La Penelope dell’Ulysses di Joyce, da “Vite intrecciate di due ammazzauomini”*
di Genny Arrabito
«La piccola Irlanda… carina, poco colta e non molto fine»: un giudizio scarno ma sentenzioso, un misto di paterna tenerezza e velato disprezzo. Con queste parole uno dei più celebri biografi di Joyce, Richard Ellmann, coglie l’essenza della personalità di Nora Barnacle, la compagna di una vita del celebre scrittore irlandese. Ma queste sono parole che potrebbero adattarsi anche al personaggio di Molly Bloom, forse una delle figure femminili più famose create dalla letteratura novecentesca.
Chi era Molly Bloom? Ebbene, Molly era una donna straordinaria! ma sorge spontaneamente una domanda: ha qualche caratteristica che ci permetta di definirla tale? La risposta è semplicemente no! Molly non ha la benché minima particolarità. Non è una donna particolarmente istruita (basti pensare al momento in cui chiede al marito il significato della parola metempsicosi storpiandone anche la pronuncia. Tra l’altro «ironicamente Joyce attribuisce proprio al personaggio più “innocente” culturalmente la domanda che investe i più profondi significati esoterici di Ulysses»[1]), né particolarmente coraggiosa, né particolarmente bella (è una bruna formosa che ha passato la trentina e comincia a ingrassare; nonostante questo rimane ancora estremamente seducente per Bloom). È una donna normale che vive la propria realtà con semplicità, dando sfogo a tutti i suoi pensieri, anche a quelli più intimi e reconditi che nessuno si sognerebbe mai di svelare. Il suo personaggio ricade e si inserisce in quella banalità che Joyce per primo ci ha fatto conoscere nella letteratura (come sostiene Ezra Pound).
Molly, che a Dublino è una cantante d’opera di una certa fama, nasce a Gibilterra nel 1870, figlia di Major Tweedy e di Lunita Laredo. Andata in sposa a Leopold nel 1888, è la madre di Milly Bloom, che va a vivere fuori casa a quindici anni per studiare fotografia, e di Rudy Bloom, morto undici anni prima, undici giorni dopo la nascita. Due figli dunque, tanti quanti ne ebbe realmente l’ispiratrice del personaggio, nonché compagna di Joyce e madre di Lucia e Giorgio, Nora Barnacle.
Anche se alcuni critici ritengono che un altro possibile modello di Joyce per il personaggio di Molly sia stata Amalia Popper, una delle sue studentesse ai tempi in cui insegnava inglese a Trieste, sembra incontrovertibile l’ipotesi che la musa del Nostro sia stata proprio la Barnacle. Nora ha fatto dunque da modella alla Gretta di The Dead (Gretta, come Nora è originaria di Galway, cittadina irlandese; e Nora, come Gretta, aveva vissuto una storia d’amore con un giovane di nome Michael Bodkin, anche lui ammalatosi di tubercolosi, anche lui morto pochi giorni dopo aver cantato una triste canzone d’addio all’amata. E di certo non è nemmeno casuale la corrispondenza onomastica tra i due giovani amanti). Nora ha ispirato anche la Anna Livia Plurabelle di Finnegans Wake (che rappresenta l’apoteosi dell’eterno femminino) e naturalmente, come già detto, anche Molly Bloom.
