Come vi raccontiamo il nostro Risorgimento. Lontani dalla retorica e dagli eroi
di Fabrizio Simoncini
Chi mai si sarebbe aspettato, non dico un anno fa ma addirittura qualche mese addietro, che l’anniversario della nascita dell’Unità d’Italia fosse sentito con tanta partecipazione? E per sentito intendo così sinceramente discusso a tutti i livelli sia popolare che politico.
Il 17 marzo, giorno della celebrazione ufficiale, sono andati in onda da un lato gli schietti applausi al Presidente Napolitano e dall’altro le fragorose bordate di fischi al Ministro La Russa, per non parlare delle offese lanciate alla nostra macchietta da Governo Silvio Berlusconi. Episodi che hanno lanciato, inequivoci, il segnale di una frattura, probabilmente insanabile, tra i cittadini e questa classe politica che guida l’Italia.
È come se, uniti nel riconoscersi in un recente percorso storico seppur travagliato, molti degli italiani, di ogni fede politica, abbiano provato un forte fastidio nel vedersi rappresentati da personaggi di tal fatta. L’emozione suscitata dalla breve ma intensa rievocazione dedicata da Roberto Benigni durante il Festival di Sanremo all’inno d’Italia scritto da Mameli, per il martirio di migliaia di ragazzi che andarono a morire giovanissimi per l’idea di un’Italia unita, ha fatto sì che lo stridore, fra figure quasi mitiche come quella dello stesso Mameli (morto a vent’anni sulle barricate nel tentativo di difendere la Repubblica romana, dopo aver cacciato la cricca pontificia, e dato un governo democratico a quella che sarà la capitale dell’Italia) e i vari Cota, La Russa e Berlusconi, divenisse insopportabile anche agli occhi più assuefatti al gusto dell’orrido.
Personalmente non sono mai stato nazionalista. Come insegnano insigni storici da Eric J. Hobsbawm ad Alberto Mario Banti il concetto di nazione è una pura e assoluta invenzione venuta lentamente sedimentandosi a partire dagli inizi del XVII secolo per culminare nella Rivoluzione francese. A ciò non fa certo eccezione l’Italia che, come scrive il professor Roberto Martucci, nel giro di soli venti mesi, una realtà che era stata per almeno quattordici secoli pluristatale e policentrica, si ritrovò unitaria e accentrata. Le conseguenze si sono viste e le possiamo cogliere quotidianamente in ogni dibattito politico o nel manifesto del più forte partito del settentrione italiano, la Lega Nord, che da sempre parla senza pudore di secessione. Questi temi il “maggio filosofico”, giunto alla XVII edizione, andrà a dipanare con la sfrontatezza e il rigore che l’hanno sempre contraddistinto, lontano da ogni celebrazione o retorica sul Risorgimento.
La questione meridionale è uno dei nodi centrali fra i problemi irrisolti di un’Italia frammentata e recidiva a ogni forma di normalizzazione su standard europei. Proprio il professor Martucci nella serata del 19 maggio si occuperà di questo scottante tema andando a svelare la drammatica “conquista” che, fuori da ogni epopea risorgimentale, fece delle terre del Sud un vero Vietnam con migliaia di morti fra brigantaggio, tentativi di normalizzazione sabauda e violenza sulla popolazione civile.
La rassegna di incontri si aprirà, giovedì 5 maggio, con il professor Barnaba Maj che cercherà di raccontarci come l’Italia è stata vista, sentita e pensata da illustri intellettuali italiani ma non solo. Maj sarà accompagnato da un redattore della nota rivista di geopolitica Limes che presenterà, sulla base di un concorso bandito dalla rivista stessa, come gli italiani hanno disegnato l’Italia. Non poteva mancare il tema economico e non poteva non trattarlo l’ormai “stella” del maggio filosofico professor Giorgio Gattei, che, con l’immancabile sua forza comunicativa, declinerà il tema delle reali ragioni socio-economiche che spinsero la nascente borghesia italiana a propendere per uno Stato unitario a fronte di una ormai onerosa frammentazione sia di confini che di politiche. L’avvincente e al contempo tragico racconto dell’inizio delle contrapposizioni fra il potere economico, alleato ai grandi proprietari terrieri, e le nascenti rivendicazioni della classe operaia e bracciantile. Infine nella serata di chiusura del 26 maggio verrà affrontato dalla ricercatrice Mariella Paiano l’altro nodo chiave della storia italiana: il rapporto fra Stato e Chiesa, dallo scontro risorgimentale alla pacificazione fascista.
Ci sentiamo, in ultima istanza, di ringraziare l’Amministrazione e gli addetti alla cultura del Comune di Pianoro che ci hanno dato la possibilità, e il sostegno materiale, per organizzare questo evento: la narrazione di un Risorgimento senza la retorica degli eroi ma con il piglio della critica e dell’approfondimento mai scontato.