Aristofane (o piuttosto Platone) e la tolleranza gay
di Giorgio Gattei
In una sera del 416 a.C. ad Atene, nella casa del poeta Agatone (che Aristofane in una commedia ha descritto così: «sei grazioso, hai la pelle bianca, ti radi per bene, parli con voce di donna, sei morbido – una gioia per gli occhi»), si discusse dell’amore con Socrate. Brindando, se ne celebrarono le lodi e soprattutto le definizioni. La più scontata fu quella del padrone di casa, di altre non è qui il caso di parlare, la più complessa e intrigante fu opera di Socrate (ma, per sua ammissione, secondo quanto ne diceva Diotima, «una donna di Mantinea che in queste e in molte altre cose era sapiente e che… istruì anche me nelle cose d’amore»: insomma, che ci sia andato a letto?),mentre la più spassosa restò quella di Aristofane, il commediografo che quattro anni dopo scriverà Lisistrata, lo spettacolo teatrale su di un possibile “sciopero sessuale delle donne” allo scopo di far finire la guerra del Peloponneso.
La spiegazione che dà Aristofane della passione amorosa tra i sessi risale indietrissimo nel tempo, al momento della creazione degli essere umani che in origine erano stati formati da Zeus a mo’ di palla, così che «la figura di ciascuno era di forma sferica nel suo intero, con il dorso e i fianchi a forma di cerchio». Per questo essi erano dotati di quattro braccia e quattro gambe, nonché di due facce poste sull’esterno della “palla”, mentre anche i genitali, che erano due, stavano sull’esterno perchè la generazione avveniva copulando direttamente in terra «come le cicale» (sic!). Ma questi esseri erano così forti ed ambiziosi da progettare addirittura l’assalto all’Olimpo per scacciarne gli dei, così che Zeus decise di limitarne la potenza tagliandoli a metà «come le sogliole», «cosicché da un lato saranno più deboli… a camminar diritti su due gambe», e se mai ardissero ancora minacciare «li taglierò in due, così che saranno costretti a camminare su di una gamba sola». Essendo stata tagliata a metà, da ogni “palla” uscirono quindi due individui a cui Zeus rivoltò la faccia dalla parte della cesura, legando la carne eccedente nel mezzo del ventre in quella «specie di bocca che ora si chiama ombelico» affinché gli restasse sempre davanti agli occhi «un ricordo dell’antico castigo».
Quegli esseri dimezzati, che poi siamo noi, si adattarono forzatamente alla nuova condizione di “mezza palla”, ma conservando la nostalgia della palla intera perduta. Per questo ciascuno di loro si aggirava per il mondo ricercando la propria metà e, quando la trovava, la voglia di ricongiungersi per “rifare uno” era tale che «gettandosi attorno le braccia e stringendosi forte l’uno all’altro, desiderando fortemente di fondersi insieme, morivano di fame e d’inattività perchè ciascuno non voleva fare nulla separato dall’altra». Ecco spiegata la ragione della grande attrazione dei sessi che spinge gli esseri umani a cercarsi freneticamente allo scopo di «ricomporre quell’antica natura» che gli era stata scissa (e sexus vuol proprio dire “secato”, cioè tagliato). Ma, desiderando esclusivamente fare “uno di due”, essi non copulavano più in terra, cessando di riprodursi. A rischio di estinzione, Zeus rimediò spostando anche i genitali dalla parte del taglio, così che in quella gran voglia di abbracciarsi i genitali s’incontrassero e la procreazione potesse aver luogo «con l’uso reciproco di questi organi per opera del maschio nella femmina».
Fin qui, ammirata la straordinaria fantasia narrativa di Aristofane, tutto appare paradossale ma plausibile; dove l’eccezionalità del suo racconto si mostra è invece quando ci viene detto che, sempre all’origine, quelle “palle” erano di tre generi diversi: i “maschi”, le “femmine” e un “terzo sesso”, con i “maschi” che traevano la loro origine dal Sole, le “femmine” dalla Terra, mentre il “terzo sesso”, unità di maschio e femmina, veniva «dalla Luna, la quale partecipa della natura del Sole e della Terra». Erano costoro gli «androgini» da cui, dopo il taglio, sono usciti gli uomini che amano le donne («e da questo genere deriva la maggior parte degli adulteri») nonché «le donne amanti degli uomini e le adultere». Dalle “femmine per intero” sono nate invece le donne «che hanno propensione per le donne, ed è da questo genere che derivano le lesbiche», mentre dai “maschi per intero” sono sorti gli uomini che «godono di giacere e stare abbracciati con gli uomini… Alcuni in verità sostengono che sono degli impudenti, ma hanno torto: essi fanno questo non per impudenza, ma per arditezza, fortezza e virilità, essendo inclini a ciò che è simile a loro». Essendo nati dalla divisione della “palla” maschio+maschio, potrebbero mai tradire la propria natura originaria? Così, quando incontrano l’altro maschio, «in modo mirabile sono presi da amicizia, da familiarità e da amore, e non vogliono, per così dire, separarsi l’uno dall’altro neppure per breve tempo».
Ecco come è organizzato il sistema dei nostri generi sessuali in quanto “palle” tagliate a metà: i due mezzi usciti dall’”androgino”, quando s’incontrano, copuleranno e felicemente daranno luogo a discendenza saziandosi di questa: sono le coppie eterosessuali che diventano genitori di prole; i due mezzi del “maschio” e della “femmina” si sazieranno invece di un piacere non finalizzato alla procreazione, bensì al puro godimento di uno stare insieme «senza nozze», potendosi così «occupare delle altre faccende della vita»: «sono proprio costoro che trascorrono insieme tutta la vita, loro che non saprebbero nemmeno dire ciò che vogliono ottenere l’uno dall’altro. Nessuno, infatti, potrebbe credere che sia il piacere sessuale, quasi che solo per questo godano l’un con l’altro di stare insieme con tanto affetto; ma è evidente che l’anima di ciascuno di essi desidera altro che è incapace di esprimere… e lo dice solo per enigmi».
Questo “altro” è il segreto dell’amore: niente affatto la riproduzione in un altra “metà palla” (che è un accidente necessario alla sopravvivenza della specie valido soltanto per gli eterosessuali), bensì il desiderio di fare “uno di due” quando ritrovata la propria metà, che è pulsione universale perché «così era la nostra natura quando eravamo interi. Perciò al desiderio e all’ispirazione dell’intero noi diamo il nome di Eros… e dico che la nostra specie può essere felice se ciascuno di noi conduce l’Eros al suo fine e ritrova il suo amato, ritornando così all’antica natura». E’ questo un Eros che governa indifferentemente i destini sia degli “etero” che dei gay (maschi o femmine non importa) e che proprio in quel loro destino “sterile” in natura ma non in filosofia trova la sua migliore rivelazione.
Tutto questo è stato raccontato da Platone, attribuendolo ad Aristofane, nel dialogo Il simposio che gli studiosi dicono scritto fra il 387 e il 377 avanti Cristo. Ma poi è arrivato il Cristo…