Terza serata del Maggio filosofico 2019
L’Europa nella moneta: l’euro tra apologia e crisi
Il terzo appuntamento del Maggio filosofico 2019 è per Giovedì 23 maggio alle ore 21:00, presso la Biblioteca comunale Don Milani di Rastignano e ha per oggetto L’Europa nella moneta: l’euro tra apologia e crisi.
In mancanza ancora degli Stati Uniti d’Europa ci siamo dati almeno una moneta, non unica ma “in comune”. Pero’ l’euro, più che far convergere le singole economie, le ha divaricate sempre più, da cui la Brexit. In attesa di Eurexit?
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La maledizione dell’euro*
intervista a Marco Veronese Passarella
WW: quando l’ho contattata, lei si è definito “un barbaro”, ci spiega perché? Intendeva nel campo della letteratura?
MVP: Lo sono nell’accezione propria di straniero, appartenente a una civiltà remota – dato che sono comunista, ateo e, nei fatti anche se non per scelta, apolide. E, inoltre, lo sono anche nel senso lato di persona che legge ormai pochissimi libri, quasi nessuno. Persino nel mio lavoro la maggior parte del tempo di ricerca è assorbito dalla scrittura di codici e dalla lettura ‘diagonale’ di manuali e pubblicazioni tecnico-scientifiche. E, naturalmente, niente più carta. Solo bit. La barbarie, appunto.
WW: Com’è arrivato a essere lecturer in economics presso l’Economics Division della Business School, University of Leeds, e che giudizio da’ di questa sua esperienza lavorativa?
MVP: Un po’ per disperazione, molto per caso. Mi scadevano i contratti d’insegnamento e di ricerca che avevo con alcune università italiane e mi fu consigliato di provare a fare domanda presso l’Università di Leeds, dove cercavano un ricercatore che conoscesse la teoria dell’instabilità finanziaria di Hyman Minsky. Avevo le carte in regola e mi presero. Ironia della sorte, da allora non mi sono più occupato di Minsky… In termini di risorse e di prestigio, venire qui è stato come passare da una squadra di calcio provinciale al Real Madrid. Quanto a strutture, servizi e legami internazionali, non c’è paragone con le università italiane in cui ho lavorato. Purtroppo, però, la smania della valutazione e la rincorsa al mercato e al profitto finiscono per rendere l’insegnamento un’attività ridondante e frustrante. Per non parlare degli effetti distorsivi sulla ricerca.
WW: Brexit: da italiano, europeo, residente in Inghilterra, lei come sta vivendo questo passaggio? Si tratta di una buona scelta mal gestita o di un pasticcio?
MVP: Si tratta di una reazione a catena generata da un evento imprevisto, anche se non del tutto imprevedibile: il voto di protesta dei lavoratori britannici, impoveriti da anni di politiche di austerità e di polarizzazione dei redditi e delle ricchezze. In teoria, quel voto avrebbe potuto rappresentare un’opportunità per il Regno Unito, quella di riequilibrare il baricentro della propria economia, sia in termini geografici (verso le potenze economiche emergenti) che in termini strutturali (verso un rilancio progressivo del settore manifatturiero, o almeno di alcune produzioni chiave). In pratica, si è trasformata in un enorme pasticcio, per via delle lacerazioni e della lotta di potere in seno al Partito Conservatore (ed anche ai laburisti). Come la vivo a livello personale? Con un po’ di apprensione per via delle noie amministrative che si preannunciano. Ma non ne faccio un dramma. Ho cambiato lavoro, casa, città, e persino paese, tante volte nella mia vita. Lo farò ancora se sarò costretto. Rimarrà il senso di gratitudine per un paese che, pur tra mille contraddizioni, ha garantito a me e alla mia famiglia delle condizioni di lavoro e di vita più che dignitose.
WW: Franco CFA (Cemac) e Franco CFA (Uemoa), che vantaggi hanno portato agli stati africani nei quali questa moneta è in vigore? La Francia ha avuto e ha dei vantaggi?
