Reazioni sociali alla pandemia alla luce di Karl Polanyi (e oltre)
di Lorenzo Battisti
La pandemia è stata senza dubbio un fenomeno che ha oltrepassato il livello sanitario e ha avuto ripercussioni su tutti gli aspetti della vita sociale e individuale. Questa non si è sviluppata nel vuoto, ma in un sistema sociale pre-esistente che ha determinato le diverse reazioni a questo fenomeno a partire dagli orientamenti sociali che erano presenti nella società. In sostanza si sono date a un fenomeno nuovo risposte apprese in precedenza per fenomeni già conosciuti. La pandemia ha rappresentato un elemento imprevedibile che si è sovrapposto alla dinamica sociale precedente. E’ un po’ come se due squadre di calcio di qualche paese mediterraneo si trovassero improvvisamente, nel corso della partita, a giocare sotto una improvvisa e forte nevicata tipica di un paese nordico. I giocatori e gli allenatori continuerebbero a giocare con gli schemi conosciuti, oltre che con le divise estive, a fronte di una situazione nuova e sconosciuta.
Uno schema, per determinare le dinamiche sociali che erano pre-esistenti alla pandemia e che hanno continuato a funzionare una volta che questa è apparsa, è quello presentato da Karl Polanyi ne La Grande Trasformazione. In esso Polanyi parla dell’origine delle tensioni sociali che portarono alle guerre mondiali e delle loro radici economiche che hanno continuato ad agire anche dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il libro ovviamente non parla della pandemia (è stato scritto nel 1944) ma presenta le differenti risposte sociali che abbiamo appreso prima della pandemia e che abbiamo continuato ad applicare durante la crisi sanitaria.
Marzo-Dicembre 2020: il “doppio movimento” polanyiano e la prima fase della pandemia
Ne La grande Trasformazione Polanyi cerca di individuare le cause che hanno portato alla tragedia delle due Guerre Mondiali. Per Polanyi alla base di questa tragedia si trova l’estensione progressiva del libero mercato che, portando alla mercificazione generale, entra in contrasto con le strutture sociali e con le basi della vita umana. La diffusione del mercato libera l’economia dal controllo sociale, invertendo il rapporto tra le due e sottomettendo la società alle necessità del mercato.
Questo passaggio determina la “liberazione” degli individui dalle strutture sociali pre-esistenti per renderli merci come le altre, soggette alle tendenze di mercato per quanto riguarda il loro utilizzo e il loro prezzo di vendita. Ma il lavoro, legato indissolubilmente alla persona che lo svolge, non è e non può essere una merce come le altre: gli alea del prezzo di mercato o sul suo utilizzo possono rappresentare una minaccia vitale per la persona, al contrario di quello che avviene con una merce inanimata. In una società di mercato, in cui il mercato arriva alla piena estensione, il lavoratore si trova privo di qualsiasi protezione e solo ad affrontare questa minaccia, poiché privato della protezione delle strutture sociali precedenti e con quelle ancora presenti (per esempio lo stato) che seguono le necessità dell’economia incoraggiando le tendenze di questo processo invece di contrastarle.
Questo sconvolgimento e questa minaccia provocano una reazione della società. Questa reazione è alla base di quello che Polanyi definisce il “doppio movimento”:
“Simultaneamente nasceva un contromovimento che era qualcosa più del solito comportamento difensivo di una società che si trovi di fronte ad un mutamento; era una reazione contro uno sconvolgimento che attaccava il tessuto della società e che avrebbe distrutto l’organizzazione stessa della produzione che il mercato aveva creato”.
La società viene quindi attraversata da due movimenti contrastanti: da una parte il movimento che tende all’estensione del mercato; dall’altra il movimento che tende alla protezione dalla sua estensione e lavora per la riduzione di questo. Questi due movimenti sono guidati da due principi: il principio della libertà e quello della protezione sociale. Il mercato e i suoi sostenitori supportano il principio della libertà, necessario allo svolgimento dell’attività economica; la società risponde seguendo il principio della protezione sociale contro gli effetti distruttivi del mercato.
