Da Giorgio Vasari, Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, Einaudi Tascabili, 1991
antologia storica a cura di Adriano Simoncini
Giorgio Vasari (Arezzo 1511 – Firenze 1574) pittore e architetto, attivo soprattutto al servizio dei Medici e conosciuto in particolare per la decorazione in Palazzo Vecchio del Salone dei Cinquecento e la costruzione del corridoio che attraverso Ponte Vecchio unisce Palazzo Vecchio e gli Uffizi a Palazzo Pitti, Giorgio Vasari resta “per la sua penna e non per il suo pennello” tra i maggiori personaggi del ‘500 italiano: le sue monumentali Vite… sono infatti un’opera fondamentale della storiografia artistica italiana. Per degnamente ricordare il cinquecentesimo anniversario della morte di Leonardo da Vinci ne trascriviamo qualche pagina.
LIONARDO DA VINCI Pittore e Scultore Fiorentino, 562-63, pp.545-46
(…) in Lionardo da Vinci, nel quale oltra la bellezza del corpo, non lodata mai a bastanza, era la grazia più che infinita in qualunque sua azzione; e tanta e sì fatta poi la virtù, che dovunque lo animo volse nelle cose difficili, con facilità le rendeva assolute. La forza in lui fu molta e congiunta con la destrezza, l’animo e ‘l valore sempre regio e magnanimo. E la fama del suo nome tanto s’allargò, che non solo nel suo tempo fu tenuto in pregio, ma pervenne ancora molto più ne’ posteri dopo la morte sua. E veramente il cielo ci manda talora alcuni che non rappresentano la umanità sola, ma la divinità istessa, acciò da quella come da modello, imitandolo, possiamo accostarci con l’animo e con l’eccellenzia dell’intelletto alle parti somme del cielo.
(…) Adunque mirabile e celeste fu Lionardo, nipote di ser Piero da Vinci[1], che veramente bonissimo zio e parente gli fu, nell’aiutarlo in giovanezza. E massime nella erudizione e principii delle lettere, nelle quali egli arebbe fatto profitto grande, se egli non fusse stato tanto vario et instabile. Percioché egli si mise a imparare molte cose e, cominciate, poi l’abbandonava. Ecco nell’abbaco egli in pochi mesi che e’ v’attese, fece tanto acquisto, che movendo di continuo dubbi e difficultà al maestro che gli insegnava, bene spesso lo confondeva. Dette alquanto d’opera alla musica, ma tosto si risolvé a imparare a sonare la lira, come quello che da la natura aveva spirito elevatissimo e pieno di leggiadria, onde sopra quella cantò divinamente allo improviso. Nondimeno, benché egli a sì varie cose attendesse, non lasciò mai il disegnare et il fare di rilievo, come cose che gli andavano a fantasia più d’alcun’altra.
Veduto questo Ser Piero, e considerato la elevazione di quello ingegno, preso un giorno alcuni de’ suoi disegni, gli portò ad Andrea del Verrocchio, che era molto amico suo, e lo pregò strettamente che gli dovesse dire se Lionardo, attendendo al disegno, farebbe alcun profitto. Stupì Andrea nel vedere il grandissimo principio di Lionardo, e confortò Ser Piero che lo facessi attendere, onde egli ordinò con Lionardo che e’ dovesse andare a bottega di Andrea. Il che Lionardo fece volentieri oltre a modo. E non solo esercitò una professione, ma tutte quelle ove il disegno si interveniva. Et avendo uno intelletto tanto divino e maraviglioso, che essendo bonissimo giometra, non solo operò nella scultura e nell’architettura, ma la professione sua volse che fosse la pittura.
565, p.547 (…) E tanti furono i suoi capricci, che filosofando de le cose naturali, attese a intendere la proprietà delle erbe, continuando et osservando il moto del cielo, il corso de la luna e gli andamenti del sole. Per il che fece ne l’animo un concetto sì eretico, che e’ non si accostava a qualsivoglia religione, stimando per avventura assai più lo esser filosofo che cristiano.
