Inside Marx. Viaggio al fondo del pianeta. Cronache marXZiane n. 3
di Giorgio Gattei
Sono stato trasportato sul pianeta Marx dall’astronave marxziana “La Grundrisse” nel 1968 e laggiù ho vissuto per più di mezzo secolo, interessandomi soprattutto alla sua composizione geologica costituita da una “crosta” di Prezzi di mercato, da un “mantello” di Prezzi naturali/Prezzi di produzione e da un “nucleo” di Valore, come ho raccontato nella Cronaca precedente. Però sulla sostanza del Valore le congetture teoriche, nell’impossibilità di arrivare fino al nucleo, si erano nel tempo così ingarbugliate che il governo marxziano ha deciso di organizzare una spedizione scientifica apposita per verificare come andassero le cose laggiù. La spedizione è stata affidata ad un esploratore di qualità come Piero Sraffa (che peraltro non era nemmeno un marxziano: era chiamato l’“Uomo dalla luna” per il ritratto che una volta aveva dato di sè scrivendo che, «se un uomo caduto dalla luna sulla terra registrasse l’ammontare delle cose consumate in ogni impresa e le quantità prodotte da ogni impresa durante un anno, ne potrebbe dedurre a quali valori le merci devono essere vendute, se il tasso di profitto deve essere uniforme e il processo di produzione ripetuto: le equazioni mostrerebbero così che le condizioni dello scambio sono interamente determinate dalle condizioni della produzione»).
A differenza però del fallimento del Viaggio al centro della terra, narrato da Jules Verne, che era stato tentato nel 1863 dal professor Lidenbrock ma che al centro della terra non c’era mai arrivato essendo stato espulso in anticipo dal sottosuolo per una eruzione lavica del vulcano Stromboli, ai marxziani, che sono gente tosta, la spedizione è riuscita benissimo, anche per la particolare configurazione del loro pianeta che, come dal dipinto di Hieronimus Bosch (vedine l’immagine che ho riportata nella seconda Cronaca), è una mezza sfera solida mentre l’altra metà è l’atmosfera, sicché il nucleo non sta al centro bensì nel fondo del pianeta. Si è così cominciato a trivellare il suolo con una particolare “talpa perforante” progettata da Sraffa dalla sigla incomprensibile Prodmercxmerc e poi, raggiunto il nucleo, si è piastrellato il condotto di discesa ed infine vi si è montato un ascensore per poterci andare facilmente su e giù. Così anch’io sono andato a vedere di persona la sostanza di Valore di quel “nucleo” che sostiene il “mantello” di Prezzi di produzione/Prezzi naturali che si presentano in superficie come una “crosta” di Prezzi correnti di mercato. E al ritorno ho riassunto le mie osservazioni in un documento che ho intitolato Tablò equonomix in omaggio al Tableau économique del medico francese François Quesnay, che è stato il primo a provare a rappresentare tutte le connessioni di una economia di produzione e scambio dentro un unico quadro complessivo.
Correva l’anno 1758 e Quesnay, medico di fiducia della Marchesa di Pompadour che era l’amante di Luigi XV, dimorava con loro presso la reggia di Versailles dove non faceva altro che auscultarne il battito cardiaco (la scoperta della circolazione del sangue era allora una novità dell’arte medica) al polso o sul seno di una Madama che allora godeva di ottima salute, così che il dottore inoperoso, a forza di auscultare, s’immaginò che quel corpo sotto esame non foss’altro che quello economico della Francia, dove l’agricoltura funzionava come il cuoricino pulsante in cui il lavoro contadino produceva il sangue arterioso delle derrate che venivano poi spinte fino alle più lontane periferie ricevendone in cambio il sangue venoso di una moneta equivalente che, “riossigenata” da ulteriore lavoro contadino, avrebbe prodotto altre derrate. Ma, proprio come la circolazione del sangue nel corpo umano, anche di questa circolazione economica di merci e denaro era possibile dare una rappresentazione complessiva ed era ciò che aveva fatto il dottor Quesnay nel suo Tableau redatto in più versioni, la più curiosa delle quali è quella “a zig-zag”. E siccome a Versailles c’era anche una tipografia a divertimento del sovrano, di quel quadro vennero tirate delle copie a stampa (alcune perfino ritrovate), mentre Quesnay si poneva a capo di quella prima “setta degli economisti” che ha preso il nome di Fisiocrazia, ossia “Tutto il Potere alla Natura” (dove poi la “natura” era quella di Madama Pompa-Duro il cui nome era tutto un programma, almeno per il re).