Questi due principi, che abbiamo appreso prima della pandemia, hanno continuato a funzionare durante l’emergenza sanitaria e a orientare i nostri comportamenti, tanto a livello nazionale che internazionale. Allo scoppio della pandemia la società si è divisa attorno a questi due principi: da una parte quelli che sostenevano la continuità dell’attività economica malgrado il nuovo contesto sanitario e la sua pericolosità; dall’altra quelli che ne sostenevano la limitazione di questa fino al suo blocco al fine di proteggere la salute e la vita.
A livello internazionale la reazione dei paesi può essere osservata secondo il prevalere di uno di questi due principi. Alcuni paesi, come gli Usa di Trump, il Brasile di Bolsonaro o il Regno Unito di Johnson (questo almeno in una prima fase) hanno rifiutato di fermare l’attività economica al prezzo di un elevato numero di morti. In questi paesi è prevalso il principio di libertà, che ha privilegiato le necessità economiche del mercato alla salute pubblica, considerata secondaria. In altri paesi, come quelli asiatici o la maggior parte di quelli europei, si è proceduto a una drastica e prolungata interruzione dell’attività economica al fine di proteggere la salute pubblica. In questi paesi ha prevalso, con gradazioni differenti il principio di protezione sociale a scapito di quello della libertà.
Questa divisione si è riproposta all’interno dei singoli paesi, dividendo la società tra chi chiedeva l’arresto dell’attività per proteggere la salute e chi sosteneva la continuità economica. In questo secondo campo vi era tutto il mondo economico, tanto le grandi imprese che quelle piccole. Per queste un’interruzione dell’attività poteva significare la chiusura definitiva, non essendoci, prima della pandemia, alcuna forma di protezione economica. Lo stesso può dirsi per i lavoratori indipendenti (partite Iva) e i professionisti, contrari alla chiusura poiché sarebbero stati privati di un reddito senza alcun ammortizzatore sociale a proteggerli. Ma vi erano anche tanti lavoratori dipendenti il cui contratto di lavoro (a tempo determinato o interinale) presentava uno scarso grado di protezione rispetto a una chiusura prolungata e ad effetti economici imprevedibili. Questi hanno difeso, nella pandemia, il principio di libertà, arrivando ad aggirare la legge una volta che le misure restrittive erano state decise.
Poiché è difficile giustificare, in primis a sé stessi, di privilegiare l’economia alla vita, i sostenitori del principio di libertà hanno accettato di credere alle teorie complottiste sul coronavirus e ne sono diventati diffusori attivi. Questo vale sia per le correnti politiche internazionali (pensiamo alla destra populista, ai suoi teorici, come Bannon, e ai suoi strumenti, come Qanon), quando per i singoli individui. Le teorie del complotto servono a giustificare l’inutilità della protezione sociale richiesta dall’altra parte: se il virus non esiste, o se la sua pericolosità è stata esagerata dalle élites, se la pandemia è equivalente all’influenza stagionale, non c’è bisogno di interrompere l’attività economica.
Gennaio 2021: Il triplo movimento e la seconda fase della pandemia
Lo schema proposto da Polanyi per interpretare le dinamiche sociali resta interessante anche se, secondo la studiosa Nancy Fraser, sembra perdere parte della sua efficacia interpretativa. Fraser riconosce che nella società odierna permangono i due principi di libertà e di protezione sociale che determinano le spinte contrastanti in favore dell’estensione del mercato o della protezione sociale. Ma nella società odierna è apparso un nuovo principio che modifica le dinamiche sociali.
A partire dagli anni ‘60 le società occidentali sono state attraversate da movimenti che non possono essere ricondotti esclusivamente a uno dei due principi precedenti. L’opinione di Fraser è che questi movimenti rispondano al principio del riconoscimento: il loro obiettivo non è né quello di estendere il mercato, né quello di fare avanzare la protezione sociale, ma l’emancipazione:
“In generale, quindi, i movimenti sociali del dopoguerra non rientrano in nessuno dei due poli del doppio movimento. Non sostenendo né la mercatizzazione né la protezione sociale, hanno sposato un terzo progetto politico, che chiamerò emancipazione”.
Questo terzo polo non è riconducibile ai primi due, poiché:
“Rivendicando l’accesso, invece della protezione, il loro obiettivo principale non era quello di difendere la “società”, ma di superare il dominio. Tuttavia, i movimenti emancipatori non erano sostenitori del liberalismo economico. Avendo rotto le file con la “società”, non sono per questo sono diventati partigiani dell’ economia”.
