C’è vita su Marx? Cronache MarXZiane n. 1
di Giorgio Gattei
Per il diritto d’autore: devo il titolo di questa prima parte delle “Cronache marxziane” a Riccardo Bellofiore che l’ha posto (perchè ispirato dalla canzone di David Bowie “Life on Mars”?) in testa alla sua introduzione a Marx inattuale (Edizioni Efesto, Roma, 2019). Ma quel titolo è finito lì, che lo svolgimento successivo è stato di tutt’altro tenore, mentre io l’ho preso sul serio e quindi….
1. Come il pianeta Nettuno nel Sistema solare, anche il pianeta Marx è stato individuato nella Costellazione dell’Economia inizialmente solo per via speculativa a seguito di una discrepanza, inspiegabile nella traiettoria del valore rispetto ad ogni altro corpo economico già conosciuto, che lasciava intendere che in quello spazio di cielo dovesse esserci presenza di qualcosa di anomalo, anche se al momento non individuabile. E’ stata questa la grande intuizione dell’astronomo britannico Adam Smith, peraltro autore di una Storia dell’astronomia pubblicata postuma in cui teorizzava che «un sistema di pensiero è una macchina immaginativa inventata per collegare nell’immaginazione i vari movimenti ed effetti che nella realtà già si compiono». Per questo nella Ricchezza delle stelle (1776) egli aveva mostrato come ci fosse nel cielo un luogo economico in cui il valore delle merci misurato come “lavoro contenuto” (V = L) non coincideva più con la misura in “lavoro comandato” (o Salario: V = Lw), come invece avrebbe dovuto essere, essendo questo dovuto al semplice fatto che il salario unitario w pagato per ogni ora di lavoro L doveva risultare minore di 1, così che Lw < L. Ciò lo giustificava perché, mentre nello “stadio naturale” dell’economia (ossia dovunque) «tutto il prodotto del lavoro appartiene al lavoratore,.. non appena il capitale si è accumulato nelle mani di persone singole, alcune di loro naturalmente lo impiegheranno nel mettere al lavoro uomini operosi», a cui pagheranno un salario tale per cui «il valore che gli operai aggiungono ai materiali si dividerà in due parti, di cui una paga il loro salario e l’altra i profitti di chi li impiega». Ed era una anomalia inaspettata nell’ordine dei sistemi economici, con l’effetto che «nel prezzo delle merci i profitti costituiscono una componente del tutto diversa dai salari del lavoro e regolata da principi del tutto diversi». Sì, ma quali?
Per capirci qualcosa di più si è dovuto aspettare il suo successore astronomico David Ricardo che nei Principi di celeste economia (1817), dopo aver confermato la discrepanza astronomica rilevata da Smith per cui «la quantità di lavoro erogata nella produzione di una merce e la quantità di lavoro che quella merce consentirebbe di acquistare… non sono eguali», ne ha formulato con eleganza la condizione di equivalenza collegando le due traiettorie del “lavoro contenuto” e del “lavoro comandato” mediante il “coefficiente di profitto” (1+r), così che:
L = Lw (1+r),
da cui la condizione di “numerario astronomico”: w (1+r) = 1. E Ricardo era così soddisfatto del risultato matematico raggiunto da scrivere entusiasta: «ma è mai possibile stabilire in modo più chiaro di questo il principio che i profitti devono necessariamente diminuire quando aumentano i salari?».
Ma quale poteva essere la consistenza siderale di cui quelle due variabili economiche di salario e profitto, che adesso erano in gioco dentro la sostanza del Valore? Qui la risposta l’ha data nel 1867 (era ormai era trascorso quasi un secolo dalla scoperta di Smith!) l’astronomo indipendente Karl Marx, di nazionalità germanica ma naturalizzato britannico, che l’ha vista con i propri occhi utilizzando un telescopio di ultimissima generazione. Potendo finalmente osservare quel luogo anomalo dello spazio celeste in cui le due misure di valore divergevano, egli è riuscito a scorgere finalmente quel pianeta che ci stava a cui ha dato il nome impossibile di DasKapital che però la Comunità Internazionale degli Astronomi (CIA) ha giustamente sostituito, come da prassi per i crateri della Luna, con il nome del suo scopritore, così che adesso è da tutti conosciuto come il “pianeta Marx”. E lui che ha visto? Che quel corpo celeste era abitato da due tipi di popolo, i Profittatori e i Salariati, che noi chiamiamo genericamente “marxziani” sebbene loro non si dicano affatto così e anzi contestino questo nominativo. Comunque egli ha potuto vedere che il valore delle merci prodotte, in quanto misurato dalla quantità del lavoro “vivo”, ossia “di oggi”, impiegato (V = LV), si manifesta apparentemente nella somma fenomenica del Salario e del Profitto, ma è in sostanza costituito da Lavoro Necessario e Pluslavoro:
LV = LN + PL
con il pluslavoro che è eseguito anch’esso, come il Lavoro necessario, dai Salariati ma di cui si appropriano i Profittatori. E in una pagina del manoscritto sulle Teorie sul Cielo del Plusvalore ha rivendicato l’esclusiva paternità di questa scoperta: «come era importante risolvere il valore in lavoro, così era importante rappresentare come pluslavoro il profitto che si realizza in un sovraprodotto. Questo in realtà l’aveva già detto Smith ed è un punto molto importante nel sistema di Ricardo, ma non è mai stato enunciato ed affermato in forma assoluta», come lui aveva fatto scorgendolo finalmente al telescopio.