Comunque a me i testi sintetici sono sempre piaciuti, così che mi sono sentito particolarmente attratto dalla bellezza di un Tableau che era capace di stare in una pagina sola. E dopo aver visto la struttura di Valore del “nucleo” del pianeta Marx, ho provato a farne una rappresentazione schematica secondo le tre strisce geologiche che la compongono e che, partendo dal fondo, ho chiamato: “Prima della semina”, “Nella scatola nera” e “Dopo il raccolto”. Di ogni striscia darò dapprima la formula schematica complessiva, che poi commenterò avvertendo che la dimensione aggregata del nucleo (come ho già detto nella Cronaca precedente) mi risparmia di scrivere continuamente il simbolo di sommatoria per intendere che considero l’insieme di tutte le produzioni.
E quindi, partendo dal basso, ecco ciò che succede “prima della semina”:
D = W = Lw = Nhw
Quando ho raggiunto il nucleo del pianeta e mi sono affacciato con altri turisti sullo sprofondo (mi hanno fatto anche una fotografia che ho messo ad immagine di questa Cronaca: io sono quello con gli occhiali), vi ho visto dentro un gran ribollire di Denaro. Ma ciò era evidente perché la regola di circolazione economica del pianeta è Denaro-Merce-Denaro, ossia un “comprare per vendere” che deve cominciare da una quantità di Denaro presupposta, da un «apriori in contanti» (come l’ha chiamato un astronomo eccentrico quale Alfred Sohn-Rethel) che viene immessa in circolo all’inizio. Ora qui non interessa tanto la materia di cui è fatto questo Denaro (che un tempo era d’oro e d’argento, poi è diventato di carta e adesso è in via di trasformazione in impulso elettronico: bit coin), né quale sia il soggetto emittente, se una Zecca di Stato oppure una Banca Centrale, perché potrebbe anche essere andata come l’ha raccontata un tal Milton Friedman che un giorno «un elicottero ha sorvolato la comunità e lasciato cadere dal cielo dei biglietti che naturalmente la gente si è affrettata a raccogliere», dopo di che questa «caduta di denaro dal cielo, anziché costituire un evento unico e portentoso, è diventata un processo continuo perfettamente previsto da tutti». Infatti ciò che conta è solo che dei soldi debbano arrivare “prima della semina” ed è per questo che il fondo del nucleo funziona come la caldera di un vulcano che sistematicamente erutta lava (o leva?) monetaria.
Ma quanto denaro lava deve fuoriuscire e di esso che si fa? Per l’utilizzo i casi sono due: o con quella moneta “piovuta dal cielo” si acquistano beni da consumare, com’è logica delle famiglie, oppure le imprese se ne servono per acquistare l’unica merce che a loro manca per mettersi a produrre (dato che i beni-capitali già ce li hanno), e questa merce è la forza-lavoro capace di erogare Lavoro vivo (L) dopo che le è stato pagato il prezzo relativo, ovvero il Salario W. E’ proprio questa la funzione del Denaro d’avvio: di essere destinato integralmente alla retribuzione monetaria di quelli che sono disposti a lavorare alle dipendenze altrui (il pianeta Marx è un pianeta salariale), così che: D = W. Ma con quel Salario quanto Lavoro vivo si potrà acquistare? Dipenderà dalla retribuzione salariale oraria w, che è la stessa dappertutto perché il lavoro è omogeneo ed è fissato secondo meccanismi contrattuali prestabiliti: L = W/w, mentre il numero degli Occupati N sarà funzione della durata della Giornata lavorativa h, altrettanto identica e data: N = L/h, così che in conclusione:
W = Nhw
Ed invero nella seconda striscia geologica della “scatola nera” (o black box) ciò che conta sono proprio le ore di Lavoro vivo (L = Nh) che, combinandosi con il bene-capitale (che è solo circolante e lo stesso in tutte le produzioni e che d’ora in poi chiameremo sbrigativamente Capitale K), danno luogo ad un Prodotto lordo X secondo la “funzione di produzione aggregata” che viene messa in esecuzione:
X = f(K, L)
Uno spioncino mi ha consentito comunque di vedere che cosa succede all’interno della “scatola nera” (che alcuni chiamano anche “matrice della tecnica”) e ho visto che vi entrano degli input e ne escono degli output con il capitale che viene «afferrato dal lavoro vivo che lo evoca dal regno dei morti e lo trasforma, da valore d’uso possibile, in valore d’uso reale e operante», come ha descritto con bella immagine il primo mappatore del pianeta Karl Marx quando l’ha visto al telescopio. E’ tutto qui, perché di economia non c’è altro.
