Da Ludovico Antonio Muratori, Opere, a cura di Giorgio Falco e Fiorenzo Forti, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli, 1964
antologia storica a cura di Adriano Simoncini
Di Ludovico Antonio Muratori (Vignola 1672 – Modena 1750) abbiamo già proposto un cenno biografico nel precedente intervento che comprendeva brani presi da Annali d’Italia dal principio dell’era volgare sino all’anno 1749. Di seguito presentiamo ora alcune pagine – che ancora dovrebbero farci riflettere – tratte da Il cristianesimo felice nelle missioni de’ padri della Compagnia di Gesù nel Paraguai.
La crudeltà degli Spagnoli (dal capitolo II)
(…) Gran flemma bisogna ben che abbia chi può da capo a piedi leggere l’opera stampata di Bartolomeo de las Casas[1], sivigliano dell’Ordine de’ predicatori e vescovo di Chiapa, il quale ci lasciò la Storia della distruzione dell’Indie occidentali, e tanto operò per salvare i restanti Indiani dall’incredibile tirannia di quegli assassini che pur si chiamavano cristiani. Testimonio egli di vista delle immense crudeltà che ivi, ne’ primi tempi delle conquiste, commise la nazione spagnuola, ci assicura che tutte quelle isole e provincie di terra ferma si trovavano all’arrivo degli Spagnuoli piene di gente, quanto mai può essere terra abitata nel mondo, e gente la maggior parte semplice e senza malizia, paziente e pacifica, la qual anche fece buon accoglimento agli stranieri europei. E pur questi spietati stranieri, dimentichi affatto non dirò solo del Vangelo, ma anche dell’essere d’uomo, non mai fecero fine alla strage di quegl’infelici popoli, infierendo a guisa di lupi fra mansuete pecorelle, trovando continuamente pretesti e nuove maniere di fierezza per ispogliare de’ lor tesori ed averi e poi della vita, tante americane popolazioni.
Fa conto il vescovo suddetto che, nello spazio di quarant’anni, i suoi nazionali trucidarono o fecero in altre guise perire circa venti millioni d’anime in quelle conquiste, disertando con questa empietà e barbarie innumerabili città e ville di quelle parti, le quali restano tuttavia sfornite d’abitanti e un monumento perenne di quel che può fare la cieca ambizione, l’insaziabil avarizia e la corrotta natura dell’uomo che divien peggior talvolta delle bestie più fiere. Esempio simile di crudeltà iniquissima non si leggerà di alcun paese o di alcuna nazion de’ Gentili, e bisognò vederlo in gente battezzata e di professione cristiana. Quel che accresce l’orrore, fu l’essersi portate querele di sì enormi tirannie, dai buoni e zelanti religiosi, al tribunale dell’imperador Carlo V, re delle Spagne, e l’essersi trovati mostri di malizia ed ignoranza insieme, i quali con pubbliche scritture pretesero che gl’Indiani non fossero uomini come noi, ma una spezie d’animali fra l’uomo e la scimia, cioè bestie colla sembianza umana; e che per ischiantare l’idolatria fosse lecito lo scannar tutti gl’idolatri che non abbracciassero il Vangelo, allegando esempli delle Divine Scritture nel Vecchio Testamento. (…)
Le fatiche dei missionari (dal capitolo IX)
(…) Certamente chi de’ nemici della Chiesa cattolica è sì vago di sparlare de’ gesuiti fino a denigrar le mirabili loro fatiche e sante intenzioni nelle missioni agl’infedeli, sarebbe da desiderare che fosse testimonio di vista di quel che essi fanno e patiscono per ridurre alla greggia di Cristo tanti poveri e selvaggi abitatori del Paraguai. La maniera con cui questi ne vanno a caccia è la seguente. Mettesi il missionario in cammino col solo breviario sotto il braccio e in mano un bastone sulla cui cima sta la Croce. In sua compagnia sogliono ire venticinque o trenta od anche più nuovi cristiani, tutti zelanti dell’onore di Dio e del bene del prossimo, che non solamente servono a lui per guide e per interpreti, ma anche fanno da predicatori e da apostoli presso i lor nazionali, siccome diremo meglio fra poco. Convien bene spesso camminar cento e più miglia, sempre colle accette alla mano per farsi strada nelle foltissime foreste, e giugnere dove i barbari come fiere vivono rintanati nelle boscaglie e caverne de’ monti. S’incontrano aspre e ripide montagne, lagune, pantani, fiumi senza ponti: bisogna passarli. Capanne o luoghi da riposar la notte non occorre sperarli. Sotto gli alberi la terra serve di letto, e beato chi ha una stuora o rete tirata sopra quattro pali per potervisi adagiar sopra e vivere più sicuro dai serpenti e dalle fiere. Un pugno di maiz bene spesso è tutto l’imbandimento della tavola; e talvolta ne’ viaggi lunghi né pur s’incontra di che cibarsi, fuorché di alcune radici o frutta silvestri; e manca talora anche l’acqua, con ricorrere allora a cogliere tanto di rugiada cadente dalle foglie degli alberi che serva ad alleviar la sete, sete che, in que’ paesi dove il sole è ardentissimo, è compagna continua di chi fa viaggio. Tutto questo nondimeno par poco o nulla a chi seco porta una più ardente carità per la gloria di Dio e per la salute dell’anime.
