Heidegger e l’economia
di Gennaro Imbriano
Si ringrazia Gennaro Imbriano per il permesso di pubblicazione della introduzione al suo libro Il lavoro e le cose. Saggio su Heidegger e l’economia, Quodlibet Studio, Macerata, 2019.
Presentando il suo visionario studio su Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, Lukács mostrava in maniera magistrale come l’impiego di categorie filosofiche e l’elaborazione di interi sistemi concettuali possano nascondere – più o meno consapevolmente, più o meno esplicitamente – rimandi al mondo della vita nel quale hanno trovato la loro genesi. Nel rinvenire l’origine della problematica hegeliana della scissione nella stessa costituzione materiale del mondo moderno in formazione, del resto, Lukács non intendeva solamente mettere alla prova la cogenza di un paradigma teorico o di un metodo della critica filosofica. Ponendo al centro della sua ricerca «l’interrelazione fra categorie economiche e filosofiche» per studiare da una prospettiva desueta il pensiero del giovane Hegel, piuttosto, si proponeva di sperimentare «la possibilità di un fecondo allargamento metodologico della storia della filosofia», cioè di portare «scientificamente alla luce connessioni che non erano state ancora intraviste o che erano state viste in modo errato»[1].
Questa ricerca, che ha come oggetto il rapporto tra la filosofia di Heidegger e l’economia, è ispirata, almeno in parte, dalla prospettiva che Lukács proponeva in quel brillante studio, e soprattutto dal presupposto più generale che ne orientava lo svolgimento. La connessione tra la genesi della filosofia hegeliana e i problemi della società capitalistica in formazione era legittimata sul piano teorico, a giudizio di Lukács, da un’ipotesi più ardua, e cioè che «a partire da Platone e da Aristotele, anzi, da Eraclito, non c’è praticamente un solo pensatore universale, un vero filosofo, che non abbia prestato alcuna attenzione a questo complesso di problemi», ovvero che non abbia forgiato le sue categorie filosofiche a partire da questioni economiche[2]. E questo per Lukács è tanto più vero per il fatto che «non è certo necessario che, occupandosi di quei rapporti tra gli uomini che nell’epoca moderna sono divenuti oggetto della specifica scienza economica, i vari pensatori li abbiano coscientemente concepiti come problemi specifici dell’economia»: sufficiente è il fatto che «in una qualche forma siano stati da loro assunti a problema»[3].
Nel richiamarci esplicitamente allo studio sul giovane Hegel non pretendiamo certo di essere riusciti ad arare energicamente, come Lukács stesso auspicava che sarebbe accaduto, «un campo nuovo e straordinariamente fecondo della storia della filosofia», e dunque di essere stati in grado di porci all’altezza del compito storiografico e scientifico da quello evocato. Più semplicemente, si tratta di dichiarare la rilevanza di un metodo che pare, a dispetto dei decenni trascorsi dalla sua formulazione, ancora in grado – di certo, almeno, nel caso di Heidegger – di mostrare la sua vitalità e la sua fertilità.
La domanda che ispira questa ricerca, dunque, è quella del rapporto tra la filosofia di Heidegger e l’economia. Esiste una teoria economica – seppure implicita, nascosta – nella filosofia di Heidegger? Quando forgia le sue categorie filosofiche, Heidegger pensa anche in termini economici? C’è una specifica prospettiva economica nella sua filosofia? In caso negativo, essa si potrebbe in qualche modo derivare, anche se mediatamente, dalla sua filosofia? E ancora: possiede Heidegger una conoscenza delle teorie economiche classiche e a lui contemporanee? Queste hanno una qualche rilevanza sulla sua elaborazione della critica della metafisica? E in che rapporto sta la sua filosofia – e la visione del mondo che da essa prorompe – con l’organizzazione produttiva e riproduttiva del mondo in cui Heidegger vive e opera?
A un primo sguardo potrebbe apparire che queste domande siano del tutto distoniche con l’impostazione di fondo del pensiero di Heidegger. Questo pensiero, come noto, mette al centro l’ontologia e la critica della metafisica e bolla ogni impostazione scientifica come incapace di cogliere l’essere delle cose. «La scienza non pensa», sentenzia Heidegger, reputando impossibile che una concezione scientifica della realtà possa adeguatamente spiegare il mondo che ci circonda. Se questo è vero per le scienze in generale, lo è anche per quella economica. Heidegger, dunque, non produsse alcuna «economia», così come non produsse una «antropologia» o una «psicologia». Non casualmente, del resto, egli rileva sempre, ogni volta che i suoi costrutti manifestano vicinanze a teorie scientifiche, che quelli non sono mai inquadrabili in precostituite discipline, le quali hanno il rilevante limite di essere edificate nel solco della scienza: così la sua analitica esistenziale non è un’antropologia, la sua descrizione della storicità non è una storiografia (né una teoria della storia), la sua critica dell’ontologia non è una metafisica, la sua ermeneutica non è una teoria linguistica, e così via[4].
