Quello che non sappiamo del marxismo
di Gianni Scalia (in memoriam)
Come ricordare “in forma propria” (come lui avrebbe detto) l’amico comune Gianni Scalia (1928-2016), l’intellettuale bolognese infaticabile “facitor di riviste” (Ragionamenti, Rendiconti, Officina, Classe e Stato, Che fare, Per la critica, Il cerchio di gesso, L’arma propria, In forma di parole – e forse ne abbiamo persa qualcuna)? Con un brano di un suo scritto d’epoca d’oro (il 1968!), che adesso si trova in De Anarchia (Roma, 1989), a proposito di ciò che NON sappiamo del marxismo che però alla lettura si rivela essere proprio ciò che non sappiamo ancora di Marx e soprattutto di quel suo libro primo del Capitale di cui nel prossimo anno si dovrebbero festeggiare (ma con imprecazioni od osanna?) i 150 anni dalla data di pubblicazione. Che sono anche i 150 anni dalla comparsa di quella Critica dell’economia politica, come recita il sottotitolo, quale “autocritica della società borghese” a cui Scalia, in tempi assai lontani, ci ha in vario modo introdotti. E di questo gli diciamo: grazie.
Carlotta Colliva, Giorgio Gattei, Uber Serra
Sarebbe abbastanza exiting (volendo anche noi, cominciando, “civettare” con l’anglo-franco tedesco di Marx) raccogliere in un discreto corpus alcune battute delle lettere significative tra i due attorno a Das Kapital. Eccitante ed edificante (edificante per molti lettori “marxisti”). Queste lettere sono state più volte pubblicate nel carteggio e in proprio, e sono molto note. Ma qui a noi basterà estrarre alcuni campioni, non senza invocare del resto la lettura integrale. Engels (in una lettera del 16 giugno 1867) si preoccupa «degli sviluppi più astratti» dell’amico in nome, almeno in parte, dei lettori «filistei» (i soliti specialisti!) e anche di una «categoria molto vasta di lettori»: «il populus, anche quello istruito, non più abituato a questo modo di pensare, e gli si deve venire incontro con ogni possibile facilitazione». Aggiunge che «il progresso nell’acutezza dello sviluppo dialettico è notevolissimo» (rispetto alle prime stesure marxiane della Zur Kritik del 1859 e ai primi fogli a stampa del Capitale I), ma che la «facilitazione», nel senso superiormente didascalico-pedagogico, sarebbe necessaria. E conclude, arrivando al punto: «chi è in grado di pensare dialetticamente, lo capirà lo stesso». Ecco, forse, la crux teoretica, storiografica, politica del marxismo (di Marx), dovendo tenere nel debito conto il «je ne suis pas marxiste» pronunciato dal titolare alla fine della vita e a conclusione dell’opera omnia («ancora da scrivere», secondo la confessione a Kautsky). Ma come non citare qualche battuta di risposta di pochi giorni dopo, il 22, in cui, accettando – e mantenendo anche in questo «una linea dialettica» – i consigli e i suggerimenti editoriali-divulgativi (che abbiano trascurato di ricordare), Marx continua: «nella prefazione dico poi al lettore ‘non dialettico’ che può saltare a piè pari le pagine x-y ed invece di queste leggere l’appendice. Qui si tratta naturalmente non solamente di filistei, bensì anche della gioventù avida di sapere ecc. Inoltre, la cosa [nella specie «lo sviluppo della forma di valore»; e non possiamo dimenticare che a Kugelmann, l’11 luglio 1868, scriverà: «la scienza consiste appunto in questo: svolgere come la legge del valore s’impone»] è d’importanza troppo decisiva per tutto il libro».
Qui si potrebbe entrare, direttamente, nella querelle Hegel-Marx: non mai finita. (Ed è vero che i grandi pensatori condannano la posterità alla glossa perpetua). Probabilmente, in modo più semplice, bisognerà ricordare, sull’autorità di qualche battuta, che il corpus marxiano vuole sempre «un lettore dialettico», «sviluppi più astratti»; senza dimenticare, neppure, le esigenze «della gioventù avida di sapere». «A forza di astrazione», si dice in una delle prefazioni del Capitale. (Viene in mente, irresistibilmente, se non apparirà illecito in questo contesto, l’affermazione baudelairiana che le «astrazioni» sono le cose più concrete).