L’attesa della annunciata cartografia di quel nuovo pianeta era stata a quel tempo spasmodica (ne rimane una testimonianza del 1867 riportata da Emile Zola in Il denaro (1891): «ho vegliato tutta la notte per leggere questo libro che ho ricevuto ieri… Ah, che libro! Dieci anni della vita del mio maestro, Karl Marx, lo studio che ci prometteva da tanto tempo sul capitale… Ecco la nostra Bibbia, ora, eccola qui!»), e così che, quando ne furono pubblicati postumi (nel 1885 e nel 1894) anche i due sequel a cura dell’“assistente al cielo” Friedrich Engels, se ne è potuta osservare l’intera mappatura con le sue “città” del Valore, i “canali” (trafficati) del Lavoro vivo e quelli (estinti) del Lavoro morto, le “catene montuose” dei Prezzi di produzione, i “grandi mari” dello Sfruttamento e della Trasformazione (come li ha chiamati Marx) e perfino un abbozzo dell’Orbita di caduta del Valore, su cui però Marx si è fermato, confessando in una lettera del 1873 di avere «provato diverse volte di calcolare questi up and down come curve fittizie e credevo (credo tuttora che con un materiale sufficientemente elaborato ciò sia possibile) di dedurre da esse matematicamente la legge di caduta, sebbene il matematico Moore consideri la cosa per ora non fattibile, sicché ho deciso di rinunciarvi for the time being».
Da allora in poi è stato tutto un puntar telescopi verso quel nuovo pianeta, che alla vista si presenta di colore rosso come le sabbie di Marte, allo scopo di conoscerne le caratteristiche di governo economico che potrebbero tornare utili anche alla nostra Terra. E così, come è successo per la ricerca spaziale del pianeta-oceano Solaris ricordata da Stanislaw Lem nel 1961, «per molti, soprattutto tra i giovani, l’“affare” ha cominciato lentamente a diventare una specie di paragone delle capacità umane. In realtà, si diceva, qui è in gioco una posta ben più alta dell’approfondimento di quella civiltà: qui si tratta dell’uomo e dei limiti della conoscenza umana».
2. In Italia l’osservazione astronomica del pianeta Marx è stata inaugurata dal docente della Specola di Roma Antonio Labriola che in una serie di Saggi ne ha fornito una specie di “poema in prosa” (ma più poema che prosa), avente ad oggetto «l’origine e il processo di sopravvalore nell’orbita, s’intende, della produzione capitalistica» che allora ha affascinato una intera generazione di giovani, anche all’estero e nei posti più improbabili («nella mia cella lessi con entusiasmo due opere celebri del vecchio hegeliano-marxista italiano Antonio Labriola, contrabbandate in carcere in francese», così ha ricordato Lev Trotski nella Mia vita (1930) sebbene poi, come si sa, ha preso ben altra professione che quella astronomica).
Ma in Italia il sopravvenire della dittatura del Kuce (così sbeffeggiato da Carlo Emilio Gadda in Eros e Priapo (1967): «porgeva egli alla moltitudine l’ordito della sua incontinenza buccale, ed ella vi metteva spola di clamori, e di folli gridi, secondo ritmi concitati e turpissimi: Kù-cè, Kù-cè, Kù-cè») ha fatto divieto per anni di studiare quel pianeta “rosso” di cui gli avversari più decisi avevano fatto la loro bandiera d’opposizione. E come la Santa Inquisizione cattolica ha fatto il suo martire eccellente in quel Giordano Bruno bruciato vivo a Roma nel 1600, altrettanto la Peggio Inquisizione kucesca ha spento in prigione, nel 1937, la vita di Antonio Gramsci, straordinaria studioso di quel pianeta che in cella, e quindi per sola deduzione logica, doveva aggiungere congetture importanti sulla sua consistenza materiale come il «blocco storico» e l’«egemonia» .