Certo è, del resto, il fatto che Heidegger mai parla espressamente di economia, né formula teorie economiche. Non vi sono luoghi della sua produzione, almeno in apparenza, nei quali emergano problematiche propriamente iscritte in questo ambito. Heidegger non offre mai una teoria dell’agire economico, una teoria del valore, una disamina delle forze produttive, una concezione esplicita del lavoro, un’analisi dei processi della produzione e dello scambio. Ciò che più da vicino può ricordare qualcosa come una riflessione economica, forse, è la sua critica della tecnica, la quale però, come noto, non ha un’esplicita connotazione economica, ma una fondazione dichiaratamente ontologica: la tecnica non è nulla di tecnico, ama ripetere Heidegger, e non si spiega a partire da ragioni economiche, poiché si configura come il risultato del compimento del destino storico dell’umanità europea in ragione del senso che la storia dell’essere assume nell’età moderna[5].
In prima battuta, dunque, le nostre domande di partenza ricevono una risposta negativa. Si tenterà tuttavia ugualmente di scandagliare il testo heideggeriano per verificare se dietro questa (almeno apparentemente) indubitabile evidenza si nascondano delle sorprese. In altre parole, proveremo a verificare se un determinato ordine di problemi sia stato pensato da Heidegger almeno implicitamente, ovvero, per dirla con Lukács, se egli abbia colto alcuni nodi privilegiati solitamente inquadrati nell’ambito della scienza economica senza per questo averli esibiti come tali. Se cioè nella sua ontologia abbiano operato, trasfigurate, questioni che attengono al problema del rapporto tra gli uomini e le cose che rimandano, in definitiva, al rapporto tra le cose e il lavoro che le produce.
La sterminata bibliografia su Heidegger non contiene, a oggi, studi specificatamente dedicati a questo problema, se si escludono alcuni grandi classici del pensiero storico-filosofico che hanno lambito tangenzialmente il tema. Così Adorno, ad esempio, nel Gergo dell’autenticità sostiene che la filosofia heideggeriana sarebbe espressione, sul piano intellettuale, dell’appartenenza di Heidegger a un preciso mondo storico e della sua piena identificazione con l’orizzonte ideale della piccola borghesia tedesca[6]. Lo stesso Lukács, dal canto suo, insiste sul fatto che la filosofia heideggeriana altro non sarebbe che la versione aggiornata di quell’irrazionalismo metafisico funzionale al mantenimento dell’ordine borghese[7]. Per muoverci nel campo delle suggestioni narrative, poi, vi sono addirittura romanzi che ricostruiscono la vicenda di Heidegger inquadrandola a partire dalla sua vicinanza a quella costellazione sociale che in Germania era rappresentata soprattutto da Röhm e dalle SA, e che dunque Heidegger fu un nazista da camicia bruna – cioè aderì al nazismo in virtù della sua appartenenza a quel coacervo sociale che ispirò, sulla base della sua collocazione economica, un determinato posizionamento politico[8].
Più di recente alcuni studi scientifici hanno provato invece a tematizzare la presenza, in Heidegger, di problematiche di natura economica, legate soprattutto alla sua critica della tecnica e alla conseguente possibilità di intravedere nel suo pensiero tardo una prospettiva ecologica, o una critica del capitalismo (e della sua configurazione globale)[9]. Oppure a ipotizzare la convergenza della sua impostazione degli anni Venti con alcune teorie della scuola neoclassica[10]. In ogni caso, però, queste ricerche non si pongono l’obiettivo di considerare organicamente la prospettiva economica di Heidegger, cioè di studiarne la strutturale immanenza al suo sistema filosofico. Ciò, a ben guardare, non accade casualmente: in effetti quello che in questi studi viene messo in rilievo, ogni volta con accenti e consapevolezza diversi, è che l’incontro con problematiche genericamente economiche si determina, in Heidegger, sempre a partire dall’ontologia, e che dunque la rilevanza della sua riflessione economica, se e quando essa è presente, è certamente secondaria, se non esteriore e occasionale. In altri termini, dall’ontologia heideggeriana deriverebbero alcune necessarie conseguenze di carattere economico-politico, come del resto lo stesso può dirsi per ogni ambito studiato dalle singole «ontologie regionali». Pur dove è messo a tema, dunque, il rapporto tra Heidegger e l’economia è in fondo ridotto a questione tutto sommato derivata, la cui sostanza si può dedurre dalle conseguenze che in quello specifico campo del sapere sono determinate dall’impostazione generale sul problema dell’essere[11].
