Da Giovanni Villani, Nuova Cronica
antologia storica a cura di Adriano Simoncini
Di Villani (circa 1280-1348) ho detto nel numero precedente. Dalla sua Nuova Cronica trascrivo ancora la descrizione del “diluvio d’acqua che venne in Firenze” (XII, I), un pellegrinaggio penitenziale (XII, XXIII) e un ricordo di Dante, suo vicino di casa (X, CXXXVI).
Nelli anni di Cristo MCCCXXXIII il dì di calen di novembre, essendo la città di Firenze in grande potenzia, e in felice e buono stato, più che fosse stata dalli anni MCCC in qua, piacque a Dio, come disse per la bocca di Cristo nel suo Evangelio: «Vigilate, che non sapete il dìe né l’ora del giudicio Dio », il quale volle mandare sopra la nostra città; onde quello dì de la Tusanti (Ognisanti) comincio a piovere diversamente in Firenze e dintorno al paese e nelle alpi e montagne, e così seguì al continuo IIII dì e IIII notti, crescendo la piova isformatamente e oltre modo usato, che pareano aperte le cataratte del cielo, e con la detta pioggia continuando grandi e spessi e spaventevoli tuoni e baleni, e caggendo folgori assai; onde tutta gente vivea in grande paura, sonando al continuo per la città tutte le campane delle chiese, infino che non alzòe l’acqua; e in ciascuna casa bacini o paiuoli, con grandi strida gridandosi a Dio: «Misericordia, misericordia! » per le genti ch’erano in pericolo, fuggendo le genti di casa in casa e di tetto in tetto, faccendo ponti da casa a casa, ond’era sì grande il romore e ’l tumulto, ch’apena si potea udire il suono del tuono.
Per la detta pioggia il fiume d’Arno crebbe in tanta abondanza d’acqua, che prima onde si muove scendendo de l’alpi con grande rovina ed empito, sì che sommerse molto del piano di Casentino, e poi tutto il piano d’Arezzo, del Valdarno di sopra, per modo che tutto ’l coperse e scorse d’acqua, e consumòe ogni sementa fatta, abbattendo e divellendo li alberi, e mettendosi inanzi e menandone ogni molino e gualchiere ch’erano in Arno, e ogni edificio e casa presso a l’Arno che fosse non forte; onde periro molte genti. E poi scendendo nel nostro piano presso a Firenze, accozandosi il fiume della Sieve con l’Arno, la quale era per simile modo isformata e grandissima, e avea allagato tutto il piano di Mugello, non pertanto che ogni fossato che mettea in Arno parea un fiume, per la quale cosa giuovedì a nona a dì IIII di novembre l’Arno giunse sì grosso alla città di Firenze, ch’elli coperse tutto il piano di San Salvi e di Bisarno fuori del suo corso, in altezza in più parti sopra i campi ove braccia sei e dove otto e dove più di 10 braccia….
E se non se non fosse che la notte vegnente rovinò del muro del Comune del prato d’Ognesanti da braccia CCCCL per la forza dell’acqua, la quale rottura sfogò l’abondanza della raccolta acqua, onde la città era piena, e tuttora crescea, di certo la città era in grande pericolo… ma rotto il detto muro, tutta l’acqua ch’era ne la città ricorse con grande foga a l’Arno, e fu venuta quasi meno… lasciando la città e tutte le vie e case e botteghe terrene e volte sotterra, che molte n’avea in Firenze, piene d’acqua di puzzolente mota, che non si sgombrò in sei mesi, e quasi tutti i pozzi di Firenze guastò… Questo diluvio fece alla città e contado di Firenze infinito danno di persone intorno IIIC tra maschi e femmine, piccioli e grandi… e di bestiame grande quantità, di rovina de’ ponti e di case e molina e gualchiere in grande numero…
Come uno frate Venturino da Bergamo commosse molti Lombardi e Toscani a penitenzia. Nel detto anno, per le feste della Nattività di Cristo, un frate Venturino da Bergamo dell’ordine de’ predicatori d’età di xxxv anni, di picciola nazione, per sue prediche recòe a penitenzia molti peccatori micidiali e rubatori, ed altri cattivi uomini de la sua città e di Lombardia. E per le sue efficaci prediche commosse ad andare a la quarentina (quaresima) a Roma e al perdono più di diecimila Lombardi gentili uomini e altri, i quali tutti vestiti quasi dell’abito di santo Domenico, cioè con cotta bianca e mantello cilestro o perso, e in sul mantello una colomba bianca intagliata con tre foglie d’ulivo in becco; e venieno per le città di Lombardia e di Toscana a schiere di xxv o xxx, e ogni brigata con sua croce innanzi gridando pace e misericordia; e giugnendo ne le cittadi si rassegnavano (recavano) prima a la chiesa de’ frati predicatori, e in quella dinanzi a l’altare si spogliavano da la cintola in su, e si batteano un pezzo umilmente…
Infra ‘l detto tempo fue in Firenze il detto frate Venturino, e predicò più volte; e a le sue prediche traeva tutto ‘1 popolo di Firenze quasi come a uno profeta. Le dette sue prediche non erano però di sottili sermoni né di profonda scienzia, ma erano molto efficaci e d’una buona loquela e di sante parole, dicendole molto dubbiose e acentive (stimolanti) a commuovere genti, quasi affermando e dicendo: « Quello ch’io vi dico sappia, e non altro; ché Dio così vuole ».
