la Cina appare una nazione che deve ancora compiere un lungo percorso verso lo sviluppo[5]. Anche considerando una media che includa Unione Europea e Regno Unito, la situazione non cambia di molto.
Questi dati ci danno già una prima idea delle posizioni reciproche delle tre superpotenze. Tuttavia, per completare il quadro, non appare inutile esaminare la capacità dello Stato di stanziare ulteriori risorse, finalizzate anche a sostenere la competizione geopolitica internazionale. Per rappresentare questo aspetto consideriamo il livello di indebitamento delle amministrazioni pubbliche (in rapporto al PIL) dei tre contendenti alla supremazia mondiale.
Qui il quadro appare piuttosto problematico per gli Stati Uniti. La Cina evidenzia un indebitamento largamente sostenibile e, infine, la Russia si presenta come un Paese sostanzialmente privo di debito pubblico. Naturalmente, questi dati vanno maneggiati con cura: per esempio, è noto che il debito pubblico cinese sia maggiore di quanto qui rappresentato, sia per l’indebitamento di alcune realtà locali, sia per i debiti delle imprese a totale controllo statale (passivi non inclusi nel debito pubblico computato da Pechino). Inoltre, lo spessore del mercato finanziario occidentale è tale da garantire un efficace approvvigionamento di risorse, meglio di quanto possano fare (ad oggi) altre piazze finanziarie. È pur vero che la sintesi con Europa e Regno Unito abbassa (di poco) il peso del debito pubblico sul prodotto interno lordo degli Alleati, tuttavia, non vi è dubbio che sul piano finanziario le amministrazioni di Washington siano costrette ad operare in un quadro di strutturale debolezza.
Non va poi trascurato un altro aspetto più direttamente legato al sistema produttivo, come la produzione di acciaio[6].
Prodotto, peraltro, indispensabile proprio alla macchina bellica. Beh, qui la Cina appare un po’ come un altro mondo. L’esito dei processi di globalizzazione hanno reso il gigante asiatico il principale produttore mondiale di questo materiale. Esso supera Stati Uniti e Russia di oltre un ordine di grandezza. Qui anche l’apporto dell’Europa è ben lontano dal far pendere la bilancia a favore degli Alleati.
Infine, come rappresentazione della capacità di innovazione dei diversi sistemi nazionali, prendiamo in considerazione il numero di brevetti (richiesti e concessi nel 2020[7]) da parte delle tre entità in esame. Spicca l’enorme quantità di richieste di brevetti (patent applications) da parte della Cina (quasi 1,5 milioni).
Gli Stati Uniti sono molto indietro, con poco più di un terzo delle richieste cinesi, mentre la Russia è praticamente inesistente rispetto agli altri due contendenti (meno di un decimo del dato americano). Situazione analoga si ritrova per quanto riguarda i brevetti concessi (patent grants), anche se in questo caso il vantaggio cinese rispetto agli USA risulta meno accentuato. Il contributo dell’Europa non appare decisivo: l’Occidente nel suo complesso sembra in significativo ritardo in termini di capacità di innovazione rispetto al gigante cinese.
Questa sommaria ricognizione[8] porta a concludere che, tutto sommato, la nazione meglio posizionata nel caso di un confronto/scontro di lungo periodo sia proprio la Cina: ha il maggiore PIL in termini di PPP, ha una finanza pubblica sostanzialmente gestibile, è il maggior produttore mondiale di acciaio e si presenta come il Paese più dinamico dal punto di vista dell’innovazione. Quella che appare più fragile, invece, è la Russia. Chissà che non sia stato proprio questo fattore uno dei motivi che hanno portato il regime russo ad un’accelerazione militare sul fronte europeo. In tal caso, l’attacco all’Ucraina sarebbe, nelle intenzioni di Mosca, una specie di colpo di mano effettuato con la speranza di una debole reazione internazionale, nella consapevolezza che un confronto di lunga durata risulti infine insostenibile per Mosca, come lo è stato per l’ex impero sovietico. Gli Stati Uniti, da un punto di vista temporale, appaiono come una potenza in progressivo (e relativo) declino: hanno delocalizzato una parte importante della produzione manifatturiera, la loro finanza pubblica deve sostenere l’onere di un debito maggiore del PIL e stanno perdendo la leadership, per quanto riguarda lo sviluppo tecnologico, proprio a favore della Cina. La loro stessa enorme forza militare attuale potrebbe risultare più un peso che un’opportunità: è ben noto che uno dei motivi di declino delle grandi potenze sia proprio l’eccesso di risorse destinate all’esercito e, in tal modo, sottratte alla crescita economica. Tuttavia, l’apporto dell’Unione Europea e del Regno Unito non appare certo trascurabile e potrebbe costituire un punto di forza in grado di riequilibrare la partita con la Cina. Da qui l’imprescindibile necessità, per gli USA, di non perdere contatto con l’Europa, nonché con gli altri Paesi di cultura europea (Australia, Canada, Nuova Zelanda).