Ora, tutto ciò è certamente sensato. Non si può non partire, anche in un’indagine che voglia tematizzare il rapporto tra Heidegger e l’economia, dalla presa d’atto che la riflessione sull’essere è il cuore dell’intera problematica heideggeriana, e che dunque ogni interpretazione del suo pensiero deve trovare in quella il suo punto archimedeo. Si è altresì convinti, tuttavia, del fatto che per scorgere la vera natura e il vero significato dell’ontologia di Heidegger occorra in qualche modo uscirne, guardarla dall’esterno, rinvenire le tracce che in essa sono disseminate e che parlano di un fuori dall’ontologia e seguirle per arrivare alla sua fonte nascosta. Che essa sia, insomma, la sofisticata costruzione «sintomale» di mondi a essa esterni.
Del resto, la prima fessura che si apre nel muro apparentemente granitico di un’ontologia priva di riferimenti all’economia è costituita dal rilievo che Heidegger nella sua prima produzione costruisce le sue categorie ontologiche con riferimento a svariate modalità con le quali l’esserci entra in un rapporto materiale con gli oggetti del suo mondo. Categorie come «cura», «utilizzabile», «uso», «natura», per mezzo delle quali Heidegger descrive la fenomenologia dell’«essere-nel-mondo», lasciano intravedere una specifica concezione sul rapporto materiale tra uomo e oggetto. A partire dagli anni immediatamente successivi a Essere e tempo, inoltre, l’interesse principale di Heidegger sarà rappresentato dalla critica della tecnica, che avrà come sua esigenza fondamentale quella di studiare le modalità di appropriazione del mondo da parte dell’uomo moderno. Contestualmente, proprio la tematizzazione del rapporto tra uomo e mondo mediato dalla tecnica imporrà a Heidegger di ipotizzare una genealogia storico-ontologica del dominio dell’uomo sulla natura. Sulla base di questi elementi la ricerca procederà soprattutto nel tentativo di rintracciare prospettive economiche non immediatamente e chiaramente presenti, ma perlopiù mediate da categorie ontologiche, dietro le quali spesso di celano ipotesi riconducibili a una specifica idea di economia. Lo scopo della ricerca diventa così quello di provare a individuare tali concezioni, di svolgerne il significato, di scoprirne implicazioni e conseguenze. Si tenterà allo stesso modo di richiamare possibili convergenze, accordi più o meno taciti o esplicite divergenze con autori classici e contemporanei del pensiero economico.
La prima parte del lavoro («La produzione del mondo») si concentrerà sulla fase iniziale della speculazione heideggeriana, quella dedicata all’ermeneutica della fatticità e all’analitica esistenziale. Si vedrà che nella categoria di «cura», che aspira a descrivere il rapporto (pratico e utilitaristico) che l’esserci instaura con le cose, e che si riferisce alla loro maneggiabilità, sono contenuti decisivi riferimenti ai fenomeni dell’appropriazione delle cose, della loro distribuzione, del loro valore, del loro scambio e, infine, della loro produzione. Sullo sfondo di questa costellazione problematica emerge una specifica concezione del tempo, dei rapporti che l’esserci instaura con gli altri e uno specifico modo di intendere la natura dell’accaparramento delle risorse, oltre che la loro disponibilità nel mondo umano. Emergerà una teoria heideggeriana della produzione, sullo sfondo della quale si staglia una conseguente idea del significato e del valore del lavoro umano.
Nella seconda parte («Ontologia della produzione») verranno presi in considerazione soprattutto gli scritti successivi a Essere e tempo nei quali è tematizzato lo sviluppo dell’ontologia heideggeriana dopo l’opera capitale. Fondamentale sarà l’analisi del rapporto tra essere e temporalità, divenire e storia, oltre che l’indagine sulla concezione heideggeriana del negativo. I risultati ai quali perviene l’ontologia di Heidegger dopo Essere e tempo, come si vedrà, mettono in evidenza la presenza di un concetto ontologico di produzione, in apparenza del tutto scevro da riferimenti alla teoria economica.
