Guerra civile nel mondo greco – da Tucidide, Le Storie, libri III e IV
antologia storica a cura di Adriano Simoncini
Tucidide nacque ad Atene intorno al 460 a.C. e vi morì fra il 402 e il 399, ritornato da vent’anni d’esilio. Nelle sue Storie narrò la trentennale guerra fra Atene e Sparta, cui lui stesso partecipò. Affermò con orgoglio che la sua opera era stata composta come un ‘possesso per sempre’ in quanto ricercava la verità ‘in conformità con la natura umana’. Grande storico per il rigoroso metodo storiografico, Tucidide è anche grandissimo scrittore, capace di penetranti analisi politiche e psicologiche, come testimoniano le pagine che riportiamo, di sconvolgente attualità (la traduzione, per l’UTET, è di Guido Donini).
La lotta fra Atene e Sparta per l’egemonia – ricordata come guerra del Peloponneso – coinvolse tutte le città greche, che si schierarono per l’una o per l’altra: democratico si disse il partito ateniese, aristocratico lo spartano – denominazione motivata dalla diversa costituzione politica delle due città. Nei fatti le fazioni divennero, diremmo oggi, trasversali. Ogni comunità si divise al proprio interno a seconda degli interessi di ciascuno: per conquistare o mantenere il potere gruppi di cittadini ricercavano contro gli avversari l’aiuto esterno di Sparta o di Atene. E fu la guerra civile. I fatti che seguono avvennero a Corcira, abbandonata dagli Spartani e prossima a essere occupata dagli Ateniesi. I cittadini della parte al momento soccombente s’erano rifugiati, supplici, nei templi. Tuttavia i vincitori persuasero circa cinquanta supplici a sottoporsi a un processo e li condannarono tutti a morte. Ma la maggior parte dei supplici… quando videro ciò che stava accadendo, si uccisero a vicenda nel tempio stesso, e alcuni s’impiccavano agli alberi, mentre altri si uccidevano come ciascuno poteva. Per sette giorni… i Corciresi trucidarono quelli dei loro concittadini che consideravano nemici: l’accusa che rivolgevano loro era di voler rovesciare la democrazia, ma alcuni furono uccisi anche per inimicizia personale, e altri, ai quali era dovuto del denaro, furono soppressi dai loro debitori. Si registrò ogni forma di morte, e tutti gli orrori che sogliono avvenire in situazioni come questa accaddero senza eccezioni, e ve ne furono anche di peggiori. Infatti il padre uccideva il figlio, e alcuni venivano trascinati via dai templi o uccisi nei templi stessi, e altri morirono perfino murati nel tempio di Dioniso.
Così selvaggia diventò la lotta civile, e sembrò esserlo ancor di più, poiché fu una delle prime: più tardi infatti tutto il mondo greco, per così dire, fu sconvolto, e quando vi erano delle discordie, ogni volta era possibile ai capi dei democratici chiamare gli Ateniesi, e agli oligarchi i Lacedemoni. In tempo di pace non avrebbero avuto il pretesto, e non avrebbero osato chiamarli, ma quando le due parti erano in guerra e ciascuna aveva a disposizione un’alleanza per danneggiare gli avversari e per aumentare nello stesso tempo la sua forza, facilmente si otteneva che fossero inviate truppe in aiuto di coloro che volevano effettuare qualche mutamento politico. E molte calamità dolorose afflissero le città a causa della lotta civile, cose che avvengono e avverranno sempre finché la natura degli uomini sarà la stessa… In tempo di pace e nella prosperità le città e gli individui hanno sentimenti migliori… ma la guerra, togliendo le comodità della vita quotidiana, è un maestro che ama la violenza, e rende gli umori della maggior parte degli uomini conformi alle circostanze.
Dunque le città erano divise dalle fazioni… e gli uomini cambiarono il significato abituale delle parole… L’audacia irragionevole fu ritenuta coraggio pieno di fedeltà verso i compagni politici, l’esitazione prudente divenne viltà… la moderazione, il manto che copriva la codardia, l’intelligenza di ogni cosa, ignavia… Chi era adirato godeva sempre di fiducia, e chi lo contraddiceva era sospettato. Se uno preparava insidie e aveva successo era intelligente… ma se prendeva misure perché non vi fosse bisogno di tali trame, era un distruttore della sua fazione politica.
