Il vento (di guerra) nei capelli
di Piero Angelini
L’attacco missilistico sulla Siria, deciso in autistica autonomia dal presidente americano dovrebbe rappresentare – nella contorta ma decifrabile strategia americana (con un Bannon chief strategist sacrificato ancor prima di far partire i razzi) – un modo drammatico di tranquillizzare i critici di Trump.
Donald Trump sembra convinto che dopo un cambio così radical-schiz nella politica estera, avrà le mani libere per aggiustare il Paese secondo i piani annunciati nella campagna elettorale. Una sorta di concessione all’estero per essere forte in patria e sfuggire all’impeachment sul russiangate che lo aspetta dietro l’angolo.
Nell’accettare il diktat dei neocon vi è inoltre – a traino di quello – l’obbligo doloroso di tentare di umiliare la Russia, ridurla alla ragione e decidersi a scaricare Assad, unico alleato che Putin ha in Medio Oriente. Da qui il G7 di Lucca (a pochi metri dalla casa dove visse la sorella di Napoleone) che gioca a dividersi nel fare poliziotto buono/poliziotto cattivo e il viaggio a Mosca di Mattarella (poliziotto buono) poche ora prima di quello di Tillerson (poliziotto cattivo): tutti tesi a rabbonire o minacciare il burbero enigmatico judoka che finora le ha suonate a tutti.
La frastornata amministrazione Trump pare resti convinta che Mosca – di fronte a un tale binomio di muscoli e diplomazia – cercherebbe il dialogo con Washington piuttosto che rispondere con reazioni sconsiderate.
Allo stesso tempo Washington aggiunge altre finalità alla sua demarche: per prima cosa infonde agli alleati regionali una nuova e rinnovata fiducia sul fatto che nonostante la miserabile sconfitta in Siria, gli USA continueranno a sostenere le monarchie sunnite e Israele nei loro progetti di egemonia nel M.O. specie contro l’Iran, sempre più radicato in Siria e sostenitore di Hezbolla e Yemen. Gli anni di Obama hanno corroso la fiducia di questi importanti alleati in M.O. e la distruzione dei sei aeroplani nella base di Shayrat ha sollevato il morale dei sauditi e persino dello stesso Bibi (anche se per eccitare quest’ultimo ci vorrebbe ben altro).
Allo stesso tempo – seconda finalità recondita – con l’attacco alla Siria si comunica al mondo arabo recentemente orientato verso la Russia (Egitto, Libia, Irak) che lo zio Sam è tornato e presto anche Mosca – che ha profittato dell’ignavia imbelle di Obama – dovrà chinare il capo di fronte al massimo fattor, vale a dire la potenza militare dello stato indispensabile.
Infine – terza e quarta finalità – si fa sapere ad Ankara che non è più tempo di doppi e tripli giuochi con la Nato e al tiranno di Damasco di cambiar giaciglio ogni notte perché la sveglia potrebbe essere rumorosa, come un rombo di Tomahawk.
Il programma presidenziale USA per i prossimi anni è stato presentato ieri l’altro da Kegan (marito della Victoria –fuck-the-EU-Nuland) sulle colonne del W.P.: nuove guerre, nuovi stati nel mirino, insomma una nuova rivisitata edizione del Nuovo Secolo Americano di bushiana memoria.
Alla faccia della coerenza con quanto annunciato in campagna elettorale (disimpegno in MO, distensione con la Russia, rispetto degli stati-nazione, etc..) diranno i più attenti..
Le ragioni di una tale sterzata a sinistra (sinistra perché di colpo Trump è diventato un trozkista internazionalista in politica estera) non sono però in alcun modo collegate alla Russia o all’Iran. Neppure Donald può nulla contro il destino: l’epoca del mondo unipolare è finito e in qualche modo qualunque presidente non può che agire in questo modo, se ci tiene alle palle.
Con queste mosse, dominate da un’angoscia rabbiosa da basso impero e sotto al peso di 20 triliardi di debiti, cosa dovrebbe fare il poveretto? Senza quella presunta potenza militare che quel debito gli ha garantito per quasi ottant’anni, cosa sarebbero oggi gli USA? Il nulla fallito, nel mezzo del nulla geografico. Con queste mosse scomposte dunque gli USA riconoscono la loro agonia: la potenza economica mondiale è nelle mani della Cina e quella politico-militare nelle mani della Russia. Il dollaro è vivo e vegeto solo perché questi due colossi euroasiatici ancora lo permettono. Il tentativo di prevalere nel Grande Gioco (ove gli USA subentrarono sul far del secolo scorso al declinante Impero Britannico) sta portando gli USA dritti verso l’abisso, fatte salve alcune rendite di posizione a breve termine ma che non cambieranno l’esito della partita.
Ora Tillerson è a Mosca ad alzare la voce perché – ne è convinto Trump – coi russi si deve negoziare da una posizione di forza. Né lui, né il vecchio Obama hanno però capito una cosa fondamentale tanto raccomandata da SunTsu (soprattutto valida per la Russia, potenza orientale): conosci il tuo nemico, prima di affrontarlo.