Nella striscia geologica successiva ho potuto finalmente vedere la consistenza del “nucleo” del pianeta che aveva così tanto fatto discutere sulla sua sostanza di Valore. E’ stata questa la scoperta più straordinaria dell’esplorazione condotta da Sraffa, d’importanza equivalente al ritrovamento nel 1974 dello scheletro di Lucy “in the sky with diamonds”, una ominide che ha retrodatato l’origine dell’umanità a 3,2 milioni di anni fa. Essa ha trasferito la Trasformazione del Valore del “nucleo” nei Prezzi di produzione del “mantello” dal Prodotto Lordo X, come ritenuto dagli astronomi classici, al Prodotto Netto Y che va inteso come «tutto ciò che rimane dopo che dal prodotto nazionale lordo abbiamo tolto una per una le merci che occorrono per reintegrare i mezzi di produzione che sono stati usati dall’insieme delle industrie» (così Sraffa ha scritto nella relazione scientifica Viaggio di merci a mezzo di merci pubblicata nel 1960). Lucido come un cristallo di quarzo, ecco ciò che gli si è presentato davanti agli occhi, e cioè che:
Y = (X – K)
e solo se questa differenza è maggiore di zero il “nucleo” si può dire “vitale”, ossia in grado di produrre di più di quanto utilizza ed è anche solo a questo “sovrappiù” che bisogna dare una valutazione economica, essendo il resto indisponibile a qualsiasi altra destinazione se non il suo reimpiego. Però, siccome si tratta di un coacervo di beni eterogenei (il caso di una merce sola è un esempio di scuola che piace soltanto agli astronomi), occorre una unità di misura che li “omogeneizzi” fra loro, ma saranno dei Prezzi di produzione oppure il Valore?
Nella relazione del 1960 non c’è dubbio che Sraffa abbia indicato quale unità di misura dell’aggregato di Prodotto Netto del “nucleo” i Prezzi di produzione del “mantello”, i quali si determinano simultaneamente alle quote distributive del Salario W e del Profitto P sulla base di un certo volume di produzione secondo un’altrettanto data proporzione tra dei fattori produttivi tra loro, così che:
Yp = W + P
e questa è ancora la presentazione che si offre ai visitatori nella guida turistica Pianeta Marx e gli astronomi classici che è stata redatta da Pierangelo Garegnani. Però la pubblicazione dei taccuini personali di viaggio ha svelato che nella sua esplorazione Sraffa aveva visto diversamente misurando quel Prodotto netto con un Valore “prima della semina” invece che con dei Prezzi di produzione “dopo il raccolto”. Era questa peraltro la lezione che aveva appreso dal suo maestro geografo John Maynard Keynes che nella Teoria generale dello spazio aveva ironizzato sul fatto che «dire che il prodotto netto odierno è maggiore, ma il livello dei prezzi è più basso, di un anno o dieci anni fa è press’a poco come dire che la regina Vittoria fu, come regina, migliore della regina Elisabetta, ma non più felice come donna: proposizione non priva di significato né di interesse, ma inadatta a fornire materia per il calcolo differenziale». C’era la produzione quantitativa e c’erano i prezzi: ma che cosa poteva essere cambiato rispetto a un anno oppure dieci anni fa? Per questo gli astronomi classici si erano intestarditi nel ricercare una misura d’aggregazione della produzione che fosse “prima della semina” e l’avevano ritrovata nel Valore-lavoro, sebbene l’avessero applicata erroneamente al’intero Prodotto Lordo, così da precipitare in quella impossibilità di calcolo del Capitale impiegato come “lavoro di ieri” di cui la storia aveva infine fatto giustizia.
