Decreto 137, la protesta si allarga
di Giorgio Morgione
Va chiarendosi il piano dei risparmi preparato da questo governo. Dentro le sue linee il ministero dell’istruzione ha lavorato duro soprattutto a luglio e ad agosto, i mesi caldi della bufera Gelmini (dagli ora, che i prof sono in vacanza!), un frangente nel quale è stata resa nota la sostanza del progetto di riforma scolastico e dal quale si è innescata la catena di reazioni giunta fino ad oggi. Le preoccupazioni riguardano tutti gli ambiti dell’istruzione pubblica. Si guardi un momento a cosa si prevede, tra le altre cose, per la scuola elementare. Due emendamenti al comma 2 dell’art. 4 del D. Lgs. 137 proposti dall’onorevole Aprea, presidente della Commissione Istruzione alla Camera, annunciano cambiamenti importanti per il futuro dei maestri. Nel primo si prevede una ricontrattazione con l’Aran del compenso spettante al maestro per le ore di servizio che questi svolgerà in aggiunta a quelle stabilite dal contratto; il secondo prevede che il Ministro dell’economia, il motore primo dell’affarone, stabilirà, a partire dal 1 settembre 2009, l’entità delle risorse economiche da destinare a questo scopo, risorse che dovranno essere reperite dal fondo di istituto per poi essere -così pare- reintegrate a partire dall’anno seguente. Dunque se qualcuno disse “lavorare meno ma lavorare tutti”, qui si afferma chiaro e tondo “lavorare di più, lavorare in pochi e raschiando il barile della scuola pubblica”.
Sulla scuola media gli interventi in numeri parlano di tagli per oltre 14.000 posti tra personale amministrativo tecnico ausiliario e docente. Un primo riflesso di queste cifre sulla qualità dell’insegnamento è dato dalla necessità di ridurre il numero dei corsi a mezzo di un accorpamento delle classi, in altri termini, fino a 31 studenti per classe. Non è difficile immaginare che una simile disposizione non può far altro che aumentare il livello di criticità della gestione e ridurre gli indici di apprendimento: per fare un esempio, i tempi necessari all’avanzamento della didattica potranno essere ricavati dall’adozione di metodologie di verifica e di valutazione più sbrigative, i questionari a risposta chiusa anche per le materie culturali (in barba agli sforzi della docimologia).
Anche nei gradi più alti si avverte l’aggravarsi dello sfascio. Si sciopera, si occupa, si scende in piazza e mentre il Ministro dell’istruzione continua a non vedere le ragioni di tanta protesta -come se nessuno dei presenti alle assemblee e ai cortei fosse in grado di leggere i contenuti di un Decreto- il premier annuncia l’intervento delle forze dell’ordine nelle università dissidenti. Peccato per il Cavaliere che senza il si dei Rettori non si va da nessuna parte (si dirà che sono dei sessantottini!), i quali, finora, hanno ritenuto inutile un intervento dei poliziotti, anzi, alcuni Magnifici hanno persino espresso soddisfazione per il modo in cui sta prendendo forma la protesta nelle aule. Gli stessi docenti universitari fanno lezione all’aria aperta ed è inevitabile finire col parlare della incostituzionalità della riforma, un esempio l’astrofisica Margherita Hack a Firenze, di fronte ad una piazza della Signoria piena di studenti in protesta.
La data dello sciopero del 30 ottobre indetto da CGIL, CISL, UIL, SNALS e GILDA si avvicina in un climax di dissenso il cui campo si allarga rapidamente anche all’ambito universitario e della ricerca. Non più soltanto scuole elementari e medie: gli avvenimenti alla stazione Cadorna di Milano e alla stazione centrale di Bologna del 21 ottobre sono la dimostrazione di quanto questa riforma sia ormai ritenuta trasversalmente una dequalificazione dell’accesso pubblico alla conoscenza. Lo si è affermato anche il 17 ottobre a Roma, con la massiccia partecipazione intergenerazionale alla manifestazione organizzata dai COBAS. Certo, meglio sarebbe stato se un accordo tra le varie sigle avesse deciso per una data unica nazionale, una ragione per dire, ancora una volta, che si è persa una grande occasione, ma va ugualmente detto che il governo si trova ora a fare i conti con un livello crescente di scontro politico, uno scontro che va ben al di là degli interessi di categoria, che vede in prima linea la consapevolezza di un progetto di riforma che danneggia la nostra scuola.