Bologna e l’influenza “mal mattone” (1580) da Giulio Cesare Croce, Canzone sopra il Mal Mattone
a cura di Giorgio Gattei
L’influenza è una malattia epidemica la cui origine si perde nella notte dei tempi se già Ippocrate ne aveva fatto cenno 2400 anni fa nello scritto intitolato, non a caso, Epidemie. Tuttavia una descrizione specifica è mancata finché il naturalista Ulisse Aldrovandi non l’ha descritta in dettaglio, a seguito di una sua comparsa particolarmente virulenta, in una lettera al fratello Teseo il 6 agosto 1580. E in appendice alla lettera ha riportato la composizione poetica del cantastorie bolognese Giulio Cesare Croce (poi autore delle Sottilissime astuzie di Bertoldo e delle Piacevoli e ridicole semplicità di Bertoldino) che si era ammalato, ma era guarito ed in versi ne descriveva i sintomi e il decorso.
A quel tempo il termine “influenza”, utilizzato per indicarne la ricorrenza stagionale dovuta al maligno influsso degli astri sulla nostra salute, non era ancora entrato nell’uso popolare e proprio per questo la pesante influenza del 1580 (meticolosamente studiata da Alfonso Corradi, L’influenza, ovvero febbre catarrale epidemica dell’anno 1580 in Italia con nuovi documenti illustrati. Commentario, Annali Universali della Scienza e dell’Industria, 1866) a Bologna venne chiamata il Mal Mattone perchè colpiva alla testa rendendo l’ammalato come stordito. Le cronache locali riportano le manifestazioni dell’epidemia, «la quale principiò dalli 11 di luglio et è durata sino al 4 di agosto, ne è stata alcuna persona di questa città che non si sia ammalata, ma per Iddio gratia sono morte di questa infermità pochissime persone» (Rinieri Valerio, Diarij delle cose più notabili seguite nella città di Bologna dall’anno 1520 al 1613). Venne poi «chiamata il Mal Mattone per venire alle teste più ch’in altro luogo della persona; ebbe durata circa due mesi, e due o tre giorni si stava con grandissima febbre (puochi quella fuggirono); e finalmente per questa et altri mali in detto tempo morirono 700» (Alamano Bianchetti, Annali di Bologna fino al 1599). La sintomatologia la descrive invece un cronista fantino: «portava seco dolor di testa, raucedine alla gola, dolor di schiena, debolezza grandissima di gambe, e febbre. Durava per lo più quattro o cinque dì, lasciando le persone fiacche e conquassate ed a color a quali non partiva la febbre in quattro o cinque giorni per lo più toglieva la vita» (Gregorio Zuccolo, Cronaca della città di Faenza). E Giulio Cesare Croce la mise in versi così:
Guarda, guarda il mal matton,
Che ‘l s’attacca a tutto andare,
Scampi pur chi può scampare,
Ch’egli è un mal che vien a ognon
Guarda, guarda il mal matton.
O che cosa è stata questa,
Ch’è arrivato qua in un tratto,
E alla prima dà alla testa,
Tal che l’huomo ditto et fatto
Entra in letto mezzo matto,
E non sa per che cagion.
Guarda, guarda il mal matton.
Io non so s’a gli altri viene
Con tal furia come a me,
Che la notte stavo bene
La mattina oimè oimè,
Cor’ la gente: “Che cos’è?”
Non gli so render ragion,
Guarda, guarda il mal matton.
Mi pareva haver la testa
Come un mazzo da stallare [1]
E ‘l cervel con gran tempesta
Mi batteva a tutto andare,
Né potèami in su levare
Sì pesavami il zucchon,
Guarda, guarda il mal matton.
Mi doleva sì la schina
Ch’io pareva bastonato,
E la notte con ruina
Mi teneva tormentato
E nel letto in alcun lato
Non potea trovar galon,
Guarda, guarda il mal matton.
Viene il medico eccellente
A vedermi la mattina
E mirar vol primamente
Il color della mia urina,
E gli dà una guardatina
Com’è sua profession,
Guarda, guarda il mal matton.
Poi, con mente ferma e soda
Ei m’attasta il polso ancora
“Non hai mal che prete n’ goda”
Canzone sopra il mal mattone
Poi mi dice: “Orsù in bon hora,
Fate pur venir hor hora
Un barbier qua che sia bon”,
Guarda, guarda il mal matton.
“Et fareteli di sangue
Sin a sette once cazzare,
Non vedete come ei langue
Ché non può luogo trovare?
Et farete ben fregare
Dalla coppa giù al groppon”,
Guarda, guarda il mal matton.