Trovati poi che sono i barbari, l’incontro ch’essi fanno per lo più ai missionari è di riceverli come nemici, venendo verso loro colle mazze in mano e colle freccie sull’arco per timore che sieno Mammalucchi di S. Paolo del Brasile[2] travestiti da gesuiti. Imperocché è da sapere che quella nefanda canaglia, usata a far così sterminati viaggi che v’impiegano i cinque e sei mesi, per sorprendere e fare schiavi i poveri Indiani, con passare fin di là dal fiume Paraguai nelle popolazioni de’ Cichiti e de’ Ciriguani, più volte s’è servita di sì detestabil trama. Cioè mandavano innanzi persona vestita a foggia di gesuita coll’accompagnamento d’alcuni lor fedeli Indiani i quali, portando regali agli abitatori sotto specie di predicar loro la legge di Cristo, tanto s’adoperavano che gl’inducevano a raunarsi. Il che fatto, giugnevano poi loro addosso, facendoli schiavi tutti colle donne e fanciulli e depredando ogni loro sostanza. Questa infernale invenzione per gran tempo infamò i veri missionari del Signore talmente, che difficilmente di loro si fidavano gl’Indiani e si penava assaissimo a disingannarli. (…)
Le milizie (dal capitolo XX)
I più terribili sono i sopra mentovati Mammalucchi del Brasile (…) che verso il fine del prossimo passato secolo arrivarono all’improvviso questi cani alla Riduzione di Gesù e Maria, posta nel Guairà, e la più vicina alle loro unghie. Erano ottocento i Mammalucchi, accompagnati da tre mila Tupý, indiani loro sudditi, e venivano ben provveduti di moschetti e fucili e d’altre armi. Tempo non restò a difesa alcuna, e però si diedero a man salva a prendere quanti uomini, donne e fanciulli cadevano in loro mano. Al primo avviso di sì fiera calamità delle sue innocenti pecorelle, il p. Simone Mazzetta, insigne missionario, giudicando che costoro per quell’ombra che tengono di cristianesimo, rispetterebbero almeno i sacerdoti, vestito di cotta e stola e con la Croce in mano andò incontro ad essi e con tutta mansuetudine si diede a scongiurarli di non offendere que’ novelli germi della fede cristiana. La risposta che gli diede un de’ loro capitani per nome Federigo Mello, fu di scaricare un fendente della sua sciabla per ispaccare il capo del buon religioso. Volle Dio che questi col muoversi schivasse il colpo.
Ma giunto nello stesso tempo il cacique[3] Carubà tutto affannoso per portare al padre la nuova che i Tupý entrati per altra parte nella Riduzione facevano schiavi que’ poveri cristiani, il Mello presente alzò l’archibugio e, scaricatolo in petto al cacique, lo stese morto a terra. Andò intanto a sacco tutta la Riduzione, né si perdonò alla chiesa, alla sagrestia e alle stesse immagini de’ santi, e chi volle far opposizione vi lasciò la vita. Per timore poscia che non accorressero in soccorso l’altre circonvicine Riduzioni, la mattina sull’alba gli empi masnadieri s’inviarono verso il loro paese, menando seco tutta la gran processione di quegli infelici schiavi, con altri assai presi in altri luoghi[4].
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[1] Bartolomeo de las Casas (1474-1566), missionario, difese gli Indios denunciando la disumana crudeltà dei conquistadores nei suoi scritti, fra cui la Brevisima relaciòn de la destruyciòn de las Indias (1552).
[2] La colonia portoghese di San Paolo, trasformatasi in nido di pirati sanguemisti, detti per spregio Mammalucchi.
[3] Un capo a cui danno il nome di cacique, che noi diremmo capitano o comandante… che talvolta… arriverà ad avere sotto di sé cento famiglie (Muratori).
[4] Si veda come il film Mission di Roland Joffé visualizza quanto narrato dal Muratori.