Dei Tartari e di Cublai Cane loro signore, da “Il libro di Marco Polo detto Milione” nella versione trecentesca dell’”ottimo”, LVII, LXIX, LXVI
antologia storica a cura di Adriano Simoncini
Marco Polo nacque a Venezia nel 1254. Nel 1271, a diciassette anni, partì col padre Niccolò e lo zio Matteo per la Corte di Cublai Can, in Cina, dove i due già erano stati in un primo viaggio. Vi giunsero nel maggio 1275. Durante i diciassette anni trascorsi presso il Gran Can, di cui Marco guadagnò la stima, il nostro svolse attività diplomatiche e amministrative per conto dell’imperatore. I Polo ripartirono nel 1292 e dopo tre anni ritornarono a Venezia. Durante la battaglia di Curzola fra Veneziani e Genovesi (1298) Marco fu fatto prigioniero. Nelle carceri di Genova ebbe come compagno Rustichello da Pisa, a cui dettò le memorie del suo straordinario viaggio, appunto il Milione, scritto in un francese frammisto di italianismi e venezianismi. La più autorevole delle antiche traduzioni toscane è quella conosciuta col nome di <<ottimo>>. Ratificata la pace fra Veneziani e Genovesi nel 1299, Marco Polo tornò a Venezia, dove morì fra il 1324 e il 1325.
Dei Tartari
I Tarteri dimorano lo verno in piani luoghi ove abbia molta erba e buona pastura per loro bestie; di state, in luoghi freddi e in montagna e in valli, ove hae acqua assai e buone pasture. Le case loro sono di legname, e sono coperte di feltro, e sono tonde, e portaseli dietro in ogni luogo ov’egli vanno, però che egli hanno ordinato sì bene le loro pertiche, ond’egli le fanno, che troppo bene le possono portare leggiermente in tutte le parti ov’egli vogliono. Queste loro case sempre fanno l’uscio verso mezzodie. Egli hanno carrette coperte di feltro nero, che, perché vi piova suso, non si bagna nulla cosa che dentro vi sia. Egli la fanno menare a buoi e a cavalli, e in sulle carrette pongono loro femmine e lor fanciulli. E sì vi dico che le loro femmine comprano e vendono e fanno tutto quello ch’è bisogno a’ loro mariti; però che gli uomeni non sanno fare altro che cacciare e uccellare e fatti d’osti. Egli vivono di carne e di latte e di cacciagioni; egli mangiano di pomi (sorci) di Faraone, che ve n’ha grande abbondanza da tutte le parti; e mangiano carne di cavallo e di cane e di giumente e di buoi e di tutte le carni, e beono latte di giomente. E per niuna cosa l’uno non toccherebbe la moglie dell’altro, perocché l’hanno per malvagia cosa e per grande villania. Le donne sono buone e guardano bene l’onore di loro signori, e governano bene tutta la famiglia; e ciascuno può pigliare tante moglie quanto egli vuole, infino in cento, s’egli hae da poterle mantenere.
Di Cublai Cane loro signore
Lo Gran Signore di signori che Cublai Cane è chiamato, è di bella grandezza: né piccolo né grande, ma è di mezzana fatta. (…) Egli ha tuttavia quattro femmine, le quali tiene per sue diritte mogli. E ’l maggior figliolo che gli ha di queste quattro mogli, dee essere signore, per ragione, dell’imperio dopo la morte del suo padre. Elle sono chiamate imperadrice, e ciascuna è chiamata per suo nome. E ciascuna di queste donne tiene corte per sé. E non ve n’ha niuna che non abbia trecento donzelle, e hanno molti valletti e scudieri (valletti eunuchi) e molti altri uomini e femmine; sì che ciascuna di queste donne ha bene in sua corte mille persone.
E quando (Cublai Cane) vuol giacere con alcuna di queste donne, egli la fa venire in sua camera e talvolta vae alla sua. Egli tiene ancora molte amiche: e dirovvi com’egli è vero che gli è una generazione di Tarteri, che sono chiamati Ungrat, che sono molto bella gente e avvenenti: e di queste sono iscelte cento le più belle donzelle che vi siano, e sono menate al Gran Cane. Ed egli le fa guardare a donne del palagio, e falle giacere appresso lui in u’ letto per sapere s’ella hae buono fiato, e per sapere s’ella è pulcella, e bene sa d’ogni cosa. E quelle che sono buone e belle di tutte cose sono messe a servire lo signore in tal maniera come io vi dirò. Egli è vero che, ogni tre dì e tre notti, sei di queste donzelle servono lo signore in camera e al letto e a ciò che bisogna, e ’l signore fae di loro quello ch’egli vuole. E di capo di tre dì e di tre notti vegnono le altre sei donzelle, e così e vae tutto l’anno di sei in sei donzelle.