“Senza sal un pan bollito
Gli darete da disnare,
Ché chi scema l’appetito
Ogni mal suol via cacciare,
E delle anime mischiare
Gli potrete di melon”,
Guarda, guarda il mal matton.
“Non gli date altro da bere
Ch’acqua cotta o pettorale,
Ché, secondo il mio parere,
L’ha una tosse bestiale,
Che tossendo gli fa male
Suso il petto e su i galon”,
Guarda, guarda il mal matton.
E perché le medicine
Sono amare come il fiele
Per siropi in tre mattine
Recipe dell’ossimele,
Ch’egli è dolce come il mele
E discarica il ventron”,
Guarda, guarda il mal matton.
E così, mesceda e dalli,
Cava sangue, frega, mena,
Per far pur che ‘l matton calli
Ma ogn’hor più cresca la vena,
Pur, per darmi manco pena
L’ha trovato il suo galon,
Guarda, guarda il mal matton.
Mi levai una mattina
Ch’esser sano mi credeva
E sul fuoco con ruina
Caddi, ch’io non mi teneva,
E del certo mi coceva
Se non era un pignaton,
Guarda, guarda il mal matton.
Ben ringratio la pignata
La qual m’hebbe conosciuto
Che come io non era matta,
E però mi porse aiuto,
Ond’anch’io son risoluto
Farli un bel coperchio e bon,
Guarda, guarda il mal matton.
Mi credèa d’esser sol’ io
Che tal mal nel capo havesse,
Ma, secondo il parer mio,
D’ogni intorno par che ‘l cresse,
E le genti son sì spesse
Che n’è pien ogni canton,
Guarda, guarda il mal matton.
Gli è tal casa in questa terra
Ch’otto o dieci ve ne sono
Che ‘l matton gli ha messo guerra
E gli ha posti in abbandono,
Ma egli è ancora buono
Che in tre dì fa sua stagion,
Guarda, guarda il mal matton.
O Bologna mal trattata,
Queste son gran discipline,
Ma talhor propter peccata
Veniunt simil ruine,
Ma se questo fia suo fine
Ne havremo un patto bon,
Guarda, guarda il mal matton.
Non si glorii chi non l’ha,
Né si rida della gente,
Ché del certo gli verrà,
Ché d’ognun si tiene a mente,
Et non ha d’andar assente
Huomo o donna in conclusion.
Guarda, guarda il mal matton.
Ogni cosa non vo’ dire
Ma assai paiono hospitali
E si sente maledire
Le ventose et servitiali,
Et de cantari et urinari
S’ode andar intorno il son,
Guarda, guarda il mal matton.
Tanta la gente per le strade
Che la tosse uh uh uh uh
Tal che tutta la cittade
Hora mai può puoco più:
Chi tira a pena il fiato su
A chi pia il chiarabacchion.
Guarda, guarda il mal matton.
Mentre l’uno si risana,
L’altro è preso che ‘l serveva,
Et con febre et con scalmana
Gionge a quel che non credeva,
Et il Senato poi si lieva
Et gli rende il guidardon,
Guarda, guarda il mal matton.
Tal hora va come è dovere
L’uno amico a visitare,
L’altro, che si sta a giacere
Dentro il letto et a tremare,
Nel volerlo poi lasciare
Se ne porta via un schiaton,
Guarda, guarda il mal matton.
Et così di mano in mano
Quel si leva ch’era in letto,
Et quel altro ch’era sano
Si ritrova in tal difetto,
Egli è giusto, vi prometto,
Come il ballo del pianton,
Guarda, guarda il mal matton.
O, va’ pur in la mal hora,
Mal matton, che m’hai disfatto!
Ché per te son quasi fuora
Di cervel, che in un tratto
Io l’ho preso e, come matto,
Me ne vado in balordon,
Guarda, guarda il mal matton.
Io non era matto assai
Se tu adesso non venevi,
Ma tu forsi mi dirai
Che per tal non mi teneva,
Smemorato non sapevi
S’io do spasso sempre a ognon?
Guarda, guarda il mal matton.
S’io farò qualche pazzia,
Nobilissime brigate,
Non sarà la colpa mia,
Ma al matton vo’ che la date,
Ché le forze mi ha levate
Che m’ha fatto un bel garzon,
Guarda, guarda il mal matton.
E così, da balordazzo,
Son saltato giù del letto,
Ch’io havèa ancor gonfio il mustazzo
E doleami in poco il petto,
E per dar spasso e diletto
Ho composta ‘sta canzon,
Guarda, guarda il mal matton.
FINIS
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[1] Mazzo da stallare: grossa fune composta di funi più piccole intrecciate, usato per legare gli animali nella stalla.