L’esercito di Annibale attraversa le Alpi – da Polibio, Storie, libro III
antologia storica a cura di Adriano Simoncini
Polibio, storico greco vissuto fra il 200 e il 120 a.C., trascorse a Roma la parte decisiva della sua vita. Vi era stato deportato come ostaggio: accolto nella casa degli Scipioni, ammiratori della cultura greca, imparò a conoscere le istituzioni e i costumi romani, che permisero a quel popolo il dominio del mondo. E di Roma appunto scrisse e del suo destino imperiale, con intenti rigorosamente storiografici, tanto che la sua opera è ancora oggi fonte documentaria insostituibile. Al centro delle sue Storie la lotta fra Roma e Cartagine, e in particolare la guerra annibalica, che a lungo mise pericolosamente in discussione il futuro di Roma. Ne trascriviamo un evento ritenuto allora impossibile: l’attraversamento, fra popolazioni ostili, delle Alpi coperte di neve da parte dell’esercito di Annibale, con cavalli, bestie da soma e i temutissimi elefanti. La traduzione è di Fausto Brindesi (Rizzoli B.U.R.).
Annibale cominciò il passaggio delle Alpi… Fin tanto che egli attraversava la pianura, i capi delle tribù degli Allobrogi si tenevano lontano da lui, un po’ intimoriti dai cavalli… Quando però… cominciò ad avanzare per sentieri difficili, gli Allobrogi, con forze sufficienti, prevennero i Cartaginesi occupando i passaggi obbligati, che Annibale doveva necessariamente raggiungere… Vedendo quel gran numero di muli e di cavalli che a stento, in lunga fila, riuscivano a inerpicarsi per quei difficili sentieri, si sentirono stimolati a molestare quell’esercito in marcia. Passati quindi all’azione, cominciarono a premere sui Cartaginesi da varie parti: i Cartaginesi subirono gravi perdite, specialmente di cavalli e di bestie da soma, determinate non tanto dai nemici quanto dalla natura dei luoghi. Infatti, i sentieri non solo erano stretti e pietrosi, ma anche molto ripidi, e perciò ad ogni movimento confuso e disordinato molte bestie cadevano giù a precipizio insieme con i carichi. In particolare erano i cavalli feriti che generavano la confusione e il disordine… quelli che erano davanti, imbizzarriti per il colpo ricevuto, volgendosi si scontravano con le bestie da soma; quelli che erano indietro correndo spingevano in avanti tutto ciò che trovavano… Annibale, considerando quel che accadeva, e convinto che neppure chi scampava fra quei pericoli avrebbe potuto salvarsi se fossero andate distrutte le salmerie, raccolse quelli che durante la notte avevano occupato le posizioni più elevate tenute dai barbari e corse in aiuto della colonna che cercava di guadagnare la salita. Molti nemici così morirono: ma anche i Cartaginesi ebbero gravi perdite, perché la confusione nell’esercito in marcia crebbe per le grida e i combattimenti dalle due parti. Quando la maggior parte degli Allobrogi fu distrutta e gli altri furono volti in fuga… le bestie da carico e i cavalli che ancora rimanevano, con grande stento e fatica, riuscirono a superare la salita.