La nuova situazione è quindi caratterizzata da tre poli e da tre tendenze in competizione nella società. Per prevalere la ciascun polo ha quindi bisogno di un’alleanza con uno degli altri due. Questo determina le dinamiche del triplo movimento proposto da Fraser.
Nel suo articolo Fraser spiega come i sostenitori dell’estensione del mercato siano riusciti a prevalere nuovamente a partire dagli anni ‘70 grazie a un’alleanza sociale con il terzo polo. Per questi ultimi infatti la società basata sulla protezione sociale, per come era stata costruita dopo la seconda guerra mondiale, appariva oppressiva, mentre una società di mercato prometteva maggiori possibilità di emancipazione e di riconoscimento. Questa alleanza non è però necessaria e Fraser avanza la possibilità di un’alleanza tra i sostenitori di una rinnovata protezione sociale con il terzo polo, al fine di ricostruire istituti di protezione che respingano l’avanzata del mercato senza l’oppressione che le caratterizzava in precedenza.
Fraser non prende in considerazione la terza possibile alleanza, quella tra principio di libertà e principio di protezione sociale contro quello di emancipazione. In un momento normale infatti questa alleanza pare contraddittoria, ma la situazione creata dalla pandemia ha reso possibile temporaneamente questa unione.
Il fattore che ha cambiato le dinamiche precedenti è stata la scoperta dei vaccini e la loro diffusione a partire da fine 2020. Perché una campagna di vaccinazione sia efficace a livello sociale è necessario che copra una fetta molto alta di popolazione al fine di proteggere quei soggetti che, per ragioni sanitarie, non possono vaccinarsi o su cui il vaccino non sortisce gli effetti protettivi: secondo varie stime è necessario arrivare al 70%, all’80% o addirittura al 90% della popolazione perché l’immunità di gregge protegga gli individui fragili. Questi livelli non possono però essere raggiunti (e di certo non rapidamente) affidandosi esclusivamente alla volontà individuale. E’ necessario un obbligo implicito o esplicito che porti alla vaccinazione della popolazione.
Questa necessità sanitaria ha cambiato le dinamiche in atto nel 2020, determinando un’alleanza tra il polo della libertà economica e quello della protezione sociale. I sostenitori del mercato hanno visto nella vaccinazione di massa lo strumento per evitare nuove interruzioni o restrizioni dell’attività economica e per poter tornare presto alla normalità. Si sono quindi uniti ai sostenitori della protezione sociale nell’appoggio a tutti i provvedimenti tesi a vaccinare la maggior parte della popolazione e il più velocemente possibile. Questo ha colpito i sostenitori dell’emancipazione, che vedono in questi provvedimenti una logica oppressiva di dominio che cozza con la libera scelta individuale. Per questo, mentre le imprese e i loro rappresentanti hanno chiesto una vaccinazione rapida, insieme ai rappresentanti della società (come per esempio i sindacati), questi si sono opposti a tutti i provvedimenti che, direttamente (come l’obbligo vaccinale) o indirettamente (come l’esclusione dalla vita sociale per chi non ha il green pass), obbligano le persone a vaccinarsi. Anche in questo caso per giustificare questa posizione si è spesso fatto ricorso a teorie del complotto, questa volta però riguardo ai vaccini e alla loro sicurezza: per rifiutare lo strumento che permette di uscire dalla situazione di emergenza economica e sanitaria attuale è necessaria una giustificazione. In questo caso si mette in discussione la sicurezza dei vaccini e si immagina che tutto sia dovuto a un complotto delle case farmaceutiche per venderli.
La nuova situazione ha scompaginato le divisioni tra sinistra e destra. Infatti nel 2020 queste erano abbastanza delineante e sovrapponibili, in quanto corrispondevano alla divisione classica: la destra a favore della libertà economica, la sinistra a favore della protezione sociale. Nel 2021 destra e sinistra non corrispondono più alle scelte in materia di pandemia: tanto la destra che la sinistra sono presenti nei due schieramenti, quello a favore dell’obbligo vaccinale come in quello contrario a ogni imposizione.