MVP: Per un paese periferico, affidare la determinazione della propria politica monetaria e valutaria a un paese del centro significa godere di maggiore stabilità dei prezzi e assicurarsi così un flusso elevato e (relativamente) stabile di capitali dal centro. Sfortunatamente, questo significa anche immettere nell’economia spinte deflazionistiche molto potenti che inibiscono la crescita delle produzioni locali. Soprattutto, significa dover garantire un contro-flusso crescente di profitti, dividendi e interessi agli investitori esteri. Pur in assenza di rapporti coloniali in senso formale, tale meccanismo fa sì che un ammontare crescente di risorse venga trasferito dalla periferia al centro e, inoltre, che il rapporto di dipendenza economica e finanziaria della periferia con il centro venga assicurato anche in assenza di dispositivi espliciti di coercizione politica e militare. La definirei, insomma, una condizione di servitù edulcorata – e persino dorata per quei ceti locali, parassitari e corrotti, che la gestiscono per conto del centro. Ma, appunto, di servitù si tratta. Il rapporto tra la Francia e le sue ex colonie africane va letto in tale ottica.
WW: il tanto criticato Euro che da solo non è bastato per creare un’Europa unita, potrebbe essere preso come esempio, migliorato, per creare una moneta unica africana? Un’eventuale moneta unica africana agevolerebbe lo sviluppo del continente? In che modo?
MVP: Nelle intenzioni della classe dirigente francese, l’Euro avrebbe dovuto essere lo strumento con cui le sorti politico-militari del proprio paese e quelle della potente manifattura tedesca venivano saldate in un patto di sangue. Oggi possiamo affermare che quell’obiettivo sia stato sostanzialmente raggiunto. Sennonché, come pressoché tutti i maggiori macroeconomisti avevano fatto notare sin dai tempi del rilancio di quel progetto (che, vale la pena di ricordarlo, è naufragato e risorto più volte), l’Euro si è trasformato rapidamente anche nel principale strumento d’imposizione del modello mercantilista, e perciò deflazionista, tedesco al resto dei paesi aderenti all’unione monetaria. È un modello che porta alla polarizzazione delle produzioni e dei redditi, dunque della forza-lavoro, favorendo l’accumulazione di tecnologie e competenze nelle aree del centro, a cui corrisponde una progressiva desertificazione delle aree periferiche dell’Unione Europea. Queste possono beneficiare temporaneamente di flussi di capitali che si riversano nella periferia in cerca di rendimenti elevati nel corso dei periodi di boom. Ma, non appena la fiducia svanisce e lascia il posto all’incertezza, quei capitali rientrano rapidamente alla base, determinando il collasso di periferie sempre più indebitate e dipendenti dal centro. I rigurgiti particolaristi a cui stiamo assistendo da alcuni anni in quasi tutti i paesi membri sono alimentati proprio da tali processi, di cui i risorgenti nazionalismi rappresentano la contro-tendenza. In assenza di un cambiamento radicale nell’assetto istituzionale dell’Unione Europea (che, però, al momento appare assai improbabile), la tensione sociale e politica è destinata a salire ulteriormente. Quanto ad un’eventuale valuta panafricana, mi pare un progetto prematuro, velleitario e ad altissimo tasso di rischio. No, davvero, non è questo quello di cui i paesi africani hanno bisogno.
WW: paesi come la Germania che cercano la via della crescita anche verso l’aggressione di mercati esteri, e come la Francia che hanno dei problemi sulla bilancia commerciale e sul piano dei fondamentali dell’economia, potranno mai permettersi la crescita di paesi periferici (economicamente e/o politicamente, come l’Italia) senza aumentare ulteriormente gli squilibri esteri?
MVP: Il punto è molto semplice. Il modello economico tedesco è un modello di successo. Non c’è ragione per cui la classe politica tedesca, che risponde e risponderà ancora per molti decenni a venire ai propri elettori, non a quelli italiani o spagnoli, dovrebbe rinunciare ai propri vantaggi competitivi. La Francia ha qualche grattacapo macroeconomico, è vero, ma mantiene un certo peso finanziario e soprattutto militare e politico. Di certo gode di una superiorità indiscussa all’interno dell’Unione. Dunque, nemmeno la classe dirigente francese ha interesse a cambiare l’attuale assetto istituzionale europeo. Entrambi, inoltre, hanno spostato progressivamente il baricentro strategico della propria azione fuori dai confini europei o almeno oltre il blocco dei paesi fondatori. Mi spiace, ma per l’Italia andrà sempre peggio.
WW: la crisi finanziaria dal crollo di Lheman Brothers importata dagli Usa, trovando un humus di condizioni economiche particolari e delle scelte errate (o delle non scelte) da parte della BCE ha attecchito nell’eurozona: un’unione federale avrebbe potuto reagire diversamente? La gestione di Draghi quanto è stata necessaria e benefica e come immagina il dopo Draghi per la BCE?