In Russia, il bombardamento americano in Siria è stato preso molto sul serio. La sera del 7 aprile il corrispondente di Guerra del canale Rossiya 1, Yevgeny Poddubny ha presentato un reportage da lui stesso realizzato alla base di Shayrat, poche ore dopo il raid missilistico americano. La pista era intatta e resa operativa nel giro di 24 ore, come intatti erano la maggior parte degli hangar. Sei vecchi MIG23 e un paio di casematte erano state danneggiate, alcuni civili e militari uccisi. Poddubny notava che all’apparenza non uno dei supposti Tomahawk avesse colpito il bersaglio. Più tardi la figura è stata aggiornata a 23 missili su 59 risultati pervenuti alla base. Sui missili dispersi si sono sentite interessanti congetture.
La reazione russa era però immediata e grave (e non riportata dai nostri mass-media): Il Ministero degli Affari Esteri annunciava la sospensione immediata del Memorandum del 2015 siglato con gli USA sulla de-escalation militare. Questo accordo aveva consentito la formazione di un canale di comunicazione diretto fra Russia e USA sulla regione mediorentale e regole di condotta mirate a prevenire o evitare incidenti fra la Russia e la coalizione a guida USA in Siria. Da quel momento, la Russia non mette più a parte gli USA della presenza delle sue truppe nella regione e gli USA, da parte loro e per ovvie ragioni, hanno praticamente smesso di volare sulla Syria.
Ora Tillerson è a Mosca con il suo ultimatum: o con noi o contro di noi (ritornello tanto caro a Bush padre e figlio). Nessun analista nel frattempo, di nessuna testata giornalistica del mondo si fa semplici domande: perché Assad avrebbe dovuto usare armi chimiche contro una piccola città che non rappresenta alcun pericolo? Sta vincendo la guerra, solo pochi giorni fa il presidente USA aveva dichiarato che la sua estromissione non era più una priorità, l’ONU ha da tempo certificato che Assad e il suo esercito non sono in possesso di armi chimiche, in seguito al negoziato promosso dalla Russia nel 2013. A chi giova dunque un tale disastro? Cui prodest? A McCain forse, ma di certo non ad Assad. La spiegazione dei politici e analisti occidentali è da manuale: Assad è un tiranno, un depravato e – per dirla con Trump – un animale. La Russia ha proposto una commissione internazionale a guida ONU per indagare su chi siano i colpevoli e cosa sia effettivamente accaduto, ma ovviamente nessuno nella fretta di sparare missili ha raccolto questo invito. Putin di conseguenza respingerà l’offerta di ritornare nel consesso dei paesi civili in cambio della testa di Assad, né negozierà su Crimea o Donbass. La Russia può avere tutto questo – ha già tutto questo – senza bisogno di concedere nulla e avendone pagato il prezzo in termini di vite umane e sanzioni economiche (l’economia russa è in ripresa e il sostegno a Putin intatto). I poveretti del G7 (sui giornali le foto di quei 7 personaggini imbalsamati, dalle sparute posture meccaniche, senza luce negli occhi e con la camicia fuori dai pantaloni) non rappresentano più quell’Europa che da Pietro Il Grande in poi aveva significato per la gran parte dei russi un’ideale di civiltà cui tendere. Oggi agli occhi dei russi questi esserini meschini appaiono per quello che sono: monocellulari simil-sovietici che si agitano senza speranza sotto un vetrino istologico.
La Russia quindi respingerà le offerte del mondo civile e rafforzerà l’alleanza militare con Teheran e Damasco. Insieme con la Cina e gli altri alleati asiatici costruirà lo spazio economico euroasiatico da cui sarà esclusa la UE. La Germania – che tace fragorosamente – sarà il nuovo limes e non già il centro del Nuovo Impero come la sua stessa dabbenaggine l’aveva portata a credere. E se ci sarà una guerra la Russia la combatterà perché sarà per lei guerra di sopravvivenza e non di conquista. Sopravvivenza della madre Russia.
E la Cina? Sparare missili durante la visita di Xi Jinping negli Stati Uniti è stata l’idea peggiore di tutte. Pechino è interessata alla Siria, per via delle sue Vie della Seta e degli sbocchi che essa può garantire verso l’Europa e la penisola arabica. I missili sparati come fuochi d’artificio durante il ricevimento in Florida sono stati un pessimo modo di comunicare con la più grande potenza economica del mondo (senza contare le preoccupazioni per i separatisti uiguri che vogliono infiammare lo Xinjiang e che sono finanziati dai soliti noti).
C’è una speranza in questa valle di lacrime? Solo se fosse tutto un bluff. Ma allora Trump sarebbe un genio.
E temo che non sia così. Ieri Trump ha cambiato pettinatura e ha scurito i capelli. E mi pare anche tono di voce. Gli esperti del marketing sono entrati in azione.
Prepariamoci al peggio.