La maggior parte egli uomini si lasciano più facilmente chiamare abili se sono mascalzoni che stupidi se sono onesti, e di questo si vergognano, mentre di quello si vantano. La causa di tutto ciò era il potere perseguito per cupidigia e ambizione: da queste veniva anche l’ardore quando tra le parti scoppiava la rivalità. Infatti quelli che nelle città capeggiavano le fazioni, ciascuno servendosi di nomi di apparenza onesta, dicendo di preferire l’eguaglianza di diritti politici per il popolo o l’aristocrazia piena di moderazione, benché a parole curassero gli interessi della comunità, li consideravano il premio delle loro contese; e lottando in tutti i modi per sopraffarsi a vicenda osarono commettere le più grandi atrocità e spinsero le loro vendette fino a una crudeltà ancor maggiore: non le infliggevano restando nei limiti della giustizia o dell’interesse della città, ma le decidevano in conformità con ciò che di volta in volta faceva loro piacere… Così nessuna delle due parti si comportava secondo principi morali, ma con la bella apparenza dei motivi addotti coloro che riuscivano a compiere qualche misfatto odioso godevano di fama migliore. I cittadini che stavano in una posizione intermedia venivano messi a morte… e la semplicità, che consiste soprattutto nella nobiltà d’animo, fu derisa fino a sparire, mentre lo schierarsi gli uni contro gli altri con animo diffidente prevalse di gran lunga. Non esistevano infatti per riconciliarli né parole che dessero sufficiente affidamento, né giuramenti abbastanza temibili.
Dunque Corcira fu il primo luogo in cui si osò commettere queste atrocità, profittando del sostegno degli Ateniesi a una delle fazioni. I Corciresi presero gli uomini e li rinchiusero in un grande edificio; in seguito li conducevano fuori in gruppi di venti e li facevano passare tra due file di opliti schierati dalle due parti: legati gli uni agli altri essi venivano colpiti e trafitti dagli opliti schierati ai loro fianchi, ogni qual volta uno di loro vedeva un suo nemico; uomini muniti di fruste camminavano accanto a loro e facevano accelerare il passo a quelli che avanzavano troppo lentamente. Il numero di uomini che condussero fuori e uccisero in questo modo, senza che quelli che erano nell’edificio se ne accorgessero, raggiunse sessanta: credevano infatti che li conducessero per trasferirli da qualche altra parte. Ma quando se ne accorsero, e qualcuno li informò, presero a invocare gli Ateniesi e a pregarli, se volevano, di ucciderli loro stessi, e non vollero più uscire dall’edificio, ma dissero che avrebbero impedito con tutte le loro forze che qualcuno entrasse.
Ma i Corciresi non avevano intenzione nemmeno loro d’irrompere attraverso le porte: salirono sul tetto dell’edificio, e dopo aver scoperchiato il soffitto cominciarono a gettar giù le tegole addosso a loro e a lanciare frecce. Quelli si proteggevano come potevano, e nello stesso tempo la maggior parte di loro si suicidò: si conficcavano in gola le frecce che gli altri avevano scagliato, e s’impiccavano con le corde di alcuni letti che avevano nell’edificio, e per mezzo di strisce che ricavavano dalle loro vesti. In tutti i modi, per gran parte della notte (era infatti sopraggiunta la notte durante la strage) finirono massacrati, sia sopprimendo se stessi, sia colpiti dall’alto dai loro nemici. Quando venne giorno, i Corciresi li gettarono su dei carri… e li portarono fuori della città; e fecero schiave le donne… In tal modo i Corciresi della montagna furono massacrati dai democratici, e la lotta civile, dopo aver raggiunto una grande intensità, terminò con questo episodio, almeno per quanto riguarda questa guerra: di una delle due parti non era rimasto niente.