MVP: Draghi ha fatto quello che ha potuto. È vero che inizialmente la BCE è sembrata sottovalutare l’impatto dell’uragano finanziario che si stava abbattendo sull’Area Euro, ma poi si è spinta ben oltre i limiti originari del proprio mandato. Va, peraltro, chiarito che, se è vero che l’innesco della crisi si è verificato oltre Atlantico, le condizioni affinché deflagrasse erano già tutte poste. La ragione è che non vi sono strumenti per gestire shock asimmetrici (o effetti asimmetrici di shock simmetrici) all’interno dell’Unione. L’unione fiscale non si farà mai, perché implicherebbe un trasferimento di risorse dal centro alle periferie, o almeno questa sarebbe la narrazione che finirebbe per prevalere al nord. Glielo spiegate voi agli elettori valloni che devono pagare il “basic income” ai calabresi? Ma poi, trent’anni di Prima Repubblica in Italia hanno generato la Lega Nord. Vi lascio immaginare quale mostro potrebbero partorire anche solo pochi anni di integrazione fiscale nelle attuali condizioni… Tornando alla BCE, e che volete che facciano? Se vogliono salvare l’unione monetaria, dovranno mettere da parte ogni velleità rigorista e far tesoro del pragmatismo mostrato da Draghi. E non è detto che basti.
WW: Torniamo all’Europa: lei crede che un’unione bancaria, fiscale, giudiziaria, giuridica, politica raggiunta contestualmente all’unità monetaria avrebbe potuto creare un’Europa migliore? È troppo tardi per costruire “Gli Stati uniti d’Europa”? E quali dovrebbero essere i confini ottimali di questi ipotetici Stati uniti d’Europa?
MVP: Ma l’unione monetaria in assenza delle altre condizioni non è stato un incidente di percorso! Al contrario. Era l’unica unione possibile, perché l’unica su cui potesse esserci una convergenza d’interessi dei suoi futuri membri. Le altre “unioni” semplicemente non sono mai esistite come possibilità. Ma davvero c’è qualcuno, fuori dalla stanza di un manicomio, che possa pensare che un’unione militare con i francesi, un’unione fiscale con i tedeschi e un’unione giuridica con, che so, gli irlandesi, sia mai stata all’ordine del giorno? Ce li vedete i generali francesi a condividere le chiavi del proprio arsenale militare con i loro omologhi italiani? O i lavoratori tedeschi a pagare gli sgravi fiscali alle imprese italiane? Su, siamo seri. E se mai un giorno si dovesse arrivare a una maggiore integrazione – idea che, almeno per ora, sarebbe saggio accantonare, proprio se si hanno a cuore le sorti del continente – non sarà su base paritetica. Somiglierà, piuttosto, al processo di annessione della Germania Est da parte della Germania Ovest, con lo stesso carico di distruzione sociale. Non dimenticate che persino gli Stati Uniti d’America sono passati attraverso una sanguinosa guerra di secessione.
WW: Uno sguardo alla politica di casa nostra: gli interventi sulle pensioni, il reddito di cittadinanza, la flat tax che effetti potranno avere sull’economia reale? Per dare una sferzata alla nostra economia sarebbero più utili delle detassazioni o degli investimenti in grandi, medie, piccole opere?
MVP: Investimenti in infrastrutture, reti di trasporto, edilizia popolare, riconversione ecologica, innovazione tecnologica, e messa in sicurezza del territorio. Revisione del sistema fiscale con tassazione fortemente progressiva dei redditi e delle ricchezze, inclusa una tassa di successione sui grandi patrimoni. Infine, piano per il pieno impiego. Questo serve. In assenza di questo, il resto sono solo palliativi (il cosiddetto reddito di cittadinanza) o provvedimenti regressivi e recessivi (flat tax).
WW: l’economia è la madre di tutto, il motore della vita? Marco Veronese Passarella se non fosse diventato un economista? Marco Veronese Passarella da grande?
MVP: Come dico sempre, da bambino avevo tre miti: Che Guevara, Maradona e Jim Morrison. Non so, ho come l’impressione che qualcosa sia andato storto.
*Tratto da “Metaintervistina 30”, 23 febbraio 2019.