L’inverno più nero. Recensione al libro di Carlo Lucarelli
di Alduccio di unoenessuno.blogspot.com
In previsione del secondo incontro del Maggio filosofico 2022, dedicato alla conferenza di Daniella Galliani dal titolo Ultime raffiche. Dalla Repubblica di Salò a Piazzale Loreto, pubblichiamo una recensione al libro di Carlo Lucarelli, L’inverno più nero, uscita su unoenessuno.blogspot.com.
L’inverno più nero
di Alduccio di unoenessuno.blogspot.com
Il tedesco spalancò la portiera e infilò la testa nella macchina, attento a non sbattere l’elmetto contro il montante. Si era tolto un guanto che teneva in bocca, tra i denti, come un cane, perché l’altra mano la stringeva sull’impugnatura del mitra, l’indice gonfio di lana ruvida che riempiva il ponticello, sul grilletto.
Probabilmente uno dei romanzi migliori di Lucarelli e sicuramente uno dei più complessi, articolati, intricati, tra quelli con protagonista il commissario De Luca (De Luca e basta, un nome, solo commissario o comandante). Lo avevamo lasciato che non era più un poliziotto (alla fine di Peccato originale), dopo il rovesciamento di Mussolini per l’8 settembre 1943 e l’instaurazione della Repubblica di Salò, il governo fantoccio controllato dai tedeschi. Arruolato nella squadra fascista di Rassetto, ex poliziotto pure lui, per salvare la vita in quel periodo nero della storia italiana in cui tutto sembrava sfasciarsi nelle istituzioni: il peccato originale di De Luca che poi penderà su di lui come una spada di Damocle.
Questo nuovo romanzo è ambientato un anno dopo, nel dicembre nero del 1944, sempre a Bologna: gli alleati fermi per il fango e il freddo poco dopo la linea Gotica e i tedeschi al di qua, al nord, a saccheggiare le industrie, i beni sequestrati agli ebrei e agli italiani che finivano nelle loro grinfie. E poi i fascisti, con le loro mille polizie politiche che operavano in autonomia, per terrorizzare la popolazione, dare la caccia ai partigiani, ai rappresentanti delle forze politiche antifasciste. In mezzo gli italiani, stanchi e spauriti da quattro anni di guerra, la guerra di Mussolini a fianco dell’alleato germanico che aveva portato fame, morti, i dispersi in Russia e in Africa. E ora, in quell’inverno più nero, più duro, più infame della storia del nostro paese, alle prese col razionamento, la borsa nera, i rastrellamenti, i posti di blocco coi tedeschi col mitra in mano a ringhiare parole feroci contro quegli italiani, visti solo come popolo da predare e spremere fino alla fine…
L’inverno più nero è il più articolato dei romanzi con De Luca che dovrà affrontare ben tre diverse indagini, non da poliziotto ma come vicecomandante della squadra autonoma di polizia politica: tre indagini diverse che gli sono commissionate da tre persone diverse, che riguardano tre morti scoperti l’uno a poca distanza dall’altro.
Il primo morto è un avvocato bolognese, ritrovato sotto il portico di via “Senzanome” (le strade di Bologna e i loro soprannomi meriterebbero un post a parte): ucciso dalle botte, tante botte, di una delle tante polizie fasciste o magari dai tedeschi e lasciato lì, come un sacco d’immondizia.
Lui lo sapeva che era così. Era stato qualcun della Guardia Nazionale Repubblicana, o di una Brigata Nera, o qualche altro Ufficio Politico, lo avevano portato in una caserma, lo avevano massacrato e poi lo avevano mollato lì. Così Rassetto, che comandava la Squadra Autonoma di cui De Luca faceva parte, aveva mandato lui, che se ne intendeva, a intorbidire le acque nel modo giusto..
De Luca arriva sul posto per lasciare un bigliettino di rivendicazione dei partigiani, giusto per intorbidire le acque.