Tra la donna reale e il personaggio corre una profonda differenza: in Nora, se da un lato manca quella sorta di volgarità istintiva insita nel personaggio, dall’altro traspare una personalità ambigua e velata da una coltre, non più tanto sottile, di mistero. Questo mistero, questa irraggiungibilità, questa inafferrabilità hanno fatto dannare Joyce e lo hanno spinto a ricreare il personaggio di Nora nelle sue opere. In un punto sembra convergere l’essenza delle due donne, e cioè nella consapevolezza della loro prorompente femminilità, nel piacere che provano a farsi guardare dagli uomini e a stuzzicarli (ma senza dare troppo nell’occhio), nel rendersi conto dell’effetto che hanno su di loro: una saggezza vecchia come il mondo. «Il moderno e rivoluzionario Joyce dunque si era scelto una donna “antica”!»[2]
«Nora ha un merito indiscutibile: traccia il profilo di una donna a suo modo eccezionale e richiama l’attenzione su un risvolto curioso: perché Joyce rimase per tutta la vita legato a una donna che non lesse mai i suoi libri e che, se fosse dipeso da lei, lo avrebbe spinto più verso la carriera del tenore che verso quella dello scrittore»[3]. Joyce, assiduo frequentatore di bordelli, confessò di essersi sentito subito incatenato da quella donna che, per prima, gli si era concessa liberamente e gratuitamente[4]. Il loro primo incontro fu infatti un po’ fuori dagli schemi: si dice che la ragazza, forse in cerca di avventure a sfondo erotico, non esitò a condurlo, di propria iniziativa, in un luogo neanche troppo appartato e ad avere con lui un rapporto sessuale.
Emblematico il titolo della prima vera biografia della Barnacle: Nora: The Real Life of Molly Bloom, uscita negli USA dalla penna della coraggiosissima Brenda Maddox nel 1988. Da questo interessantissimo prodotto editoriale Pat Murphy nel 2000 ha tratto un film, Nora, con Susan Lynch e Ewan McGregor.
La Maddox invece si è avvalsa di molte fonti inedite: lettere della collezione Joyce alla Cornell University, lettere di Harriet Weaver (la mecenate americana che per lungo tempo permise allo scrittore irlandese di vivere dispendiosamente a Parigi) conservate nella British Library e lettere di Nora stessa, oltre a quelle scritte al marito. Ed è tra queste che si trova la vera matrice di Molly Bloom.
Nora non ha soltanto partecipato a questo scambio epistolare che, come diremo fra poco, può essere definito pornografico, ma pare addirittura aver preceduto il marito nell’audacia delle iniziative. Purtroppo alcune lettere della donna sono sparite (definitivamente?) dalla circolazione ma sappiamo che in queste lettere coniò un nomignolo affettuoso per il compagno, lo chiamava Jim (e questo non può non farci pensare al vezzeggiativo Poldy con cui Molly si rivolge al marito. Tra l’altro questa è la prima parola pronunciata da Molly nel romanzo); lui le si rivolgeva con gli appellativi più bizzarri ed erotici (monachina mia, piccola madre, cara mia piccola sporcacciona).
Oltre che dalle lettere della bella Nora molte notizie sulle stranezze di Joyce si ricavano da quelle che lui mandava alla compagna. Si tratta di lettere dal contenuto scabroso, tanto da essere note tra gli studiosi di Joyce come le Dirty Letters (‘le lettere sporche’); pare che Joyce le scrisse quando, dopo la fuga dalla nativa Irlanda, si recò nuovamente a Dublino per la penultima volta nel 1909, e pare che contribuirono enormemente al soliloquio di Molly Bloom[5]. Nella lettera del 6 agosto 1909 Joyce accusa Nora di averlo tradito con Vincent Cosgrave, ma si sa per certo che la donna le fu sempre fedelissima e che lo amò per trentasette anni; in quella del giorno seguente le chiede addirittura se Giorgio fosse realmente suo figlio.
Pare che Joyce si sia successivamente liberato dalle ossessioni di tradimento della moglie tanto da aver composto una lirica (Ella piange su Rahoon), dopo un viaggio in Irlanda con la moglie (1912) e dopo aver visitato la tomba del primo amore di Nora. La poesia esprime la visione dello scrittore della relazione che si era stabilita nella mente di Nora tra il marito vivente e il primo amore ormai morto:
La pioggia su Rahoon soffice cade, sofficemente cadendo,
dove il mio scuro amatore giace.
Triste la sua voce che mi chiama, tristemente chiamando,
alla grigia alba di luna.
Amore, ascolta,
come lieve, come triste la sua voce sempre chiama,
senza risposta mai, e la oscura pioggia che cade,
allora come ora.
