Costumi dei Galli: i druidi – da Cesare, La guerra gallica, VI, 13-16
antologia storica a cura di Adriano Simoncini
Caio Giulio Cesare (Roma, 100 – 44 a.C.), quale che sia il giudizio morale o politico che si voglia dare della sua persona, è certo uno dei personaggi più famosi della storia mondiale. Condottiero militare mai sconfitto, conquistatore di sconfinati territori, fondatore dell’impero romano, ancora oggi il titolo di ‘cesare’ vale autorità suprema e assoluta. Un solo esempio: zar o czar deriva da Cesare. Qui tuttavia presentiamo lo storico e lo scrittore, lodatissimo ab antico per l’incisiva efficacia e la politezza dello stile. Uomo di cultura, Cesare volle scrivere di suo pugno la storia delle proprie imprese e ci ha lasciato La guerra gallica e La guerra civile. Dalla prima, che racconta la conquista romana della Gallia – l’attuale Francia – riportiamo la descrizione di una delle classi al potere in quella società, i druidi. Si constaterà che, escluso forse i sacrifici umani, molti di quei comportamenti sono giunti alle soglie del duemila anche presso di noi, che druidi non siamo. La traduzione, per l’editore Zanichelli, è di Giuseppe Lipparini.
In tutta la Gallia vi son due classi di persone tenuto in conto e onorate. La plebe è considerata come una massa di schiavi: nulla osa fare da sola e non prende parte alle riunioni… Ora, di quelle due classi una è quella dei druidi, l’altra quella dei cavalieri. I primi attendono al culto, regolano i sacrifizi pubblici e privati, si pronunziano in fatto di religione. Accorrono a loro i giovani in gran numero per imparare, e fra i Galli hanno uno straordinario prestigio. Sono essi che di regola decidono di tutte le controversie pubbliche e private; e se qualcuno si rende colpevole di un misfatto, se commette un omicidio, se vi è lite per una eredità o per una questione di confini, sono essi che decidono, che stabiliscono i pagamenti e le pene; e se accade che un privato o una tribù non si pieghi ai loro decreti, lo interdicono dai sacrifici, pena che fra loro è la più grave. Gli interdetti sono tenuti in concetto d’empi e di scellerati; tutti li sfuggono, schivano di avvicinarli e di parlare con essi, perché il loro contatto non porti male; e se anche lo chiedono, non si fa loro giustizia e non si concede loro alcun onore. A tutti questi druidi poi, presiede un solo che detiene fra essi l’autorità suprema. Morto lui, gli succede, se v’è, un altro che sia di tutti il più autorevole; e se sono in parecchi di pari grado, gareggiano per il primato coi voti dei druidi e talora anche con le armi.
In un dato periodo dell’anno siedono costoro in giudizio nella terra dei Carnùti, che è come il centro di tutta quanta la Gallia. Colà convengono d’ogni paese tutti coloro che hanno qualche controversia e obbediscono ai loro giudizi e ai loro decreti. La loro dottrina nacque – così si crede – in Britannia e di là fu trapiantata in Gallia; e anche ora chi vuol conoscer più a fondo questa materia, per lo più si reca in quell’isola per imparare.
I druidi non vanno di solito in guerra e non pagano come gli altri i tributi; godono della dispensa dalla milizia e dell’immunità da ogni gravezza. Attratti da sì grandi privilegi, molti di propria elezione si danna a quella scuola, o vi sono mandati dai genitori e dai congiunti. A quanto si dice, essi vi imparano a memoria una quantità di versi; e certuni rimangono a scuola per vent’anni. E non credono lecito affidare alla scrittura le loro dottrine, mentre in tutte le altre materie – rapporti pubblici e privati – fanno uso dell’alfabeto greco. Questo divieto dipende, secondo me, da due ragioni, che non vogliono diffondere la loro scienza fra il volgo, e che temono che i discepoli, fidandosi nella scrittura, diano meno importanza alla memoria… Fra i loro insegnamenti il primo è che l’anima non può morire, ma che dopo la morte passa da un corpo a un altro; e con ciò pensano di esaltare al massimo il valore, perché non si teme la morte. E trattano pure molte altre dottrine: degli astri e delle loro rivoluzioni; della grandezza del mondo e della terra; della natura; della forza e del potere degli dèi; e le tramandano ai giovani.
La seconda classe è quella dei cavalieri. Costoro, quando ve n’è bisogno o quando capita qualche guerra (il che prima dell’arrivo di Cesare soleva accadere quasi ogni anno, o che essi per primi venissero all’offensiva, o che respingessero l’offensiva altrui) tutti vi prendono parte; e quanto più sono ragguardevoli per nascita e per ricchezze, tanto più hanno attorno a sé famigli e clienti. Questa è la sola forma di credito e di potenza ch’essi conoscano.
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Tutta la nazione gallica è oltremodo dedita alle pratiche religiose; e però coloro che sono affetti da gravi malattie, e coloro che si trovano fra i rischi delle battaglie, offrono vittime umane o fanno voto d’immolarne. Per questi sacrifici si servono come esecutori dei druidi, giacché credono che se non si paghi la vita di un uomo con la vita di un uomo, non possa placarsi la maestà dei numi immortali; tanto che hanno istruito anche pubblici sacrifici della stessa specie.
Altri hanno fantocci di straordinaria grandezza, le cui membra intessute di vimini essi riempiono di uomini vivi: li incendiano, e creature umane vi periscono in mezzo alle fiamme. Più grato agli dèi immortali essi pensano che sia il supplizio di coloro che son colti in atto di commettere furti o ladrocini o altri misfatti; ma quando gente di tal fatta non basta, si riducono a suppliziare anche gli innocenti.
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I Galli si dicono tutti originati dal padre Dite; questo è, dicono, l’insegnamento dei druidi. Perciò essi computano il tempo non a giorni, ma a notti… Negli altri usi della vita, si portano presso a poco come gli altri, questo eccettuato, che i loro figlioli, finché non siano in età da poter compiere il servizio militare, non li vogliono in pubblico in loro compagnia. E se un figlio ancora bambino compare in pubblico alla presenza del padre, dicon che ciò è contrario al decoro.
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I mariti, quando ricevono la somma che la moglie porta loro in dote, fanno fare la stima e mettono in comunione con la dote una somma uguale tratta dai loro beni. L’insieme di questo capitale si amministra in comune… Sulle mogli, come sui figli, gli uomini hanno diritto di vita e di morte; e quando un padre di famiglia di nobile stirpe viene a morire, i suoi congiunti s’adunano, e, se la sua morte è sospetta, fanno un’inchiesta contro le mogli come si fa con gli schiavi; e se resta provato, le fanno morire sul rogo e fra mille torture… I funerali sono magnifici e suntuosi; tutto ciò che suppongono caro al cuore del vivo, lo danno alle fiamme, perfino gli animali; e, fino a poco tempo fa, i servi e i clienti che si sapevano i prediletti dei defunto, venivano ritualmente cremati con lui.