Da Tommaso Campanella, Opere di Giordano Bruno e Tommaso Campanella, a cura di Augusto Guzzo e Romano Amerio, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli 1956
antologia storica a cura di Adriano Simoncini
Di famiglia contadina, Tommaso Campanella nacque a Stilo, Calabria, nel 1568 e morì nel 1639 a Parigi, dove era stato accolto con grandi onori da Luigi XIII. La sua vicenda umana è stata infatti non comune. Entrato nell’Ordine domenicano, si dedicò allo studio della filosofia, dell’astrologia, dell’occultismo. Ne disputava e ne scrisse fino a incorrere in accuse di eresia che lo portarono a essere ripetutamente processato, torturato e infine carcerato per ben 29 anni – solo il fingersi pazzo lo salvò dal rogo. Aveva infatti predicato una congiura contro la Spagna e contro la Chiesa per la costituzione di una repubblica cristiana senza dogmi e gerarchie. In carcere continuò a scrivere e a filosofare, ma entro l’ortodossia. Il suo ideale politico fu consegnato all’opera utopica per cui è conosciuto: La città del sole.
Di seguito tuttavia riportiamo alcuni passi che di fatto descrivono lo stato della Chiesa e del Papato del suo tempo.
Da Discorsi universali del governo ecclesiastico per fare una gregge e un pastore, pp. 1122-1124 e 1152-1154, passim
Universali proposizioni sopra l’acquisto e il mantenimento degli imperi, tratte dalla politica; e quinci dal papato.
- Ogn’imperio s’acquista o con la spada sola, o con la lingua sola, o con ambidui instrumenti.
- Con la spada sola presto s’acquista e presto si perde, come fe’ il Tamerlano.
- Con la lingua sola si vincono gli animi e restano li corpi in preda di malvaggi, quando la legge è vera, come restâro i Profeti; o de’ buoni, quando è falsa, come restò frà Dolcino e Giovanni Leidense[1].
- Con ambidui presto si vince e si fonda imperio lungo, come usò Mosè buono e Macon (Maometto) tristo.
- La legge vera, o con armi o senza, sempre alligna; la falsa non senz’armi.
- La buona, perdute l’armi, non si perde, come la mosaica e la cristiana; la mala si perde perdendo l’armi, come quella di Ciro fu o quella di Macon fia.
- Senz’armi cominciò la Chiesa di Cristo; e, perdendo, sempre vinse: e tolse l’armi a’ nemici, essa disarmata: ed ella toglierà l’armi da tutti i prencipi del mondo e restarà sola con l’uno e l’altro gladio, senza dubio. (…)
- Se gli Apostoli cominciavano con l’armi, averìan fatto niente; e se il Papa solo nell’armi fidasse, non giocherìa al gioco suo, ma de’ secolari prencipi, e perderebbe. (…)
Differenza tra l’imperio ecclesiastico e secolare
- Tutti gli errori delli governanti nella Chiesa consisteno in ciò, che pensano esser la medesima politica utile al papato e al secolar imperio.
- Ma sono differenti assai, tanto nell’acquisto quanto nella conservazione. Il papato comincia dalli animi, a cui obbediscono i corpi, e a’ e corpi le fortune, e per conseguenza “trahit omnia ad se ipsum”. Il secolare comincia dalli corpi o dalle fortune, e resta il principale fuori del fascio, che poi partorisce dissoluzione.
- L’imperio ecclesiastico si acquista con la lingua, il secolare con la spada. (…)
- Il papato si conserva con l’amore e con la venerazione; il prencipato con la paura e la giustizia. (…)
Modo d’usare con prencipi per domarli meglio
- Aspirando il Papa alla monarchia universale, deve sempre dividere i prencipi e bilanciarli in modo che un re non possa contro l’altro senza lui, e, apostatando l’uno, possa il papa con l’altro spegnerlo. (…)
- Buona legge sarìa che i figli dei prencipi tutti ereditino parte dello Stato, affinché lo dividano: «Illos oportet minui, te autem crescere».
- Mai non deve chiamar forastieri in Italia, perché non vi entri eresia o disprezzo delle sue forze; ma si aiuti di soldati altrui, guidati da cardinali e da capitani proprii.
- Quando il Papa sarà signore d’Italia, sarà anche del mondo; però deve procurar ogni via di arrivar a questo.
- Li feudi suoi non si diano se non a prencipi bassi, che, quando vuol, possa domarli senza contrasto; ma meglio è tenerli per sé. (…)
- Il Papa ha le forze dentro le viscere del nemico e, se sa servirsi, sempre vince etc.; quis intelligit haec, etc. (…)
- È facil cosa al Papa cacciar d'[alcuna provincia] un re con l’aiuto d’altri, quando vuole, in un soffio, ma non per ritener a sé il dominio di esse, perché chi l’aiuta ne vuol l’investitura.
Del tesoro ecclesiastico per la monarchia.
- Nessun prencipe ama la vicinanza dello Stato ecclesiastico, né che la Chiesa abbia danari assai; però persuadeno a’ Papi che donino le rendite a’ nepoti e all’imperatore contra Turchi e all’impiego d’altre cause, perché conoscono nel loro secreto che, quando il Papa averà gran tesoro, potrà disfare e fare di loro ciò etc., poiché la religione armata e danaiosa vince ogni cosa. Sisto V intendea questo punto.
- Deveno forzarsi ad ogni modo di far tesori, facendo pagar tanto a l’anno per decima a’ preti, a’ monasteri, a’ vescovi, a’ cardinali pro rata sotto pretesto di fare un tesoro sacro alla guerra contro infideli, e tener le chiavi di quello da quattro cardinali, non da’ nepoti.
- Mettere le bolle della crociata nelli Stati suoi e in quel d’altri e riscotere li danari per la Chiesa, e levarli a’ prencipi, mentre non l’impiegano contro infideli, o far che ogni prencipe, che fa tesoro per via ecclesiastica, non possa spender di quello senza il conseglio di tre vescovi e di tre frati capuccini.
- Che nessuno cardinale abbia più de dodici mila scudi di rendita ecclesiastica, e che, chi ne ha tanti di patrimonio, renunzi quello della Chiesa al tesoro e contentisi della dignità. E questo è buono perché non entrino ricchi, superbi e ignoranti a tanta dignità e non la procurino con tanta industria. (…)
- Mettere gabelle grosse nelle cose soverchie, come nelle carte, nelle puttane, nelli drappi di seta, etc., e poche e picciole nelle necessarie, come nel pane, nel vino, etc. perché i ricchi si aguaglieranno a’ poveri in tal modo, e si cresceno le rendite.
- Estinguer le disutili religioni e farne nove, perché si guadagna il doppio; e curarsi più dell’attive e mendicanti che delle contemplative e ricche, se non sono scienziate.
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[1] Frà Dolcino Tornielli, eretico novarese del secolo XlII, predicò la comunanza dei beni e delle donne. Fu arso vivo nel 1307; Giovanni Leidense è un capo degli Anabattisti, assediato e ucciso in Münster nel 1536 durante la guerra dei contadini.