Andonne a Roma co’ detti pellegrini, e co molti altri di Toscana che ‘l seguiro, che fue innumerabile popolo con molta onestà e pazienzia. E poi da Roma andòe a Vignone (Avignone) al papa il detto frate Venturino per impetrare grazia di perdono a chi ll’avea seguito. In corte, o per invidia o per altra sua presunzione, fu acusato al papa, e apostili (attribuitigli) più articoli di peccati e di resia, de’ quali fue disaminato, e fatta inquisizione…
Chi fue il poeta Dante Allighieri di Firenze
Nel detto anno MIIIXXI, del mese di luglio, morì Dante Allighieri di Firenze ne la città di Ravenna in Romagna, essendo tornato d’ambasceria da Vinegia in servigio de’ signori da Polenta, con cui dimorava; e in Ravenna dinanzi a la porta de la chiesa maggiore fue sepellito a grande onore in abito di poeta e di grande filosafo. Morì in esilio del Comune di Firenze in età di circa LVI anni. Questo Dante fue onorevole e antico cittadino di Firenze di Porta San Piero, e nostro vicino; e ’l suo esilio di Firenze fu per cagione, che quando messer Carlo di Valos de la casa di Francia venne in Firenze l’anno MCCCI, e caccionne la parte bianca… il detto Dante era de’ maggiori governatori de la nostra città e di quella parte, bene che forse Guelfo; e però sanza altra colpa co la detta parte bianca fue cacciato e sbandito di Firenze, e andossene a lo Studio di Bologna, e poi a Parigi, e in più parti del mondo.
Questi fue grande letterato quasi in ogni scienza, tutto fosse laico; fue sommo poeta e filosafo, e rettorico perfetto tanto in dittare, versificare, come in aringa parlare, nobilissimo dicitore, in rima sommo, col più pulito e bello stile che mai fosse in nostra lingua infino al suo tempo e più innanzi… E fece la Commedia, ove in pulita rima, e con grandi e sottili questioni morali, naturali, strolaghe, filosofiche, e teologhe, con belle e nuove figure, comparazioni, e poetrie, compuose e trattò in cento capitoli, overo canti, dell’essere e istato del ninferno, purgatorio, e paradiso così altamente come dire se ne possa, sì come per lo detto suo trattato si può vedere e intendere, chi è di sottile intelletto. Bene si dilettò in quella Commedia di garrire sclamare a guisa di poeta, forse in parte più che non si convenia; ma forse il suo esilio gliele fece… Questo Dante per lo suo savere fu alquanto presuntuoso e schifo e isdegnoso, e quasi a guisa di filosafo mal grazioso non bene sapea conversare co’ laici; ma per l’altre sue virtudi e scienza e valore di tanto cittadino ne pare che si convenga di dargli perpetua memoria in questa nostra cronica, con tutto che per le sue nobili opere lasciateci in iscritture facciamo di lui vero testimonio e onorabile fama alla nostra cittade.