Oscuri i nostri cuori pure, o amore, e freddi giaceranno,
come triste il suo cuore giacque
sotto le ortiche grige di luna, il nero terriccio
e la pioggia che sussurra.
Nella lettera del 5 settembre lo scrittore dice alla moglie: «O che io possa nascondermi nel tuo seno come un bambino nato dalla tua carne e dal tuo sangue, esser nutrito dal tuo sangue, dormire nella calda oscurità nascosta del tuo corpo», a riprova di una bramatissima osmosi tra il suo corpo e quello della compagna.
Il 24 dicembre invece, a testimonianza di una sorta di complesso di inferiorità o inadeguatezza nutrito dallo scrittore nei confronti di questa sua “moglie-dominatrice”, scrive: «Come mai che non riesco a sedurti con le mie stupende capacità così come riesco a fare con l’altra gente?».
La parte della corrispondenza di Joyce fu pubblicata nel 1976; ne trascriviamo qualche breve frammento, precisando inoltre che una di queste lettere (che non riportiamo per ovvie ragioni di decenza), datata 1 dicembre 1909 è stata venduta nel 2004 all’asta da Sotheby’s e acquistata da un privato per 350 mila euro!
7 settembre 1909
Nora amore mio, voglio che tu rilegga tutto quello che ti ho vergato. Certe cose sono sgraziate, oscene e bestiali, altre pure e sacre e spirituali: ma sono tutte cose mie. Ora penso che tu sappia ciò che provo per te. Non litigheremo più, vero amore? Terrai sempre acceso il mio amore. Stasera sono spossato, mia cara, e vorrei dormire tra le tue braccia, senza farti niente, solo dormire, dormire, dormire abbracciato a te. Spero che tu prenda della cioccolata ogni giorno e che il tuo piccolo corpo, o meglio certe parti del tuo corpo, siano più rotonde. Mi viene da ridere, ora, a pensare ai seni meschini che hai. Sei una persona divertente, Nora! Ricordati che hai già ventiquattro anni e che il tuo primogenito ne ha quattro. Accidenti Nora, devi smettere di essere una ragazzina impertinente e diventare la donna piena d’amore che sei. E tuttavia, che tenerezza mi prende a pensare alle tue gracili spalle, alle tue fattezze da bambina. Che piccola canaglietta sei!
3 dicembre 1909
Cara monachina mia… come ben sai, non uso mai un linguaggio osceno quando parlo. Ma per qualche ragione, tu mi trasformi in una bestia. Sei stata tu, tu piccola svergognata, a cominciare. Non fui io il primo, quel lontano giorno a Ringsend. Dio mio, che razza di cose scrivo alla mia regina… Ti amo, Nora, e anche questo fa parte del mio amore. Perdonami! Perdonami!
13 dicembre 1909
Sono il tuo bambino, come ti ho detto, e tu devi essere severa con me, piccola madre. Puniscimi quanto vuoi. Sarei pazzo di gioia a sentirmi la pelle infuocata sotto le tue mani. Capisci, Nora cara? Vorrei che tu mi picchiassi, frustassi perfino. E non per gioco, cara, ma sul serio e sulla carne nuda. Vorrei che tu fossi forte, amore! Ho cominciato questa lettera così tranquillamente, e devo finirla al mio solito modo folle. Spero tanto che anche tu scriva lettere così sconce e pazzesche.
Sono lettere dai termini fortemente realistici, così crudi da superare quelli di Sade e da essere classificate da Romano Giachetti sull’Espresso come «disarmanti, facilmente definibili (senza riguardo per le intenzioni) oscene o pornografiche o semplicemente volgari». A dire il vero nasce pure il dubbio che Joyce vivesse in queste lettere come un suo personaggio, cioè che esse siano state non pensate ma “create” dall’autore e che quindi non siano rivelatrici dal punto di vista fisologico, psicologico o psicanalitico ma rispecchino un negativo della sua rappresentazione fantastica.