Infine, sulla base degli elementi maturati nella seconda parte del lavoro intorno a questo concetto – che, benché in apparenza non informato da presupposti economici, ma pienamente interno all’ontologia, finisce per avere implicazioni significative, anche al di là delle intenzioni di Heidegger, che eccedono il campo più strettamente ontologico – tenteremo, nella terza parte («L’enigma della modernità»), di misurarci con i testi di Heidegger che più esplicitamente ingaggiano un confronto critico con il pensiero calcolante e gli effetti dell’estensione della produzione tecnica su scala planetaria.
Le conclusioni alle quali questo studio giunge non intendono essere né definitive né esaurienti. Ciò che si spera è di riuscire a fornire una soddisfacente prospettiva sui problemi, sui temi e sui testi legati all’oggetto di questa ricerca, nella consapevolezza che un tema così vasto e complesso non può essere esaurito con questo contributo.
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[1] György Lukács, Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, 2 voll., Torino, Einaudi, 1960, vol. 1, pp. 25-26 (ed. or. Der junge Hegel. Über die Beziehungen zwischen Dialektik und Ökonomie, Zürich-Wien, Europa Verlag, 1948).
[2] Ivi, p. 26.
[3] Ivi, p. 27.
[4] Sulla critica heideggeriana della scienza cfr. Trish Glazebrook (a cura di), Heidegger on science, State University of New York Press, Albany, 2003 e Vincenzo Crupi, Presupporre e interpretare. Heidegger, il problema dei presupposti e la storicità del sapere scientifico, Napoli, Vivarium, 2002.
[5] Si vedano in proposito Emil Angehrn, Kritik der Metaphysik und der Technik. Heideggers Auseinandersetzung mit der abendländischen Tradition, in Dieter Thomä (a cura di), Heidegger-Handbuch. Leben, Werk, Wirkung, Stuttgart-Weimar, Metzler, 2003, pp. 268-279 e Stefan Zenklusen, Seinsgeschichte und Technik bei Martin Heidegger. Begriffsklärung und Problematisierung, Marburg, Tectum, 2002.
[6] Theodor W. Adorno, Il gergo dell’autenticità. Sull’ideologia tedesca, Torino, Bollati Boringhieri, 1998 (ed. or. Jargon der Eigentlichkeit. Zur deutschen Ideologie, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1964).
[7] György Lukács, La distruzione della ragione, Torino, Einaudi, 1959, pp. 508-511 (ed. or. Die Zerstörung der Vernunft, Berlin, Aufbau Verlag, 1955).
[8] José Pablo Feinmann, L’ombra di Heidegger, Vicenza, Neri Pozza, 2007 (ed. or. La sombra de Heidegger, Buenos Aires, Seix Barral, 2005).
[9] Cfr. da ultimo Charles Taylor, Heidegger, Sprache und Ökologie, in Paul Sörensen, Nikolai Münch (a cura di), Politische Theorie und das Denken Heideggers, Bielefeld, transcript, 2013, pp. 191-224; Francesco Mora, Martin Heidegger, la provincia dell’uomo. Critica della civiltà e crisi dell’umanismo (1927 – 1946), Milano, Mimesis, 2011; Ricardo Pobierzym, Heidegger: un teórico de la ecología?, «Proyecto», 15, 2003, pp. 109-116.
[10] Yuichi Shionoya, Hermeneutics and the Heidegger=Schumpeter Theses, «American Journal of Economics and Sociology», 69, 1, 2010, pp. 188-202; Giuseppe Privitera, Existential analytic and economic analysis in Menger, Robbins and Heidegger. Some considerations, in Daniela Fernanda Parisi, Stefano Solari (a cura di), Humanisms and religion in the history of economic thought, Milano, FrancoAngeli, 2010, pp. 358-379.
[11] Sulla persistenza di una tematica economica nel pensiero heideggeriano cfr. inoltre Michael Auer, Figura Etymologica. Heidegger’s critique of the economy of reproduction, «Angelaki. Journal of the Theoretical Humanities», 17, 2012, pp. 13-29 e Frank Schalow, Heidegger and the question of economics, «American Catholic Philosophical Quarterly», 74, 2000, pp. 249-267.