Un ulteriore fattore da considerare è l’amicizia che da qualche tempo unisce Cina e Russia. Al di là della effettiva valenza strategica (piuttosto modesta e di breve periodo, poiché i due Paesi sono strutturalmente in competizione territoriale tra loro), questo legame gioca certamente a sfavore degli Stati Uniti, che rischiano di trovarsi a dover fronteggiare contemporaneamente due avversari su due fronti diversi. Ma, guardando ai dati presentati sopra, appare piuttosto evidente come il socio forte in questa sorta di asse eurasiatico sia la Cina. Questo accentuato sbilanciamento lascerebbe alla Russia solo un angusto ruolo ancillare: Mosca corre il pericolo di essere mera portatrice di acqua al mulino di Pechino, con limitati vantaggi dal confronto che si profila. I leader del Cremlino rischiano di risvegliarsi dal sogno di reastaurazione dell’impero zarista per scoprirsi vassalli di Pechino.
Con tutta probabilità, stiamo vivendo una fase temporanea, che potrebbe evolvere verso un nuovo bipolarismo, incentrato sugli USA e sulla Cina. In questo futuro ipotetico quadro, Europa e Russia tenderanno a svolgere un ruolo minore (non per questo irrilevante) nei confronti delle due vere superpotenze.
Nell’immediato, tutto è complicato dal fatto che i tre attuali contendenti possiedono i tre maggiori arsenali nucleari del pianeta. Perciò, in definitiva, l’auspicio è che le ragioni dell’economia possano prevalere su quelle geopolitiche e che le principali potenze del mondo optino per utilizzare le ingenti risorse a loro disposizione al fine di migliorare le condizioni di vita dei loro cittadini (e, perchè no, anche di tutti gli esseri umani) e non per distruggersi a vicenda.
Toni Iero
Aprile 2022
toni_iero@virgilio.it
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[1] Benché la sua dimensione economica sia di tutto rilievo, l’Unione Europea è fuori dal gioco geopolitico, non solo per le differenti visioni tra i suoi appartenenti, ma anche per la sua postura del tutto incongrua per una entità desiderosa di esercitare egemonia.
[2] Le regole di ingaggio per un triello sono diverse da quelle di un duello: in quest’ultimo, chi attacca per primo ha le migliori possibilità di vincere. Invece, non è difficile dimostrare che, a parità di armamento e in mancanza di accordi tra i contendenti, nel triello chi attacca per primo è probabilisticamente destinato a perdere.
[3] Paul Kennedy, Ascesa e declino delle grandi potenze, Garzanti 1989.
[4] I dati, dove non diversamente specificato, sono tratti dal database del World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale (edizione di ottobre 2021) e sono relativi al 2019 .
[5] Ovviamente, per valutare il reale potere di acquisto di una popolazione sarebbe necessario tener conto anche della concentrazione dei redditi. Ma, in questa sede, è sufficiente poter esprimere un giudizio generale sulle posizioni reciproche dei Paesi esaminati.
[6] Dati tratti da World Steel Association e relativi alla produzione 2021.
[7] Dati tratti da World Intellectual Property Organization (WIPO) relativi al 2020.
[8] Per completare l’analisi si dovrebbero prendere in considerazione le risorse che potrebbero essere messe a disposizione dagli alleati di ciascuna potenza. Tuttavia, nel caso della Cina, vi sono ben pochi Paesi amici su cui Pechino può contare; per quanto riguarda la Russia gli alleati aggiungerebbero ben poco a quanto può mettere in campo Mosca; per gli Stati Uniti abbiamo già incluso i principali Paesi europei.