Abbiamo parlato di lettere… Ebbene come fare a non pensare alla posta che, nel IV episodio dell’Ulisse, Leopold trova a terra quella mattina; una lettera cattura in particolare la sua attenzione, quella per Molly. Conosce già il mittente: è Blazes Boylan, il suo infido rivale, “l’usurpatore”, l’ultimo amante della moglie; e forse conosce già il contenuto, non certo innocente: sa che Molly riceverà Boylan e, di sicuro, non sarà un incontro di lavoro, come vorrà poi far credere la donna, la quale si tradisce nascondendo in gran fretta la missiva sotto il cuscino. Nonostante sia cosciente di tutto questo, Leopold ostenta una finta noncuranza, una calma e un controllo fuori dal comune; non resiste però alla tentazione di chiedere alla moglie chi le avesse mandato la lettera:
Due lettere e una cartolina erano per terra nell’anticamera. Si chinò a raccattarle. Mrs Marion Bloom. Il cuore veloce rallentò di colpo. Scrittura decisa. Mrs Marion.
– Poldy! Entrando in camera socchiuse gli occhi e si diresse verso la testa scarruffata attraverso la calda penombra gialla.
– Per chi sono le lettere? Le guardò. Mullingar. Milly.
–Una lettera di Milly per me, disse circospetto, e una cartolina per te. E una lettera per te. Posò la lettera e la cartolina per lei sul copriletto a diagonale vicino alla curva delle sue ginocchia. … la vide con la coda dell’occhio sbirciare la lettera e infilarla sotto il guanciale. …un pezzetto di busta lacera faceva capolino da sotto il guanciale affossato. Sulle mosse per uscire egli si arrestò un momento per assestare il copriletto.
–Di chi era la lettera? chiese.
Scrittura decisa. Marion.
–Ah, di Boylan, disse lei. Viene a portarmi il programma.
Approfittando dello spunto offertomi dalla lettura del saggio di Francesco Gozzi[6], concluderei con una nota di carattere onomastico sul personaggio di Molly, personaggio che io definirei triadico perché nasce dalla sintesi di tre icone femminili: Calypso (Molly è originaria di Gibilterra, il cui nome antico, Kalpe, deriva appunto da Calypso), Penelope (il nome del padre, Tweedy, ricorda quello di un tessuto, il tweed, quindi il rimando è alla tela di Penelope) e Maria Vergine (il suo nome di battesimo è Marion). «In un senso ironico, ma non solo ironico, ella è pertanto di volta in volta identificata con l’affascinante ninfa Calipso, con la fedelissima Penelope, con la Vergine senza macchia»[7]
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* L’ammazzauomini è il titolo del secondo capitolo della versione italiana della prima biografia di Nora Barnacle.
[1] F. Gozzi, Fuori del labirinto. Appunti per uno studio sull’Ulisse di Joyce (capp. 1– 6), ETS EDITRICE, Pisa,
1987.
[2] Sono le parole di Romano Giachetti in un articolo del 16 luglio 1988 (Nora e Molly) uscito su La Repubblica.
[3] Ivi.
[4] Muriel Drazien nel 2006, in occasione delle Giornate di Studio organizzate dall’Association Lacanienne
Internazionale “Desiderio di uomo e desiderio di donna, che dirne?” (Milano, 17-18 settembre 2005), intitolò il suo
articolo Nora calzava a Jim come un guanto, a significare come tra i due vi fosse una sorta di rapporto osmotico in cui l’uno sentiva il proprio corpo solo attraverso la pelle dell’altro, come se fossero due membrane incollate
insieme. E il corpo di Nora calzava a Joyce come un guanto, compreso di bottone.
[5] Lo afferma Gaia Servadio in un articolo intitolato Misteri di Dublino: dove sono le lettere audaci di Nora Joyce? e
pubblicato sul Corriere della Sera il 10 aprile 1992.
[6] F. Gozzi, opera cit.
[7] F. Gozzi, opera cit., p. 68.