L’orso si tinge di verde
di Roberto Ferretti
La prima scena del film sulla banda Baader Meinhof era una ricostruzione, nei primi anni ’70, delle contestazioni giovanili contro la visita in Germania dello Scià di Persia. Questo a dimostrazione di come l’opinione pubblica tedesca sia sempre stata attenta alle vicissitudini della politica in Iran. Seguito con interesse in tutto il Mondo il movimento verde degli studenti e degli intellettuali in Iran, a quarant’anni di distanza, nel 2009 torna in piazza contro il regime di Ahmadinejad. Probabilmente, sull’onda di quelle contestazioni represse con la forza ma non completamente spente, ha tratto forza la voglia di ribellione che, in queste ultime settimane, ha investito i paesi del Nord Africa: Tunisia Egitto Libia, proprio mentre scriviamo. La condizione di restrizione della libertà personale, alla quale è sottoposto, Jafar Panahi, ha colpito la sensibilità del mondo cinematografico internazionale.
Il Presidente della Berlinale, Dieter Kosslick, per la 61’ edizione ha riservato, nella sezione ufficiale al regista Iraniano, una proiezione del film da egli diretto “Offside”, conferendogli inoltre il ruolo di membro assente della giuria presieduta da Isabella Rossellini. Rivolgendosi a lei, in un buon italiano, il regista Iraniano Asghar Farhadi, ritirando l’Orso d’Oro, per il film “Nader and Simin, ( A separation)”, ha citato una frase del padre Roberto: “E’ nei momenti più difficili che un regista dà il meglio di sé”. Il cast femminile al completo e il protagonista maschile del film vincitore sono stati insigniti, inoltre, degli orsi d’argento per le migliori interpretazioni. Non si pensi, teniamo a precisare, che il premio sia stato influenzato dall’onda emotiva che in questi giorni investiva tutto l’ambiente festivaliero. Il film di Farhadi, già vincitore nel 2009 dell’Orso d’argento per la miglior regia col film “About Elly”, è sicuramente uno dei lavori più applauditi degli ultimi anni, girato e recitato in modo superbo. Nader e Simin sono marito e moglie. Avevano progettato assieme di lasciare il paese, ma ora si stanno separando perché il marito, per via della malattia che ha colpito il padre, non vuole più partire. La storia prende una piega da dramma contemporaneo, quando è costretto ad assumere una badante per seguire l’anziano genitore colpito da Alzheimer. Attraverso la descrizione della vita dei protagonisti, il regista iraniano, traccia uno spaccato della società moderna nel suo paese, divisa tra tradizione e modernità, lacerato dalla voglia di rimanere e quella di partire.
La famiglia contemporanea, nella gestione e cura dei propri anziani, si vede sempre più costretta ad affidarsi alla figura della badante. Una particella destabilizzante in seno all’equilibrio della famiglia, che inevitabilmente accende la fantasia di chi scrive storie per il cinema.
Fernando Leon De Aranoa è un regista che seguiamo con interesse sin dai tempi dei bellissimi: “I lunedì al Sole” e “Princesas”. Ancora giovane, attento alle tematiche sociali, con questi due lavori conquistò pubblico e critica arrivando diritto al cuore dello spettatore, con lo strumento della delicatezza e della poesia. A Berlino si è presentato con la sua ultima fatica “Amador“ nella sezione “Panorama”. Applauditissimo, al termine della proiezione il cineasta Spagnolo ha dichiarato di essersi ispirato alla guerra civile quando, combattenti da tutte le parti del mondo, giungevano in qualche modo in territorio Iberico per difendere l’indipendenza del popolo Spagnolo. De Aranoa ha voluto rendere con questo film un omaggio al fotografo americano Frank Capa. Ambientato in Spagna, come tutti i suoi lavori precedenti, in questa pellicola la protagonista è una giovane donna (la bravissima Magaly Solier vincitrice dell’Orso d’oro nel 2009 miglior film e miglior attrice con “Il canto di Paloma”) immigrata da un paese del Sudamerica, assieme al marito, sbarca il lunario col mercato abusivo dei fiori, venduti per strada da altri immigrati per lo più Africani. Un lavoro, temporaneo, come badante di un vecchio (Amador per l’appunto) sì infermo ma lucido e arzillo, è un’occasione alla quale non può rinunciare, i giorni più caldi dell’anno sono in arrivo, i fiori devono rimanere al fresco e le rate del frigorifero sono da pagare.
Era qualche anno che, il regista tedesco Wim Wenders, sulle orme del suo connazionale, Werner Herzog, dichiarava di intravedere solo nel documentario la strada da percorrere. A Berlino Wenders ha presentato nella sezione principale (ma fuori concorso) il lungometraggio “Pina”. Un progetto che il cineasta doveva portare avanti in collaborazione con Pina Bausch. Ma la prematura scomparsa della coreografa tedesca ha costretto Wenders a rivedere molte cose, trasformando il film in un tributo all’amica. Pina ha incarnato il concetto di danza contemporanea a livello mondiale. Fondatrice del Tanztheater di Wuppertal, la sua città natale, la Bausch ha ottenuto riconoscimenti ovunque nel mondo, divenendo autentica icona. Con l’ausilio del 3D Wenders ha saputo ricreare un vero e proprio incanto per gli occhi, una completa immersione nel mondo della coreografa, attraverso la riproposizione degli spettacoli più famosi della Bausch: da Vallmond , a Cafè Muller passando per Kontakhof. Un viaggio denso di emozioni, impersonato dai vecchi e nuovi artisti che con lei hanno danzato nel corso degli anni, in grado di commuovere anche coloro che si avvicinano a questo mondo per la prima volta. Quest’anno la Berlinale ha deciso di battere una strada all’insegna di una maggiore leggerezza e a dimostrazione di questo, fuori concorso ma sempre in Wettbewerb, ha presentato un film di quelli che noi definiamo furbetti, ma indispensabili per rendere più gradevole un festival che a volte assume, suo malgrado, toni insopportabilmente pedanti. “Almanya-Willkommen in Deutschland” del regista Yasemin Samdereli è un film molto divertente accolto da applausi e fragorose risate dal pubblico tedesco in sala. Attraverso un arco di tre generazioni, racconta la storia di una famiglia moderna turca. Si snoda tra gli anni ’60, quando il boom economico in Germania aveva un disperato bisogno mano d’opera straniera, e i giorni nostri. Il nonno, immigrato da un piccolo paesino dell’Anatolia per lavorare nelle fabbriche tedesche, ottiene il ricongiungimento della famiglia. Esilarante il punto di vista dei turchi e il loro modo di vedere la Germania e il popolo tedesco. Ed è interessante il passaggio da una prima generazione, che non vuole partire per un paese cristiano, freddo con una cultura completamente diversa dalla loro, all’ultima che, a distanza di 40 anni completamente integrata, non riconosce più le proprie origini risultando addirittura restia dinnanzi all’esigenza di compiere un viaggio inatteso, in senso inverso.