Ancora sappiate che ’l Gran Cane hae delle sue quattro mogli ventidue figliuoli maschi (…) E sappiate che ’l Gran Cane ha venticinque figlioli di sue amiche (…)
Della gran battaglia che il Gran Cane fece con Naian
Quando l’alba del die fu venuta, el Gran Cane apparve sopra il piano, ove Naian dimorava (…) La sua gente era schierata a trenta e trenta milia, e intornearono il campo tutto quanto, attorno attorno (…) Quando Naian vidde il Gran Cane con sua gente, fu tutto ismarrito egli e’ suoi, e ricorsoro all’armi, e schiaronsi bene e arditamente e acconciaronsi che non era se non a fedire. Allotta cominciarono a suonare molti istormenti e a cantare ad alta bocie: perché l’usanza dei tartari è cotale che infino che ’l gran nacchero non suona, ch’è uno istormento del capitano, mai non combatterebbono; e infino che pena a sonare, gli altri suonano molti istormenti e cantano. Ora è lo gran cantare e ’l sonare sì grande da ogni parte, che ciò era grande maraviglia. Quando furono apparecchiati amendue le parti, e gli grana naccheroni cominciarono a sonare, e l’uno venne contro all’altro, e cominciaronsi a fedire di lance e di spade. E fu la battaglia molto crudele e fellonesca: e le saette andavano tanto per l’aria, che non si poteva vedere l’aria se no’ come fosse piova, e’ cavagli cadevano dall’una parte e dall’altra; ed eravi tale lo romore, che gli tuoni non si sarebbero uditi. E sappiate che Naian era cristiano battezzato, e in questa battaglia aveva egli la croce di Cristo sulla sua insegna. E sappiate che quella fu la più crudele battaglia e la più paurosa che fosse mai al nostro tempo, né ove tante gente morisse; e vi morirono tanta gente tra una parte e dell’altra che ciò sarebbe maraviglia a credere. Ella durò dalla mattina infino a mezzodì passato, ma al dasezzo rimase il campo al Gran Cane. Quando Naian e la sua gente viddono ch’egli non potevano sofferire piue, missonsi a fuggire; ma non valse nulla, ché pur Naian fu preso e tutti i suoi baroni e la sua gente s’arendero al Gran Cane.
E quando il Gran Cane seppe che Naian era preso, egli comandò che fosse morto in tal maniera: ch’egli fu messo in su ’n tappeto, e tanto fu pallato e menato in qua e in là ched egli morío. E ciò fece che non voleva che ’l sangue del lignaggio dello imperadore facesse lamento all’aria; e Naian era di suo lignaggio. Quando queste battaglie fu vinta tutta la gente di Naian fece la rendita al Gran Cane e la fedeltade.
Della sepoltura dei Gran Cani
E dovete sapere che tutti gli Gran Cani discesi di Cinghys Cane sono sotterrati ad una montagna grande, la quale chiamata Altai. E ove li grandi signori dei Tarteri muoiono, se morissero cento giornate dalla lungi a quella montagna, si conviene ch’egli vi sieno portati. E sì vi dico un’altra cosa: che quando i corpi di Gran Cani sono portati a sotterrare a questa montagna, se fossero a lungi quaranta giornate, o più o meno, tutte le gente che sono incontrate per quello cammino onde si porta il morto, tutti sono messi alle spade e morti; e dicono loro quando gli uccidono: – Andate a servire lo vostro signore nell’altro mondo; – che credono che tutti coloro che sono morti lo debbiano servire nell’altro mondo, e così gli uccidono; e così uccidono gli cavalli, e pure gli migliori, perché il signore gli abbia nell’altro mondo. E sappiate che quando Mongu Cane morìo, furono morti più di ventimila uomeni, gli quali incontravano il corpo che si andava a sotterrare.