568-69, p.550 (…) Fece ancora in Milano ne’ frati di San Domenico a Santa Maria de le Grazie un Cenacolo, cosa bellissima e maravigliosa, et alle teste de gli Apostoli diede tanta maestà e bellezza, che quella del Cristo lasciò imperfetta, non pensando poterle dare quella divinità celeste, che a l’imagine di Cristo si richiede. La quale opera, rimanendo così per finita, è stata da i Milanesi tenuta del continuo in grandissima venerazione, e da gli altri forestieri ancora, atteso che Lionardo si imaginò e riuscigli di esprimere quel sospetto che era entrato negli Apostoli, di voler sapere chi tradiva il loro Maestro. Per il che si vede nel viso di tutti loro l’amore, la paura e lo sdegno, o ver il dolore, di non potere intendere lo animo di Cristo. La qual cosa non arreca minor maraviglia, che il conoscersi allo incontro l’ostinazione, l’odio e ‘l tradimento in Giuda, senza che ogni minima parte dell’opera mostra una incredibile diligenzia. Avvenga che insino nella tovaglia è contraffatto l’opera del tessuto, d’una maniera che la rensa stessa non mostra il vero meglio.
La nobiltà di questa pittura, sì per il componimento, sì per essere finita con una incomparabile diligenzia, fece venir voglia al Re di Francia di condurla nel regno, onde tentò per ogni via, se ci fossi stato architetti, che con travate di legnami e di ferri, l’avessino potuta armare di maniera, che ella si fosse condotta salva; senza considerare a spesa che vi si fusse potuta fare, tanto la desiderava. Ma l’esser fatta nel muro, fece che Sua Maestà se ne portò la voglia, et ella si rimase a’ Milanesi.
574-76, p. 555-56 (…) Finalmente venuto vecchio, stette molti mesi ammalato; e vedendosi vicino alla morte, disputando de le cose catoliche, ritornando nella via buona, si ridusse a la fede cristiana con molti pianti. Laonde confesso e contrito, se bene e’ non poteva reggersi in piedi, sostenendosi nelle braccia de’ suoi amici e servi, volse divotamente pigliare il Santissimo Sacramento fuor de ‘l letto. Sopraggiunseli il re che spesso et amorevolmente lo soleva visitare; per il che egli per riverenza rizzatosi a sedere sul letto, contando il mal suo e gli accidenti di quello mostrava tuttavia quanto avea offeso Dio e gli uomini del mondo, non avendo operato nell’arte come si conveniva. Onde gli venne un parossismo messaggero della morte. Per la qual cosa rizzatosi il re, e presoli la testa per aiutarlo e porgerli favore, acciò che il male lo alleggerisse, lo spirito suo, che divinissimo era, conoscendo non potere avere maggiore onore, spirò in braccio a quel re, nella età sua d’anni LXXV.
Dolse la perdita di Lionardo fuor di modo a tutti quegli che l’avevano conosciuto, perché mai non fu persona che tanto facesse onore alla pittura. Egli con lo splendor dell’aria sua, che bellissima era, rasserenava ogni animo mesto, e con le parole volgeva al sì et al no ogni indurata intenzione. Egli con le forze sue riteneva ogni violenta furia; e con la destra torceva un ferro d’una campanella di muraglia et un ferro di cavallo, come s’e’ fusse piombo. Con la liberalità sua raccoglieva e pasceva ogni amico povero e ricco, purché egli avesse ingegno e virtù. (…) Laonde per tante parti sue sì divine, ancora che molto più operasse con le parole che co’ fatti, il nome e la fama sua non si spegneranno già mai. Per il che fu detto in un suo epitaffio:
VINCE COSTVI PVR SOLO
TVTTI ALTRI; E VINCE FIDIA, E VINCE APELLE,
E TVTTO IL LOR VITTORIOSO STVOLO.
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[1] Leonardo nacque il 15 aprile 1452 nei pressi di Vinci, e morì ad Amboise (nel castello di Cloux) il 2 maggio 1519. Il suo nome compare per la prima volta nella portata al Catasto di Antonio Vinci, suo nonno, in data 1457: ivi figurava come «figliuolo non legittimo», e non nipote, di ser Piero.