Il secondo morto è poco distante: a questo, De Luca e i poliziotti sul posto, arrivano dopo che un testimone ha parlato di diversi colpi di pistola e anche grazie ad una sua intuizione, che lo riporta ad essere quello che vorrebbe, “solo un poliziotto”
Sapere che c’era stato un altro delitto oltre a quello che già conosceva, averlo scoperto lui, con una intuizione facile, sì, ma sua, e prima degli altri, gli aveva fatto tornare dentro quella sensazione di smania sottile che da tempo non provava più. Da quando il più brillante investigatore della polizia italiana, come lo chiamavano, così bravo a risolvere gli omicidi, si era ridotto a coprire gli errori di altri assassini.
Viene scoperto così un altro corpo: è quello di un uomo nudo, dentro uno scantinato sfondato dalle bombe e col viso mangiucchiato dai topi
Nudo, supino, fradicio, le gambe aperte come in croce, lasciato così dalle guardie che lo avevano tirato fuori dall’acqua in cui stava galleggiando, uno era quello che aveva vomitato sulla strada.Non aveva più il naso, le orecchie e le labbra, e dal buco livido della bocca si vedeva che c’erano più neanche la lingua..
Nemmeno questo morto, che poi si scoprirà essere un tedesco, nientemeno che una SS, è il morto dei colpi di pistola. C’è un morto da cercare e De Luca è impaziente, perché questo mistero è proprio così, una di quelle cose che non ti fa dormire sopra se sei un poliziotto come De Luca
– Ho dato la caccia a teste senza corpo e corpi senza testa, ma di perdermi un corpo intero non mi era mai successo, -disse De Luca, e Rassetto sorrise, stirando le labbra sottili sui suoi denti da lupo.
-Quando eri un poliziotto, -disse.
-Quando ero un poliziotto.
Il terzo morto, su denuncia di una guardia, viene trovato all’interno della “zona franca”, la Sperrzone, teoricamente al riparo dalle bombe alleate, in zona Cà Selvatica: un uomo, ucciso da un colpo di pistola alla testa, dentro una cascina
Stava disteso a testa in giù, le gambe in alto, una piegata innaturalmente sotto quell’altra, e la parte superiore del corpo grata su un fianco, con la testa getta all’indietro…
Tre omicidi distinti, avvenuti nell’arco di poche ore in cui, all’improvviso De Luca si trova coinvolto, suo malgrado. Del primo caso, il morto sotto il vicolo, gli viene chiesto di occuparsi dal segretario della Prefettura: perché va bene che siamo in guerra e si può morire, ma quella persona era solo un ingegnere, una persona che non era fascista e nemmeno un antifascista. Con qualche allusione e qualche minaccia velata, il segretario del Prefetto lo invita ad investigare, per non finire lui stesso invischiato come capro espiatorio…
Il secondo caso sarebbe formalmente delle SS, essendo il morto, il caporale Weber, uno di loro. Ma De Luca viene invitato, da un tenente della Wehrmacht e dal capo del servizio di sicurezza delle SS di Bologna ad investigare, perché hanno sentito dire che lui è un bravo poliziotto. E quel morto era un “caporale” anomalo, voleva disertare e prima di sparire (ed essere ucciso) aveva rubato il diritto di bottino dei nazisti, eufemistica espressione per chiamare le ruberie dei tedeschi ai civili e agli ebrei. Bisogna trovare l’assassino, altrimenti dieci italiani verranno a loro volta uccisi per rappresaglia: motivo in più per risolvere questo delitto anomalo.
Infine il terzo morto, un professore donnaiolo, Franco Maria Brullo: qui addirittura il colpevole ci sarebbe pure, un altro professore, Attanasio, che avrebbe ucciso per gelosia, perché la moglie era l’amante del morto. Ma anche qui, c’è un ma. Un collega della Questura, che De Luca incontra forse troppo spesso nei suoi giri per Bologna, gli chiede di aprire una sua indagine sulla morte di Brullo.
Attanasio, che è molto amico del collega, non può essere l’assassino e deve tornare libero. Perché De Luca? “Perché siete il più bravo e vi piace dimostrarlo”. De Luca capisce che Petrarca, il commissario che lo ha agganciato, gli sta nascondendo qualcosa, ma di fronte a qualche piccolo indizio sulla versione ufficiale, inizia ad indagare sulla vita del professore.
