Ben girato, vecchia talpa! Tutto il cinema dell’anno ‘68
di Giorgio Gattei
In occasione dell’ultimo Maggio filosofico dedicato al “gioco dell’8” (gli anni decisivi per l’Italia che finivano con quel numero) abbiamo rievocato il 1938 (le leggi razziali: la “vergogna d’Italia”), il 1948 (la Costituzione repubblicana: il “riscatto d’Italia”), il 1978 (il Caso Moro: il “delitto d’Italia”), il 1998 (l’Euro: la “nuova moneta d’Italia”) ed infine il 2018 (l’ultimo voto come il “populismo d’Italia”). Era stato volutamente omesso il 1968 perché non avevamo abbastanza giovedì a disposizione per ricordarlo, ma sul sito del “Maggio” abbiamo dato spazio ad una testimonianza sulla “battaglia di Valle Giulia” (marzo 1968, in anticipo dunque sul Maggio francese), poi abbiamo ristampato la seconda parte (solitamente omessa) dell’invettiva a commento di Valle Giulia di Pier Paolo Pasolini Il PCI ai giovani, ostia!, ed infine, in due puntate, abbiamo fatto raccontare ad Andrea Rapini Il ’68 a Bologna che, se non è passato alla grande storia, non è stato del tutto insignificante (leggere per credere! E ci sono anche i nomi e cognomi).
Tuttavia a ricordare il ’68 ci avevamo pensato decidendo di dedicarvi il Novembre cinematografico con quattro film sul tema, che però sono stati scelti un po’ “a sghimbescio” risalendo dai fatti storici allo “spartito musicale” che può aver accompagnato quell’ultima grande stagione politica del Novecento. Da qui la programmazione, condizionata inevitabilmente dai quattro martedì del mese, di Yellow Submarine, I love radio rock, Hair e The Wall (per maggiori dettagli si rinvia al programma). E così la prima sera cominciamo la programmazione con il film dei Beatles che uscì sugli schermi proprio nell’anno 1968, di grazia o disgrazia a seconda dei gusti. C’è però da dire che il 1968 è stato un anno formidabile per la cinematografia in generale. Infatti, mentre a Parigi, Pechino, Saigon, Praga, Berkeley o Berlino imperversava la Grande Contestazione, che cosa passava on the screen? A prescindere dai registi, dai generi, dalle nazionalità pareva proprio che una sorta di intelligenza cinematografica unica rendesse tutte le pellicole di quell’anno (quale più, quale meno) politicamente traslucide, quasi che dietro la macchina da presa e ad organizzare il montaggio ci fosse uno stesso regista, una specie di “spirito del tempo” travestito da Guardia Rossa. Il che pare ovvio: se il cinema è sempre storia se non altro perché proiezione, più o meno riuscita, del momento concreto che produce il film, allora ogni pellicola non può che raddoppiare sulla sua superficie di celluloide il tempo rappresentato sul set con il tempo significato sullo schermo, che è poi il presente che preme al momento che la si visiona. Sicché che altro poteva fare il cinema nel 1968 se non significare il sessantotto nel cinema?
Dal groviglio dei film ammassati senza alcun altro criterio se non quello banalmente cronologico di essere stati proiettati nel 1968 risulta infatti che quel “figlioccio di Marx e della Coca Cola” (Godard dixit à peu près), che dopo le dimostrazioni di piazza si rinchiudeva nella “sala buia”, non aveva certo da lamentarsi di ciò che passava la “settima arte”, ritrovando sullo schermo l’appagamento del proprio “spirito di rivolta” accompagnato dalla sensibilità visiva dello spettacolo: dalla irruzione dissolvente dell’Altro in Teorema di Pasolini alla trasmutazione genetica dell’umano in 2001: Odissea nello spazio di Kubrick, dalla invocazione al maligno di Rosemary’s baby di Polanski agli “zombi di tutto il mondo” della Notte dei morti viventi di Romero, dalla sogno di frontiera di C’era una volta il West di Sergio Leone al delirio di “critica delle armi” di If… di Anderson. Se poi s’indulgeva al dissenso cattolico c’era Galileo della Cavani e se si avvertiva la primavera (non solo quella di Parigi o di Praga) c’era Grazie zia di Samperi. Ora, a simili condizioni, il ’68 poteva mai farsi mancare il suo proprio cartone animato?
Fino ad allora nel genere avevano spadroneggiato i film di Walt Disney (da Biancaneve a Dumbo a Bambi) che in Italia avevano svolto il grande ruolo, in combinazione con il film western, di “colonizzare” verso il made in USA il gusto dello spettatore cinematografico. Ma Disney aveva anche tentato il “cartone musicale” con Fantasia (1940) che abilmente aveva messo in scena brani musicali di compositori importanti come Bach, Cajkosvkij, Stravinskij, Beethoven, Ponchielli, Musorgskij e Schubert. Ora però nel 1968 si osava l’impensabile: di “cartoneggiare” direttamente quegli “scarafaggi di Liverpool”, i Beatles, le cui canzonette mandavano letteralmente in visibilio la gioventù del tempo. Complimenti dunque al coraggio di una pellicola tempestiva come Yellow Submarine, alla regia di George Dunning e alla grafica coloratissima e psichedelica di Heinz Edelmann. La trama era invece una favoletta che più banale non si può (alla sceneggiatura aveva partecipato, tra gli altri, quell’Eric Segal che poi scriverà il lacrimoso best-seller Love story). Ordunque, nella Terra di Pepper (Pepperlandia) irrompono i Biechi Blu, mostriciattoli deformi e bluastri dagli alti stivali, e un Guanto minaccioso che pietrificano gli abitanti e aboliscono musiche e colori allo scopo di rendere l’ambiente uniformemente grigio, silenzioso e triste. Ma il sergente Pepper, sfuggendo al maleficio su di un Sottomarino Giallo (e che sarà mai? Poi lo si dirà), corre a chiedere aiuto ai “Fab Four” di Liverpool che, a bordo di quel sottomarino, attraverseranno gli strani mari del Tempo, della Scienza, dei Mostri, del Niente, delle Teste e dei Buchi per sbarcare infine a Pepperlandia al grido di battaglia All you need is love! (traduzione musicale dello slogan pacifista “Fate l’amore, non fate la guerra”). Aiutati da un bizzarro individuo arci-dotto e clownesco nella edizione italiana chiamato Geremia, essi convinceranno i Biechi Blu a convertirsi alla magia dei colori e della musica, ridando alla Terra di Pepper tutta la sua splendida vivacità.
Resta adesso soltanto da dire del Sottomarino Giallo. Dicevano, quando il film uscì, che a vederlo un po’ “fumati” si riscattava dalla banalità della trama grazie a tutte quelle immagini psichedeliche, surreali e coloratissime che facevano tanto pop art. Infatti per gustarselo al meglio ci si sarebbe dovuti imbarcare su quel “sottomarino giallo” che non era altro che un trip con l’LSD, l’allucinogeno allora confezionato in una capsula detta “sottomarino”. I Beatles hanno sempre negato che il film si richiamasse a quello stupefacente, però è pur vero che dalle loro biografie sappiamo che avevano preso a consumarlo dal 1965 e che la canzone Lucy in the Sky with Diamonds porta nel titolo il richiamo esplicito all’LSD. E così quando allegramente cantavano We all live in a yellow submarine, “ciascuno di noi ha tutto ciò che serve / cielo di blu e mare di verde” (sky of blue and see of green).