Ma Sraffa, quando era arrivato al “nucleo”, si era trovato davanti al solo Prodotto netto e a questa nuova dimensione quantitativa egli avrebbe dovuto adattare la misura del Valore-Lavoro degli antenati e ne ha lasciato precisa indicazione, ma non nella Relazione ufficiale del viaggio, bensì in quegli appunti personali che hanno avuto il solo torto di essere stati pubblicati solo dopo la sua morte. E’ qui che si legge infatti che «il prodotto netto come un tutto è sempre prodotto solo da L» (dove L è il lavoro attuale, il lavoro presente, il lavoro “di oggi”, ossia proprio quel “lavoro vivo” che viene acquistato col salario monetario consentito dal denaro d’avvio) e che quindi «il valore del reddito netto è uguale al lavoro dell’anno» e questa «unità di misura è il sistema che se la sceglie da solo: è la quantità del lavoro annuale ovvero, il che è lo stesso, il reddito netto». Si tratta di ciò che poi è stato chiamato il “Neovalore-lavoro” e che formalmente significa:
L = Yv
dove v è l’unità di misura di Valore del Prodotto Netto e di cui io stesso ho potuto prendere visione nella mia discesa al fondo del pianeta Marx, mentre Garegnani nulla aveva potuto saperne prima della pubblicazione taccuini di viaggio sraffiani). Perché poi Sraffa abbia mancato di farne parola in Viaggio di meri a mezzo di merci può essere solo oggetto di congetture: forse per ragioni di “pace accademica” (un collega d’università, nel leggere le bozze del primo capitolo “ai prezzi di produzione”, lo aveva rimproverato di avere scritto un libro “maledetto” che meritava di andare bruciato – e cose avrebbe detto se vi avesse letto del neovalore-lavoro?) oppure per una civetteria alla Ricardo, l’antico astronomo di cui egli aveva curato in precedenza le Opere complete senza mai ritrovarvi un certo “modello grano-grano”, che pure gli era assolutamente necessario per dare coerenza del suo ragionamento, ma solo perché Ricardo «lo diceva a voce», come ha giustificato nella Introduzione!
Comunque, col Neovalore-lavoro sparisce la necessità di riportare a “lavoro morto” il valore del Capitale utilizzato nella produzione, la cui presenza viene tolta dal Prodotto Netto per definizione. Ma siccome vale pur sempre la “legge di conservazione” del Valore nei Prezzi di produzione (ciò che si crea nella sfera della produzione si deve conservare in quella dello scambio), il Neovalore-lavoro del “nucleo” non può che trapassare senza residui nel totale dei Prezzi di produzione del “mantello”, e quindi nella somma di Salario e Profitto, così che:
L = Yp = W + P
dopo di che, la strada corre tutta in discesa.
Per il Salario basta tornare all’anticipo monetario pagato per il Lavoro vivo, il quale viene speso integralmente “dopo il raccolto”, così che i lavoratori possano prelevare quella parte (a < 1, altrimenti non resterebbe niente per altri/per altro) del Prezzo di produzione del Prodotto netto che serve al loro benessere e riproduzione e che, per l’equivalenza di Neovalore-lavoro, non è altro che la quota del loro Lavoro vivo che si riprendono con il Salario ricevuto e che Marx ha chiamato Lavoro Necessario Ln:
W = aYp = aL = Ln
(e siccome W = Lw, ne consegue che w = a, a prova che la porzione di Prodotto netto che a loro arriva “dopo il raccolto” non è che la remunerazione salariale oraria che era stata stabilita “prima della semina”). Tuttavia ciò che qui importa è che dal punto di vista del “nucleo” il Salario viene a perdere qualsiasi consistenza materiale di moneta o di merce per mostrarsi nella sua verità di una parte del Lavoro vivo erogato dai salariati, suscitando la stupefazione di Metello nel romanzo omonimo di Vasco Pratolini quando lo capisce: «La moglie rimase col soffietto in aria: “Ma è una cosa che ti torna nuova?” gli chiese. “No, ma qui c’è la spiegazione”. “Ma spiegazione di che?” “Scientifica” lui disse. E ripeté: “Della Teoria della Forza Lavoro”. “Sarebbe a dire?” “Vuoi che ricominci da capo?” “Per l’amor di Dio. Non ti venisse l’idea di dimostrarmi che l’aceto si fa col vino”. Egli scosse la testa, sorrideva: “La verità – disse – è che certe cose, quando le trovi scritte e dimostrate, anche se le conosci per esperienza, assumono un alto aspetto. Le parole stampate non sono mai come i discorsi che facciamo noi, chi le scrive ci mette sempre un po’ di magia. T’insegnano a ragionare su un argomento, e quello che magari pensavi di già, ti sembra anche più vero”».