Per rendere più sicuro il cammino, Annibale occupa il villaggio degli Allobrogi, recupera le bestie e gli uomini catturati, si rifornisce di vettovaglie e si accampa per una sosta. Poi l’esercito si rimette in marcia e i barbari addirittura si offrono come guide. Ma preparavano inganni. Mentre questi andavano avanti con Annibale… i Galli si raccolsero e, datisi all’inseguimento, si gettarono addosso ai Cartaginesi mentre tentavano di passare per un vallone impraticabile e scosceso. In quel frangente tutto l’esercito di Annibale sarebbe stato distrutto se questi… non avesse collocato le salmerie e la cavalleria in testa alla colonna e i fanti alla retroguardia; con una tale disposizione le perdite furono minori perché l’assalto dei barbari poté essere respinto. Tuttavia, anche così disposti, perì un gran numero di uomini, di muli e di cavalli, poiché i nemici occupavano i luoghi elevati. Essi, infatti, marciando lungo i fianchi dei monti, da una parte rotolavano massi sui Cartaginesi, in altro punto li colpivano lanciando pietre e in poco tempo li ridussero a un totale disordine… Annibale fu costretto a trascorre la notte su una grande roccia bianca e sicura, separato dai cavalli e dalle salmerie, provvedendo alla loro difesa, finché passata la notte, a stento tutti sfilarono fuori dalla gola. Il giorno seguente i nemici si allontanarono e così Annibale, ricongiuntosi con i cavalli e le salmerie, avanzò fino ai gioghi più elevati… soltanto disturbato qua e là da piccole schiere… Di grandissimo aiuto furono ad Annibale gli elefanti: nel luogo dove essi passavano i nemici non osavano avvicinarsi, impressionati alla vista eccezionale di quegli animali. Compiuta in otto giorni la salita verso la vetta, vi fece piantare l’accampamento e ci si fermò due giorni, per far riposare i superstiti e raccogliere quelli che erano rimasti indietro…
Quando già la neve si accumulava sui monti… Annibale, vedendo i suoi soldati scoraggiati per le fatiche sofferte e per quelle che dovevano ancora essere affrontate, li raccolse in adunanza e tentò di rincuorarli prendendo come unico spunto la vista dell’Italia. Questa infatti si stende sotto i monti in modo che, guardando dalle due parti, pare che le Alpi rappresentino la rocca di tutta l’Italia. Perciò, dopo aver mostrato le pianure del Po e ricordata la simpatia che godevano presso i Galli che le abitavano, insieme indicando anche il luogo dov’è la stessa Roma, egli risollevò alquanto il loro animo. Il giorno dopo mosse il campo e cominciò la discesa. Non incontrò altri nemici salvo alcuni che gli davano molestia senza mostrarsi: ma, a causa dei luoghi e della neve, perse un numero di soldati non molto minore di quello che aveva perduto durante la marcia in salita. Infatti, essendo il sentiero della discesa stretto e ripido, ed avendo la neve coperto a ciascuno i punti su cui fermare il piede, tutti quelli che uscivano fuori di strada o mettevano il piede in fallo cadevano nel precipizio… Ma quando giunsero a un luogo tanto stretto che non vi potevano passare né gli elefanti, né le salmerie, e dove una frana… si era di recente fatta più larga, i soldati furono colti da un nuovo e più grande terrore. In un primo momento Annibale tentò di aggirare l’ostacolo, ma caduta la neve e reso quindi impossibile il cammino, fu costretto a desistere dal tentativo… Sulla neve che già c’era… ne era caduta dell’altra facile a sciogliersi e friabile. Quando i soldati, affondandovi il piede, toccavano il sottostante strato di neve indurita barcollavano scivolando… Non potendo fermare i piedi sulla neve gelata, quando, dopo essere caduti, volevano rialzarsi poggiando sulle ginocchia o sulle mani, barcollavano ancora di più sui loro punti di appoggio in quei luoghi tanto scoscesi. Le bestie da soma, quando cadevano, nel rialzarsi… rimanevano per il carico che le gravava, come inchiodate sul ghiaccio… Annibale si accampò intorno al limite del precipizio, spazzandone la neve; poi, con molta fatica, fece ripristinare dai soldati la strada attraverso il dirupo… A stento in tre giorni, dopo molti disagi, riuscì a far passare gli elefanti, ridotti ormai in pessime condizioni per la fame…
Annibale riunì tutto insieme il suo esercito e iniziò la discesa e il terzo giorno, uscito dalle gole, arrivò alla pianura, dopo aver perduto molti soldati, o perché uccisi dai nemici, o inghiottiti dai fiumi durante tutto il percorso, o perché periti nei precipizi e nei burroni delle Alpi; e non solo uomini aveva perduto ma anche, e in numero maggiore, muli e cavalli… Compì l’audace passaggio attraverso le Alpi, fino alle genti dei Galli Insubri, in quindici giorni. Del suo esercito si erano salvati dodicimila Africani, circa ottomila Iberici e, al massimo, ottomila cavalli (era partito con cinquantamila fanti, novemila cavalieri, un numero imprecisato di bestie da soma e trentasette elefanti).