Seguendo queste tre indagini, De Luca si infila dentro storie più grandi di lui: lo scontro, all’interno delle istituzioni fasciste, tra i moderati e i falchi, gli estremisti della violenza. La guerra contro le formazioni partigiane a cui davano la caccia fascisti e nazisti, con uguale ferocia: un mondo in cui De Luca scopre che in molti, all’interno delle istituzioni, della stessa polizia, hanno deciso di non voltare la testa dall’altra parte di fronte alle violenze fasciste. Per De Luca è arrivato il momento di decidere “che poliziotto volete essere”, come gli viene detto: perché se fino a quel momento ha fatto finta di non vedere e non sentire, le botte, i colpi, le torture contro le persone fermate dai compagni della sua squadra, ora deve fare una scelta.
– Il Dentista, – disse De Luca.
– Chi? – chiese Petrarca.
– Ogni squadra ha i suoi metodi, oltre alle botte. L’Ufficio politico della Gnr usa le maschere antigas col filtro chiuso, quelli di via Borgolocchi il martello chiodato, Massaron il nerbo di bue. Il Dentista lo chiamano così perché usa un trapano, ma non credo che lo sia per davvero. [..] Il Dentista lavorava per la ’22, una squadra autonoma della Brigata Nera.[..]
– De Luca, io un po’ credo di aver imparato a conoscervi. Come ci siete finito?
– Ho guardato dalla parte sbagliata, anzi … non ho guardato proprio, da nessuna parte, e quando me ne sono accorto era troppo tardi.
– E alla fine vi siete abituato.
– No, però ..
Stava tutto in quel però, lo sapeva, ma non voleva pensarci. Un giorno, forse, magari, ma non ora, aveva le sue indagini da chiudere, con una c’era riuscito…
Sono indagini complicate e, ad un certo punto, De Luca sarà pure costretto a ricominciare da capo. Ripartire da capo con l’indagine dell’ingegnere Tagliaferri, del perché di quel depistaggio che gli è stato chiesto di fare. Ripartire da capo sulla morte del caporale delle SS, che stava disertando? Chi era la donna la cui foto si portava appresso? Ripartire da capo per il delitto Brullo, la famiglia del presunto colpevole, perché sta così a cuore al collega Petrarca, chi è quella donna zoppa che è stata vista da un testimone scappare… L’inverno più nero è anche l’inverno più freddo e cupo per gli italiani: vittime due volte dalla guerra, dalla violenza ottusa dei nazifascisti e alle prese con la fame, la borsa nera, le piccole vigliaccherie degli sciacalli che di questa guerra ne approfittavano.
Alle 17:10 al primo calare del sole, il coprifuoco avrebbe trasformato il suk dentro le mura di Bologna in una città fantasma, accecata dall’oscuramento e muta, a parte gli scarponi delle pattuglie o quelli dei Partigiani.
Ma fino a quel momento quella casbah fradicia e sporca, che scoppiava di voci rombando sorda come un treno in una galleria, brulicava di gente che cercava qualcosa, la neve, il burro, una sigaretta, un attimo in più per superare quella che per tutti, dall’inizio della guerra, forse dalle sempre, era l’inverno più ruvido e freddo. L’inverno più nero.
Ma sarà anche l’inverno più nero e freddo per De Luca, che non si fermerà di fronte a nulla, pur di chiudere i suoi casi, tenuto in piedi da quella febbre, da quella ansia nel cercare di mettere a posto tutte le tessere. Perché quel freddo, quella paura, quell’inverno nero e ruvido “se lo sarebbe portato dentro per sempre”: quell’aria satura di urina e muffa, quella paura e quella vergogna che si portava nello stomaco, quel suono del gorgogliare del sangue dalla gola dei condannati. Il finale mi ha fatto tornare in mente un nel libro di Carlo Castellaneta, Notti e nebbie, che pure viene citato ad inizio romanzo da Lucarelli
Perché i vincitori, i nuovi padroni presto avranno bisogno di me. Finché l’uomo sarà fatto della stessa merda. Conto su di voi.
Il riferimento è hai fascisti, a quella manovalanza fascista, sopravvissuta alle epurazioni e riciclata nella nuova Italia. Ma questa, come direbbe Lucarelli, è un’altra storia.
Grazie Carlo per averci raccontato questo inverno, l’inverno più nero.