Ma quando, caduto il cattivo regime, l’interdetto a quello studio è stato tolto, ci si è accorti che del pianeta Marx si aveva una conoscenza limitata e distorta che avrebbe potuto essere superata soltanto con dei voli spaziali, nel frattempo diventati possibili, che andassero a vedere direttamente come andavano le cose economiche laggiù. Superando l’isteria di una opinione pubblica che a quel tempo si era messa in testa che i marxziani potessero invaderci (una fake-news che ha preso il nome di “maccartismo” o “caccartismo”, non so bene), anche dall’Italia si sono levati dei razzi per raggiungere il pianeta “rosso”. La prima spedizione negli anni ’50 ha visto partire dalla base spaziale “Partitocomunista” addirittura due astronavi (di fabbricazione straniera, però) che coi nomi popolari di “Diamat” e “Stomat”, abbreviazioni delle denominazioni ufficiali “Materialismo Dialettico” e “Materialismo Storico”, venivano spinte dal propellente nazional-popolare dell’Umanesimo marxista. Ma il loro fallimento era iscritto in partenza: non avendo ben capito che il pianeta Marx è un corpo astronomico del tutto economico, le coordinate celestiali di Filosofia e di Storia non potevano che far andare i due oggetti volanti per la tangente, così che essi sono finiti per perdersi nello spazio profondo dove ormai, a tanti anni dalla partenza, gli equipaggi si devono considerare estinti.
Un’altra spedizione più agguerrita è stata condotta invece negli anni ’60: questa volta si è tenuto conto di osservazioni specificatamente economiche (sebbene più ricardiane che marxiane: «a lungo è stato studiato il rapporto Marx-Hegel. Quasi per niente è stato studiato il rapporto Marx-Ricardo. La cosa più interessante sarebbe quella di studiare il rapporto Hegel-Ricardo»), sicché l’astronave “Operaiecapitale”, fabbricata nelle Officine Quaderni Rossi, si è potuta alzare orgogliosamente verso lo spazio e questo «prologo nel cielo», come detto dal suo comandante Mario Tronti, ce l’ha fatta a giungere in vista del pianeta Marx, sebbene la sua forza propulsiva non è stata sufficiente a farla entrare in quella atmosfera. Infatti, cavalcando una osservazione equivoca del giovane Marx che non aveva ancora visto al telescopio Lavoro necessario e Pluslavoro, sicché per lui Salario e Profitto stavano «in rapporto inverso… e il profitto sale nella misura in cui il salario diminuisce e diminuisce nella misura in cui il salario sale», si era pensato di poter atterrare nel “mare” dello Sfruttamento seguendo la sola rotta distributiva di Salario e Profitto nella quale, si teorizzava, «sul terreno della scienza come su quello della pratica la forza delle due parti è inversamente proporzionale: se l’una cresce e si sviluppa, l’altra sta ferma e quindi indietreggia». Ma così astrologando, ci si trovava davanti ad un rapporto reversibile in cui il profitto si presentava certamente come un minus-salario, ma solo perchè il salario diventava a sua volta un minus-profitto. Così quell’astronave si è condannata a girare attorno al pianeta Marx in un’orbita circolare geostazionaria finché ha avuto combustibile, salvo precipitarvi sopra, appena è finito, consumandosi in una inutile palla di fuoco.
Insomma, pareva proprio che non si potessero mai incontrare i marxziani, a meno che non fossero loro a venire da noi. E proprio così è stato: incuriositi da quelle astronavi che avevano preso ad infastidirli, hanno deciso di risalire alla causa e nel 1968 è comparsa nel nostro cielo italiota la sagoma della HMS (His Marxzian’s Ship) “la Grundrisse”, dall’inconfondibile forma “a falce e martello” che è la più adatta per muoversi nella Costellazione dell’Economia (come si vede dall’unica foto disponibile di Riccardo Falcinelli messa in copertina al romanzo Wu Ming (2018) di Proletkult). Però i marxziani non erano affatto giunti sulla Terra per invaderci, ma soltanto per prelevare un nostro esemplare da portare con loro. E di tutti i terrestri che potevano prendere hanno scelto me, sebbene nessuna giustificazione mi sia poi mai stata data se non quella che passavo per caso a Bologna dove loro erano atterrati. Come che sia, il mio incontro in quella primavera del 1968, emozionante anche per ben altri avvenimenti parigini (“Ben venga maggio/e ’l gonfalon selvaggio!”), è stato simile a quello avvenuto all’alba del Novecento tra il compagno bolscevico Leonid e il comandante della eteronef marziana che Alexander Bogdanov ha ricordato nel romanzo Stella Rossa (1906): «Perché vi sono necessario? – Per fare da legame vivo tra noi e l’umanità terrestre, per conoscere il nostro sistema di vita e adattarvi il suo, per essere, se lo vorrà, l’ambasciatore del suo mondo nel nostro. – Questa è tutta la verità? – Sì, tutta la verità; se pensa di essere in grado di svolgere questo ruolo. – In questo caso proverò. Vengo con voi». E così mi sono ritrovato a volare sulla astronave “La Grundrisse” fino al pianeta Marx, dove ho abitato per oltre cinquant’anni. E di tutta la conoscenza economica che me ne sono fatto darò conto nella mia seconda “Cronaca marXZiana” che avrà per titolo: Che vita su Marx?
Mi sono laureato in Storia del pensiero economico con il prof. Giorgio Gattei nel 1994 e sono contento di poter rinfrescare in modo appassionato e divertente i temi esposti durante il “mese marxiano”.