Prospettive politiche post pandemia
La vittoria del mercato a partire dagli anni ‘70, grazie all’alleanza con il polo dell’emancipazione, ha determinato una progressiva spoliticizzazione della società. Qualsiasi scelta sociale era determinata dalle necessità dell’economia, restringendo la possibilità di scelta democratica ai soli diritti civili (cari al polo dell’emancipazione): in tema di economia e di protezione sociale la direzione era già decisa in favore di un’estensione della prima e dell’annullamento della seconda. La contraddizione tra la democrazia e l’economia è stata in sostanza risolta in favore della seconda, non come avvenne negli anni ‘20 e ‘30 (con i fascismi), ma lasciando aperte solo le decisioni sociali riguardo al riconoscimento che non intralciassero l’espansione del mercato e che anzi vedessero in esso uno strumento di liberazione individuale.
La pandemia può determinare invece una inversione di questa tendenza. La pandemia ha evidenziato la necessità della protezione sociale e ha obbligato anche i sostenitori del mercato a fare qualche timida concessione, per il momento temporanea. Ma soprattutto la pandemia ha obbligato ampi strati della popolazione a ritornare a interessarsi e a partecipare al dibattito pubblico. In sostanza la pandemia determina una ripoliticizzazione di massa, invertendo il processo in atto negli ultimi 50 anni. La ragione non è solamente da cercarsi nel fatto che la pandemia è un fenomeno mondiale che tocca tutti. Il vero elemento determinante è il riapparire della possibilità di protezione sociale determinato dalla situazione sanitaria. Se prima, fatti salvi i diritti civili, le decisioni erano univoche e predeterminate, il contesto attuale apre le porte a scelte differenti e obbliga tutti a conoscere a contrastare quelle che non si condividono.
Questa ripoliticizzazione di massa va riconosciuta anche quando non prende le forme sperate. La stessa diffusione di teorie del complotto a livello di massa è un indicatore di una partecipazione al dibattito pubblico. Una partecipazione ingenua e sbagliata, determinata da decenni di apatia e di atrofia. Chi non è stato abituato al dibattito e alla partecipazione e vi è obbligato dal nuovo contesto, vi prenderà parte come un novizio, facendo gli errori conseguenti. Se guardiamo all’Italia, questa ripoliticizzazione assume caratteri reazionari, ma questo orientamento non è fissato e diventa esso stesso soggetto a futuri sviluppi.
E’ prevedibile che questa politicizzazione continuerà e si consoliderà nei prossimi anni. Innanzitutto perché una volta (ri)scoperta la possibilità della protezione sociale e la non inevitabilità delle scelte orientate al mercato è difficile poi tornare indietro. E’ un tabù che si rompe, svelando la sua inconsistenza. Inoltre conquiste sociali ottenute in tempo di pandemia non potranno più essere negate facilmente alla prossima crisi economica: si pensi alle forme di sostegno al reddito dei lavoratori autonomi, che può rappresentare un abbozzo di “disoccupazione” anche per chi non è formalmente un lavoratore. Così come non si potranno più restringere quei settori che sono stati centrali in questo periodo: la sanità, i trasporti, le scuole, le RSA, etc… Tutti quei lavoratori che hanno continuato a lavorare in periodo di chiusure hanno scoperto l’importanza del loro lavoro, prima considerato secondario, e chiederanno riconoscimento. O ancora i paesi in via di sviluppo non accetteranno di essere esclusi dalle cure, per il momento riservate solo ai paesi ricchi, chiedendo lo stesso livello di protezione sociale e di riconoscimento.
La pandemia marca, da un punto di vista politico e sociale, una rottura tra un prima e un dopo. Non perché questa abbia effetti palingenetici. La pandemia ha accelerato e reso evidenti tendenze che erano già presenti in precedenza, ma che erano ancora troppo deboli per apparire evidenti. Inoltre rappresenta l’evento necessario a marcare nella coscienza collettiva questa rottura, come altri eventi politici e sociali hanno simboleggiato l’arrivo della tendenza precedente in passato (si pensi alla marcia dei 40’000 della Fiat).
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RIFERIMENTI
Polanyi, K., La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, Einaudi, 2010.
Fraser, N., A triple movement? Parsing the politics of crisis after Polanyi. Beyond neoliberalism, Palgrave Macmillan, Cham, 2017, pp. 29-42.