E’ stata più volte citata, anche, con giustificato scandalo, una lettera di Marx del 7 dicembre 1867, in cui si proporrebbe ai lettori (dialettici e non) una critica del Capitale: «Per quanto concerne il libro stesso, si debbono distinguere due cose, gli sviluppi positivi dati dall’autore, e le conclusioni tendenziali che egli trae. I primi, essendo trattati i rapporti economici effettivi secondo un metodo materialistico, del tutto nuovo, sono diretti arricchimenti della scienza… Per quanto ora riguarda la tendenza dell’autore, si deve procedere a nuove distinzioni. Se egli dimostra che la società odierna, considerata dal punto di vista economico, è pregna d’una nuova forma superiore, egli non fa che dimostrare socialmente lo stesso graduale processo d’evoluzione che Darwin ha dimostrato dal punto di vista della storia naturale… Al contrario la tendenza soggettiva dell’autore – egli era legato ed obbligato ad essa forse dalla sua posizione di partito e dal suo passato – vale a dire la maniera in cui presenta a sé e agli altri il risultato finale dell’odierno movimento, dell’odierno processo sociale, non ha nulla affatto a che vedere con il suo sviluppo effettivo. Se lo spazio permettesse di addentrarci di più nell’argomento, potrebbe forse venir dimostrato che il suo sviluppo “obiettivo” confuta le sue proprie fantasie “soggettive”».
Forse è qui il «segreto» del marxismo? […]
Mi riesce difficile, confesso, non partecipare all’opinione del giovane Lukacs “maledetto” di Scienza e coscienza di classe, secondo cui il marxismo è la più grande critica come “autoconoscenza critica” della società capitalistica («autocritica della società borghese», diceva il Marx della Einleitung del ’57). Certo, la società borghese-capitalistica conosce molti tipi di “critica”: razionalistica e irrazionalistica, regressiva e progressiva, “genealogica” e “archeologica”. Ma solo in Marx detiene la critica dialettica, cioè totale e pratica, dopo tutti i corti circuiti.
Un segreto che è un compito. Non può non pensare-agire le contraddizioni della società capitalistica. Se le ipotesi centrali sono la scoperta delle contraddizioni storico-determinate; la scoperta, ancora, che l’«oggetto» del discorso è quello che si vuole distruggere e che quello che si vuole distruggere è l’«oggetto» del discorso; la scoperta infine che questa scoperta è dalla parte degli «oppressi» dalle contraddizioni; se queste, dunque, sono le ipotesi centrali, il marxismo è una permanente oggettività tendenziosa.
Il marxismo è una scienza che non si identifica nella ma si realizza con la praxis. Scienza a partire da e secondo gli oppressi; che deve realizzarsi, non è già realizzata in loro.
Il marxismo è «insuperabile» (e non nel senso sartriano, se non nelle intenzioni, di «indépassable») come «la critica spregiudicata di tutto ciò che esiste, spregiudicata in quanto la critica non si atterrisce di fronte ai suoi risultati e nemmeno di fronte al conflitto con le forze esistenti»; come «la critica che sta in mezzo alla mischia», che «rende ancor più oppressiva l’oppressione reale con la consapevolezza dell’oppressione e ancor più vergognosa la vergogna dandole pubblicità» (secondo che scriveva il giovane Marx); come «scandalo e orrore per la borghesi e per i suoi corifei dottrinari» (secondo che scriveva il Marx maturo). E’ la teoria degli oppressi e degli sfruttati; come teoria della praxis, non solo della pratica. Certo la praxis (rivoluzionaria) non elimina i compiti della teoria; ma dissolve i (presunti ) compiti teorici prima della praxis rivoluzionaria. Bisogna comprendere la frase di Marx che la filosofia si realizza sopprimendola, e si sopprime realizzandola.
La validità «scientifica» è nel far coincidere praticamente «essenza» e «apparenza»; nel decifrare il «geroglifico sociale» per scoprirne, insieme, la necessità e la non necessità. Che nel marxismo scienza e decisione-scelta coincidano, ecco uno degli «scandali e orrori» del capitale e della scienza che è per-il-capitale, La critica solo teorica ritorna su se stessa, perfecta reditione. (Alla fine della Miseria della filosofia «l’ultima parola della scienza sociale è: il combattimento o la morte; la lotta sanguinosa o il nulla”).