Il film che affonda il mito dell’alta borghesia romana. Recensione a “La scuola cattolica”
di Fabrizio Simoncini
La scuola cattolica presentato a Venezia fuori concorso, per la regia di Stefano Mordini è un film che va assolutamente visto. E’ balzato alle cronache di recente perché vietato in sala ai minori di 18 anni e il ché fa veramente sorridere. Pensare infatti che un giovane, con la rete internet a disposizione, si traumatizzi di fronte a un lungometraggio per quanto tratti di un accadimento violento e storicamente verificatosi, è semplicemente esilarante. Erano infatti ben quindici anni che un film italiano non veniva colpito dalla censura. Le motivazioni addotte spaziano fra il ridicolo e il patetico, leggiamone due stralci: “un minore non abbia gli strumenti per elaborare e contestualizzare la crudezza di alcune scene” e “presenta una narrazione filmica che ha come suo punto centrale la sostanziale equiparazione della vittima e del carnefice”. Siamo alle solite chimere dove presunti esperti, e non si comprende il senso di tale tribuna, si arrogano il diritto di interpretare per altri, secondo una morale ritenuta condivisa, i temi sociali più svariati e in questo caso quello della violenza.
E ciò accade perché il regista Mordini documenta un tema molto scabroso, quale l’educazione declinata in situazioni ritenute sacre, e inviolabili dalle critiche, quali la famiglia e la Chiesa. Il film si ispira al libro di Edoardo Albinati, appunto La scuola cattolica, edito da Rizzoli, ma attualmente lo trovate solo scaricabile in formato digitale. La trama ruota intorno al delitto del Circeo, il massacro di due ragazze, rapite e stuprate per due giorni in una villetta del litorale da un gruppetto di “ragazzi bene” della borghesia romana, nella notte fra il 29 e 30 settembre 1975. Delle due solo Donatella Colasanti si salverà perché creduta morta, a Rosaria Lopez invece toccherà una fine orribile.
Quello che il film cerca di indagare, è il perché esploda tanta violenza in ragazzi apparentemente ben educati e dalla solida formazione cattolica. Famiglie ricche e benestanti a cui non manca nulla se non immaginare quale tipo di scelta ciascuno dei propri figli potrà fare, ma che certamente sarà un successo. Eppure questa idealizzazione si appanna fino a sgretolarsi mano a mano che l’occhio del regista entra nelle pieghe dei rapporti interpersonali. Forse ai censori ha disturbato proprio questa approccio disvelante di quel clima così ben ricreato nel racconto filmico. Insegnanti che non insegnano nulla, padri e madri che celano meschinamente le loro debolezze e contraddizioni: appaiono ai ragazzi come il facile pretesto per imboccare la strada che porta al riscatto e all’affermazione personale mediante una cruda violenza di genere e di classe.
Nonostante i giovani virgulti della borghesia romana crescano culturalmente tra i banchi della scuola privata del San Leone Magno, gestita esclusivamente dal personale della curia, questi non faticano presto a mostrare la loro attitudine, non solo alla brutalità fine a se stessa, ma all’odio per le persone considerate di bassa estrazione, provenienti dalle periferie. Molti di loro diventeranno il braccio armato della manovalanza para fascista di gruppi quali Avanguardia Nazionale, Ordine Nuovo e i NAR. L’uomo emblematico di questo modello che si afferma nella Roma degli anni ’70 e ’80 è Giusva Fioravanti, fra gli autori della strage alla stazione di Bologna, oltreché pluriomicida. Di origine venete, conosciuto dal grande pubblico come bambino prodigio in una serie televisiva di successo della RAI, comincia a Roma la sua militanza nel MSI per poi deragliare verso la clandestinità all’interno dei gruppi neofascisti.
E’ difficile sbrogliare la matassa su quale istanza culturale o formativa influenzi per prima, e in maniera preponderante, l’azione e lo spirito di una intera generazione ribelle e che tracima nel totale sprezzo della dignità umana e delle regole così tanto recitate a mo’ di rosario. Il paradosso appare nel constatare che quelle famiglie altolocate mettevano i loro figli nelle scuole private proprio per preservarli dalla tempesta politica e sociale che invece si respirava nella vita vissuta fuori dai contesti, chiamiamoli così, istituzionali.
La critica, certamente sensata che viene mossa al film di Mordini è che nello svolgersi della trama viene completamente rimosso il contesto sociale tipico di quegli anni, vale a dire lo scontro politico in atto fra l’estrema destra fascista e i movimenti giovanili a sinistra, e la lotta armata che produceva episodi significativi con morti e feriti quasi ogni giorno. Nel film infatti non ci sono echi intorno a ciò che accade nelle strade e nelle piazze delle principali città italiane. Credo però che, questa scelta narrativa che io stesso all’inizio ho percepito come un limite, in realtà divenga, con il dipanarsi della storia, la sua forza perché concentra l’analisi sociale esclusivamente su un ambiente ristretto quale una scuola gestita da preti e la famiglia tradizionalmente bigotta, rivelando così un’educazione di stampo repressivo.
Ciò, a mio avviso, ne acuisce l’accusa, svelando le ipocrisie e mettendo a nudo gli effetti invasivi di un mondo che cambia così velocemente da far apparire certi riti e insegnamenti in tutta la loro povertà teorica e immotivata alterigia. I ragazzi percepiscono dunque un vuoto di potere, perché né i genitori né gli insegnanti dimostrano capacità credibili per gestire e interpretare una realtà mutante. Così la mancanza di rispetto per le donne, il senso di appartenenza fortemente gerarchico (il capo è sempre la figura riconosciuta come la più brutale), la visione elitaria e la sopraffazione si affermano come linguaggio primario, l’unico possibile. L’identificazione nell’ideologia fascista come soluzione politica e atteggiamento estetico ne è il naturale sbocco. Sbaglia chi ribalta la questione: erano fascisti e dunque violenti. La violenza origina e si insinua tra le pieghe di un’educazione familiare e cattolica che si mostra in tutta la sua ipocrisia e inattualità, per questo il film di Mordini centra in pieno l’obiettivo.