E il Profitto? Non è altreo che la parte complementare del Lavoro vivo che va ad altri o per altro e che prende il nome di Pluslavoro Pl «sorridendo al mondo con tutto il fascino d’una creazione dal nulla» (dixit Marx):
P = L – Ln = L – aL = L – Lw = L(1 – w) = Pl
Anche qui si conferma che il Pluslavoro non è manna dal cielo o benevolenza della natura e nemmeno prodigio della tecnica. E’ impegno del Lavoro vivo di tutti al netto del Lavoro necessario. E io, che provengo da un pianeta classista, ho trovato sorprendente quella dimensione “di tutti” che risultano mobilitati a massimizzare il Pluslavoro, essendo evidente che più ce n’è, più si possono fare cose: consumare, investire, sprecare anche (che pure questo succede sul pianeta Marx, ma senza che doversene preoccupare più di tanto perché di Pluslavoro ce n’è in abbondanza). Nel passato ci sono state furiose polemiche sulla maniera migliore di far crescere il Pluslavoro, dato che per sostituzione del Lavoro vivo con le sue componenti di Occupati per Giornata lavorativa (L = Nh) c’erano teoricamente diverse possibilità ed in tempi oscuri della storia del pianeta si era cavalcata la regola infame del “più lavoro con meno salario e più orario”. Ma l’effetto era stato che i marxziani si erano messi a lavorare peggio, se non addirittura a non lavorare affatto (il lavoro sul pianeta Marx non è obbligatorio), così che poi si sono dovute introdurre politiche del Ben-Fare (Welfare nell’idioma locale) che prima hanno escluso dal lavoro le persone “fragili” (bambini, malati e anziani) ed anche i “nolenti” (quelli a cui non piace di lavorare), e poi hanno ridotto l’orario lavorativo nella giornata, nella settimana (le feste comandate), nell’anno (le ferie obbligatorie) e nella vita (l’età della messa in pensione). E per finire non si è addirittura aumentata la quota di partecipazione del salario al reddito? Ma questa volta per la precisa ragione economica di dover “chiudere” in moneta quel circuito di scambi di merci che si era aperto col denaro iniziale pagato ai salariati, come l’ultima striscia geologica del “nucleo” mette in evidenza.
Succede infatti che se il Prezzo di produzione del Prodotto Netto deve essere interamente venduto sul mercato (tutte le merci prodotte vanno realizzate in moneta), occorre che ci sia una quantità di denaro circolante esattamente equivalente a quel Prezzo complessivo. Me come è possibile se di moneta in giro c’è solo quella immessa “prima della semina” a titolo di Salario (D = W), mentre nel Prezzo di produzione è presente anche il Profitto (Yp = W + P)? Dove trovare il contante che manca per monetizzarlo? La soluzione istintiva sarebbe quella di cercare “altrove” dei compratori, ma siccome il pianeta Marx è l’unico presente nella sua costellazione, non ci può essere alcun “altrove astronomico” dove andare a vendere le merci che compongono il profitto e la soluzione è mancata finché il geniale astronomo Michal Kalecki, di nazionalità polacca come Copernico, non ha osato chiamare “altrove” anche quell’altra istituzione economica che, insieme alle banche, gode del privilegio della sovranità monetaria, che è lo Stato quando (come si dice) “batte moneta”. Qualcuno ha scritto che la moneta «è creatura dello Stato», ma essa non è creata per far pagare ai cittadini le tasse (che sul pianeta Marx non ci sono), bensì per convertire in moneta il Profitto delle imprese che altrimenti resterebbe invenduto. E questo lo Stato lo fa quando (Zecca o Banca Centrale che sia) emette moneta in Disavanzo (d) a favore delle famiglie e delle imprese con sussidi che si chiamano Bonus (B) e che non importa quali che siano dato che, come diceva Kalecki, «la cosa importante è che siano finanziati da nuovo potere d’acquisto». Ecco quindi che per:
d = B
compare l’ultima striscia geologica che salda il Neovalore-lavoro del “nucleo” ai Prezzi di produzione del “mantello” tramite quella Moneta sia iniziale (bancaria) che finale (statale) che viene immessa nel circuito:
L = Ln + Pl = W + P = W + B = D + d = M = Yp
e qui si vede che, se l’indebitamento delle imprese ha dato il via al Tablò equonomix col pagamento del Salario, il Disavanzo pubblico lo chiude monetizzando il Profitto e lasciandoci alle prese con il doppio paradosso che più c’è Profitto, più c’è bisogno di Disavanzo, mentre per ridurre il Disavanzo non c’è altra via che di aumentare il Salario!
Però tutti quei provvedimenti del Ben-fare, che si rovesciano in “meno Lavoro, meno Orario e più Salario”, non vanno a discapito del Pluslavoro? Certo che sì! E allora perché sono stati adottati sul pianeta Marx? Io qui avvertivo che mi mancava qualcosa, che la mia investigazione geologica non poteva dirsi compiuta. Ma per andare oltre avrei dovuto interpellare i tre Saggi che vi abitano e che sono Saggio di Pluslavoro, Saggio di Profitto e Saggio Massimo che è il più distante di tutti, ma anche il più importante. E’ ciò che alla fine ho fatto e di ciò darò conto nella mia ultima Cronaca marxziana: Tre Saggi per un pianeta (intervista a Saggio Massimo).