Papuasia magica. Recensione a “Nuvole sul Sepik” di Mario Trimeri
di Giorgio Morgione
Non è semplice definire il profilo biografico di Mario Trimeri. Capitai qualche anno fa nel suo negozio di viti di Casalecchio di Reno, notai alcune foto appese alle pareti: Mario sull’Everest, in Antartide, con le piccozze conficcate su una immensa parete di ghiaccio. Subito dopo venne a servirmi un uomo sui sessanta, slanciato e forte. Era lui e immediatamente pensai di avere di fronte una specie di Clark Kent dell’avventura e dell’alpinismo. Dal lungo elenco delle sue seducenti esperienze – potete scorrerlo per intero su www.mariotrimeri.com – mi limito a ricordare i due fatti più impressionanti: tra il 2000 e il 2007 ha completato le Seven Summits (secondo italiano dopo Messner) e, tra il 1991 e il 2011, le Volcanic Seven Summits (primo al mondo con Coco Popescu). Esperienze, insieme a numerose altre di pari calibro, che lo hanno spinto a scrivere e per questo a ricevere il titolo di accademico del GISM (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna).
Nuvole sul Sepik (Zola Predosa, Labor, 2008) è il libro di Trimeri che raccoglie imprese, riflessioni, racconti, studi e immagini provenienti da quattro spedizioni in Papua Nuova Guinea, realizzate tra il 1995 e il 2007. In questo lavoro, dopo i primi capitoli introduttivi dedicati alla topografia, alla paleoantropologia, alla flora e alla fauna dell’isola, si snodano principalmente tre avvincenti narrazioni: il fiume Sepik, che con la sua imponente lunghezza (1126 km.) e la sua caratteristica sinuosità attraversa l’area nordoccidentale della Papua riversando le sue torbide acque nel Mare di Bismarck; il complesso tessuto etnoantropologico del Paese; e le ascese del Carstensz Pyramid (4884 s.l.m.) e del Giluwe (4368 s.l.m.), rispettivamente il monte e il vulcano più alti dell’Oceania.
Del “Grande fiume”, questo dovrebbe essere il significato del toponimo Sepik, Trimeri ci parla come di un interminabile e serpeggiante corpo vivo nelle cui membra è conservata la storia dei numerosi territori che attraversa e di come si possa, navigandone le acque, non solo introiettarne l’archetipo al contempo mistico e selvaggio, ma soprattutto conoscere le abitudini, le lingue, le economie, i culti, le arti e le credenze delle sue genti. Proprio le lingue papuasiche, così tante e diverse tra loro, sono spesso l’emblema della separatezza e conflittualità di questi popoli, tenuti estranei l’un l’altro anche da una natura severa e impenetrabile, la stessa natura che gli europei dovettero aver visto per la prima volta cinquecento anni fa e che ancora oggi è un richiamo forte per scienziati di ogni genere, documentaristi e grandi viaggiatori.
Colpisce la parte dedicata alla “Casa degli uomini” (Haus Tambaran), la dimora sacra degli iniziati e degli spiriti antenati. Di queste grandi e seducenti architetture cerimoniali, le più riuscite si trovano nella zona del Middle Sepik. Trimeri ci parla del loro valore artistico, della loro fondamentale funzione sociale e dei rituali iniziatici che vi si svolgono, come quello, assai impressionante, dell’”Uomo-Coccodrillo”. Generalmente le culture dei popoli della Papua Nuova Guinea sono caratterizzate dalla predominanza dell’uomo sulla donna, ciononostante, nota Trimeri, la Haus Tambaran, luogo per soli uomini, si presenta spesso come un monumento alla donna («la facciata è il suo volto e il grosso dell’edificio è il suo corpo», p. 75), a simboleggiarne la fecondità e il fondamentale ruolo sociale. Anche il cannibalismo – culto ufficialmente abbandonato da oltre quarant’anni -, entrato inevitabilmente a far parte dell’immaginario collettivo legato alla Papuasia, viene giustamente inquadrato da Trimeri nella sua genuina dimensione antropologica: per questi popoli esso infatti rappresentava una sorta di metempsicosi, un anello di congiunzione tra vita e morte che, nella credenza trasmessa da stregoni e sciamani, oltre a esaltare la fertilità della caccia e gli onori di guerra, garantiva continuità all’esistenza degli spiriti.
Un capitolo è inoltre dedicato all’appuntamento del Sing Sing, anche detto The Big Show. Si tratta di una grande festa, un’occasione di incontro/confronto tra tribù, nella seconda metà di Agosto, in cui per due giorni centinaia di uomini si sfidano attraverso la danza, la musica e i costumi, in un tripudio di tinte sgargianti, piume, ossa ornamentali, canti, tamburi e maschere curatissime. Un evento che custodisce le radici primitive dell’isola, in cui si riflette la sua anima profonda, anche se, osserva Trimeri, corre sempre più il rischio di smarrirle a causa delle interferenze del consumismo e della globalizzazione. Altrettanto carica di suggestione è la ricostruzione che Trimeri fornisce della storia apocalittica di Rabaul, la città fantasma, un tempo perla del Pacifico, ma da quasi trent’anni sepolta dalle ceneri del Volcan e del Tavurvur.
L’ultimo capitolo, Nuova Guinea tra cielo e terra, è un emozionante diario delle ascese al Carstensz Pyramid e al Giluwe. La poetica che accompagna l’avvicinamento a quelle vette parla di fango, piogge insistenti, creature sconosciute, vegetazione rigogliosa e infinita. È il disvelamento ravvicinato di tutto ciò che fino a quel momento Trimeri aveva scorto soltanto dall’alto, dal finestrino di un aereo: «l’oggetto misterioso che è la Nuova Guinea […] una scatola chiusa con dentro un tesoro» (p. 116). Le 12:10 del 12 novembre 2006 e le 10:40 del 29 dicembre 2007 sono i momenti che segnano l’arrivo di Trimeri sulle due vette papuasiche. Queste ultime pagine del libro restituiscono efficacemente la forza e la vocazione di un diario di viaggio. Si ha infatti l’impressione di copiare i suoi passi, di seguirne le tappe, di assistere alle difficoltà incontrate e alle gioie provate.
Infine le fotografie. Come un filo che cuce insieme l’intera narrazione, gli scatti di Trimeri sono in grado di trasmettere la desiderabilità dei paesaggi, lo spirito di esplorazione e il vivo interesse per la sconfinata varietà dell’esistere umano. Acquisiscono poi ulteriore forza, nel dare un’immagine alle descrizioni delle arti lignee e architettoniche dei popoli.
Più che un libro di viaggio, Nuvole sul Sepik è il ritratto di un altro mondo, allo stesso tempo remoto e sublime, temibile e attraente. Sotto quelle nuvole, dove il “Grande fiume” solca altipiani e pianure sconfinate, c’è la tela terrea e verdeggiante di una natura abissale e grovigliosa, dimora di Dei e di umanità incredibili.
Luglio 2021
Molto interessante l’articolo, intrigante il rapporto tra Mario e i nativi, la loro cultura, gli usi ancestrali anche se in parte abbandonati. È notevole l’apporto che Mario ci dà di uno spaccato di vita così lontano e difficile da raggiungere e comprendere, arricchito dalle sue esperienze così estreme. Complimenti!
E’ proprio così. E in certi momenti la narrazione è particolarmente intensa, immagini di essere con lui…
Grazie Angela per il commento! G.M.
P.S. a breve è in uscita una recensione su “Madrugada bianca”, il suo libro sulla Bolivia.